Carceri turche: sospeso lo sciopero…

della fame dei prigionieri curdi su richiesta della Kck

di Gianni Sartori

Va segnalato come tra i primi a congratularsi per la “vittoria” di Erdogan nel referendum (per quanto risicata e discutibile) sia stata l’organizzazione “Ahra al-Sham in Siria” ritenuta prossima ad Al-Qaeda; ancora prima di Donald Trump. Fra i curdi è convinzione diffusa che a causa di Erdogan la Turchia stia vivendo uno dei suoi periodi peggiori, paragonabile a quello del golpe militare nel settembre 1980. Gli ultimi due anni non erano che il preludio e ormai si va insediando un regime fondato su arbitrio e terrore. Chi paventa una deriva dittatoriale pecca di “ottimismo” perché la Turchia è già una dittatura e forse Erdoğan non aveva nemmeno bisogno della presunta legittimazione popolare per governare in modo autoritario, lo sta facendo da tempo.

Il Parlamento di fatto non svolge più alcun ruolo dato che l’opposizione è sostanzialmente inesistente. I media rimasti si sono dovuti omologare e migliaia di giovani sono stati assassinati o incarcerati.

Eppure in questo clima di paura e silenzio c’è ancora qualcuno che alza la testa. In 27 carceri turche oltre 220 prigioniere politiche e prigionieri politici erano scesi in sciopero della fame chiedendo la revoca del coprifuoco (causa dell’espulsione forzata di circa mezzo milione di persone) e la revoca delle condizioni di isolamento contro Abdullah Ocalan. Chiedendo anche la fine degli arresti di massa, della tortura e dell’isolamento in carcere, reintrodotto con la proclamazione dello stato di emergenza (OHAL). Per solidarietà erano scese in sciopero della fame anche molte madri dei prigionieri: a Izmir, ad Amed, a Van… (*).

In una lettera prigioniere e prigionieri appartenenti, al PKK e al PAIK, rinchiusi nel carcere di Şakran, avevano così spiegato la loro determinazione: «Una vita per la quale si è disposti a morire è una vita dignitosa, significativa e preziosa e libera. Noi abbiamo deciso di vivere una vita del genere o di non viverla affatto».

Nel loro messaggio descrivevano la situazione in cui versano i prigionieri curdi anche nelle altre prigioni: «Le possibilità di attività sociali e culturali nelle carceri sono state completamente interrotte, le possibilità di visite e telefonate sono state chiaramente limitate, le possibilità di attività formative sono state rimosse, lo stesso vale per attività sportive e artistiche, perfino le condizioni per poter condurre colloqui con altri prigionieri esistono a stento. Complessivamente le direzioni delle carceri hanno aumentato la pressione all’interno degli istituti di pena ed espongono prigioniere e prigionieri a pratiche arbitrarie».

L’inasprimento delle condizioni carcerarie è dovuto alle direttive del ministero della Giustizia, imposte con una circolare alle direzioni delle carceri. Inoltre i reclusi sono esposti all’aumento dell’arbitrio delle direzioni carcerarie stesse. Così, per esempio, nel carcere di Şakran i prigionieri malati vengono portati alle visite mediche in manette. Talvolta sono state negate le cure mediche o sono state consentite solo con colpevole ritardo. Inoltre le torture psicologiche e fisiche da parte delle guardie carcerarie sono diventate una pratica quotidiana.

«Le guardie carcerarie – spiegavano nella lettera – perquisiscono arbitrariamente di continuo le celle dei prigionieri, cosa che alla fine più che a una perquisizione equivale a una devastazione. Anche perquisizioni regolari e improvvise dei prigionieri spogliati ormai sono diventate parte della prassi corrente nelle carceri. Nel carcere di Şakran inoltre i parenti dei prigionieri che arrivano per le visite sono stati offesi e attaccati dal personale del carcere».

Infine i detenuti dichiaravano di essere pronti a continuare la loro lotta fino alle estreme conseguenze: «Se non finisce l’isolamento del nostro Presidente Abdullah Öcalan, questo sciopero della fame non finirà anche se uno dopo l’altro dovremo lasciare la nostra vita. Noi abbiamo iniziato questo sciopero della fame per vicinanza al nostro Presidente e per via delle condizioni di carcerazione che vogliono imporre a noi prigionieri. Seguiamo la strada di Kemal [Pir], Hayri [Durmuş] e Bobby Sands. Facciamo appello a ogni persona che ha una coscienza a sostenere la nostra azione. Diventate la nostra voce! Quali che siano i sacrifici che dovremo fare per questo, alla fine la volontà libera creerà una vita significativa e dignitosa. Saluti rivoluzionari. Carcere n. 2 di tipo T di Şakran». Con queste firme: «1. gruppo di scioperanti: Murat Duran, Sinan Ekmekçi, Eren Tekin, Cengiz Doğan, Erhan Erguz, Mustafa Akan, Necdet Kaya e Kasım Özdemir (dal 15 febbraio); 2. gruppo di scioperanti: Mehmet Yavuz, Cahit Ayaz, Mehmet Değirmenci, Ramazan Atabey, Yakup Güneş, M. Adnan Kılıç, Faruk Kara, Şahin Aslan, Zeki Yiğit, Tanju Yıldırım, Cemal Günsel e Mahmut Aba (dal 6 aprile)».

Successivamente però – con un comunicato – i prigionieri e le prigioniere del PKK e del PAJK (Partiya Azadiya Jin a Kurdistan) hanno informato l’opinione pubblica di voler aderire all’appello del Consiglio Esecutivo della KCK (Unione delle Comunità del Kurdistan) e quindi di interrompere lo sciopero della fame, sciopero che a Şakran era iniziato già il 15 febbraio.

Nella dichiarazione della co-presidenza del Consiglio Esecutivo della KCK si affermava che: «Con questa azione, prigioniere e prigionieri hanno rafforzato la lotta per la democrazia contro il fascismo dell’AKP-MHP, rendendo quindi non più necessario continuare questa resistenza. Confidando nel fatto che le questioni messe in evidenza avranno un seguito e che questa lotta verrà proseguita in altri modi e con altri metodi, chiediamo loro di concludere lo sciopero della fame a tempo indeterminato irreversibile. Le richieste delle prigioniere e dei prigionieri che resistono, sono diventate le richieste del nostro Movimento di Liberazione, del nostro popolo e dell’opinione pubblica. La nostra responsabilità per la fine delle pressioni a İmralı e in tutte le altre carceri d’ora in avanti verrà compiuta in un modo più sensibile. Le pratiche a İmralı e nelle carceri e le pressioni sul nostro popolo e le politiche democratiche sono arrivate ulteriormente in primo piano e sono diventate note pubblicamente con questa resistenza. Il nostro popolo, l’opinione pubblica democratica e noi stessi daremo seguito alle questioni messe in evidenza dalle prigioniere e dai prigionieri e faremo gli sforzi necessari a questo fine. A questo proposito l’azione che è già arrivata alla soglia della morte deve essere conclusa immediatamente. Se non dovessero esserci sviluppi favorevoli rispetto alle questioni messe in evidenza, starà alla volontà delle prigioniere e dei prigionieri che resistono di entrare in azione in un modo più pianificato e organizzato in futuro. Su questa base, salutiamo ancora una volta la loro azione e chiediamo loro di concluderla, confidando nel fatto che hanno raggiunto il loro obiettivo».

A questa precisa richiesta della KCK i prigionieri hanno risposto con la sospensione dello sciopero.

«Salutiamo il nostro popolo – ha dichiarato Deniz Kaya – le aree democratiche e tutte e tutti coloro che hanno agito con sensibilità e sostenuto la nostra resistenza. Contestualmente dichiariamo che continueremo la nostra resistenza con azioni più grandi nel caso in cui la sporca alleanza AKP-MHP dovesse continuare l’isolamento nei confronti del nostro Leader, le operazioni di genocidio politico contro il nostro popolo e le violazioni dei diritti nelle carceri. Mettiamo fine al nostro sciopero della fame a tempo indeterminato e senza alternanza in tutte le carceri, che nel carcere di Şakran è arrivato al 64° giorno a seguito dell’appello della co-presidenza della KCK. Salutiamo tutte le nostre compagne e i nostri compagni in carcere che hanno preso parte a questa azione di resistenza e reiteriamo il nostro debito di gratitudine nei confronti del nostro popolo».

E naturalmente “la lotta continua”. Per la libertà del popolo curdo e per l’umanità.

(*) cfr in “bottega” La linea rossa: curdi senza pace e Il dittatore Erdogan, il boia Erdogan

NELL’IMMAGINE MADRI DI PRIGIONIERI A DIYARBAKIR IN SCIOPERO DELLA FAME PER SOLIDARIETA’. E’ ripresa da http://www.uikionlus.com/ che si presenta così: «Nell’ambito delle organizzazioni del movimento kurdo, nel maggio 1999 è stato fondato l’Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia (UIKI-Onlus), l’ultimo di questo genere in Europa. L’apertura di un tale ufficio, come un’organizzazione non lucrativa di utilità sociale, è nata dalla necessità di fornire informazioni e ricevere consenso e sostegno da parte dell’opinione pubblica italiana circa il movimento kurdo e le sue attività in particolare, la questione kurda e il Kurdistan in generale. UIKI, fin dalla sua nascita, si occupa soprattutto di fare informazione: in generale sulla questione kurda sia in Kurdistan che in Europa, mentre nello specifico si occupa di fornire informazioni sulla repressione, la discriminazione e la guerra contro il popolo kurdo nei quattro paesi in cui il Kurdistan è stato diviso nel 1923 con il Trattato di Losanna, dove il popolo kurdo è stato separato e costretto a subire gravi forme di discriminazione ed esclusione. A UIKI lavorano sia kurdi che italiani, impegnati in una serie di attività eterogenee, per la maggior parte, a livello di volontariato. UIKI si occupa di prendere parte a incontri pubblici per presentare la questione kurda, la problematica del Kurdistan e dei kurdi, spesso su tematiche che coinvolgono direttamente l’Italia, come, ad esempio, la lotta contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne, l’opposizione all’utilizzo della tortura nelle prigioni, la battaglia civile contro la vendita di armi, oppure la sensibilizzazione per il rispetto dei diritti umani in Turchia, l’opposizione alla guerra, la libertà di stampa e d’opinione, la condizione dei minori o il fenomeno dell’immigrazione…».

 

Redazione
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Un commento

  • Giuseppe Lodoli

    Grazie di aver diffuso questo importante articolo riguardo ad una tra la peggiori situazioni dei diritti umani nel mondo di oggi.

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