Cavalcarono (chi?) insieme

di Fabio Troncarelli

Il 26 luglio 1961 fu proiettato per la prima volta negli Stati Uniti il western di John Ford «Cavalcarono insieme» (“Two rode togheter”). Non ebbe un grande successo. E non interessò molto a nessuno. A cominciare dal suo regista che ci tenne a far sapere che l’aveva girato solo per soldi e per pagare un debito d’onore con il celebre produttore Harry Cohn, che considerava un “serpente”, ma che gli aveva strappato, prima di morire, l’incauta promessa che avrebbe girato un film per la sua casa di produzione, la Columbia.

Amen.

E allora perché stiamo ancora qui a perdere tempo con questo schifo, detestato da tutti, compreso il suo autore? Perché, ve lo dico in confidenza, è un film fantastico, con i cinque minuti più fantastici mai girati in un western.

A prima vista il film sembra un rifacimento in chiave di parodia del grande «Sentieri selvaggi» dello stesso Ford. La storia infatti presenta punti in comune, anche se in una chiave diversa. Lo sceriffo Guthrie McCabe (James Stewart), che conosce bene i Comanches perché vende loro armi di contrabbando, viene incaricato dal Maggior Frazer di Fort Grant(John McIntire) di farsi restituire dagli indiani un bel po’ di ragazzi e ragazze presi prigionieri ai bianchi. Al forte sono arrivati i loro parenti, a centinaia, disposti a tutto pur di riaverli. Anche a pagare cifre da capogiro che il riluttante McCabe non può rifiutare. Del resto, lui è un cinico, un mezzo furfante, che prende tangenti da tutti e pensa solo a spassarsela, insieme a Belle Aragon (Anelle Hayes), la procace e non certo virtuosa proprietaria del saloon della sua città. McCabe va dagli indiani, accompagnato dal tenente Jim Gary (Richard Widmark), suo amico e potenziale compagno di bisbocce. I due portano con loro un bel carico di vietatissimi winchester, per scambiarli con i prigionieri. Il capo dei Comanches, un altro personaggio cinico e corrotto e per di più figlio di una bianca rapita dagli indiani, il leggendario Quanah Parker (Harry Brandon: per la cronaca, tedesco) è ben felice di fare loschi affari con i bianchi, anche se viene attaccato con violenza da un gruppo di estremisti capitanati da Orso di Pietra (Woody Stroode: per la cronaca afroamericano) che minaccia anche i bianchi.

Purtroppo per McCabe però gli sporchi traffici non danno risultati: pochi prigionieri sono sopravvissuti e le donne bianche, divenute mogli dei Comanches, non ne vogliono sapere di tornare indietro e affrontare la pubblica ignominia. Alla fine lo sceriffo raccatta solo un ragazzino che non parla altro che la lingua Comanche e si crede un fierissimo guerriero indiano. Con la coda tra le gambe se ne va al forte insieme al suo amico, col ragazzino inferocito che non vuole tornare indietro e viene legato come un salame. Ma ecco, all’improvviso, compare nella prateria una ragazza che sembra indiana ed è bianca: è addirittura la moglie del terribile Orso di Pietra ed è una nobildonna messicana, Elena de Madriaga (Linda Cristal) che non ne può più della vita infernale che il suo manesco e nerboruto compagno le impone. La piccola carovana riparte verso il forte, ma il temuto Orso di Pietra la insegue. Come lo vede, lo sceriffo lo fa secco senza dargli il tempo di parlare. Tecnicamente sarebbe un omicidio a sangue freddo, ma McCabe sa che tutti gli saranno grati per avere tolto di mezzo questo pazzoide, a cominciare dal capo corrotto che non sporgerà davvero denuncia per la scomparsa del suo rivale.

Cammina e cammina i quattro arrivano al forte accolti da una folla che sembra impazzita. Ma la speranza folle cede immediatamente il posto a una folle delusione. Nessuno ha riavuto la persona che cercava. Quanto al ragazzino legato come un salame, se lo prende una poveraccia che ha perso la ragione quando suo figlio venne rapito dai Comanches. La poveretta slega il ragazzo, trattato come un animale, e questi, incattivito da quello che ha subìto, la uccide con le forbici con cui lei ha tagliato le corde. In un attimo, la folla delusa e amareggiata impazzisce di nuovo: coloro che aspettavano i prigionieri degli indiani diventano in un attimo i feroci nemici degli indiani, afferrano il ragazzino e lo impiccano. La scena, fulminea, è estremamente drammatica. Fino a quel momento tutto si era svolto sul filo dell’ironia e di un paradossale umorismo. Adesso, con un pauroso capovolgimento, l’umorismo si trasforma in tragedia. Anzi: si trasforma nell’inferno. Il ragazzino era un bianco. Lo sapevamo, ma ce l’eravamo dimenticato. Un attimo prima di morire recupera la sua lingua natale e muore gridando la sua verità con la lingua dei bianchi che lo uccidono come se fosse l’indiano che non è mai stato, ma che credeva di essere. L’unica che lo capisce è sua sorella (Shirley Jones) che lo riconosce drammaticamente mentre sta per morire, senza riuscire a salvarlo. Il tenente Jim Gary la consola e se ne innamora.

Bene, pensano gli spettatori: certo, le cose non sono andate per il meglio; il cinico McCabe ha avuto quello che si meritava, cioè un pugno di mosche; i pazzi fanatici hanno confermato di essere pazzi e fanatici uccidendo l’unico bianco che era stato salvato. Ma almeno è nato un amore. La storia si potrebbe chiudere così. Ma Ford, folletto dispettoso, capace di mentire spudoratamente e di smentirsi spudoratamente, ha un finale a sorpresa nascosto nel suo cappello di prestigiatore. Il maggiore Frazer organizza un ballo per salutare McCabe ed Elena de Madriaga festeggiando il loro ritorno. Al ballo vengono le mogli degli ufficiali e i loro altezzosi compagni: appena vedono la donna, ancora scossa per la sua disavventura, cominciano a sparlare di lei e la trattano come una puttana, che si è sottomessa supinamente alle voglie bestiali di un indiano. Di nuovo fulmineamente la commedia si trasforma in tragedia. Oltre alle umiliazioni subite, la ragazza messicana ora viene rifiutata da tutti. Ed ecco allora che il cinico MCCabe, il cui nome in inglese suona come Maccabeo, si erge improvvisamente come un leone, come uno dei fratelli Maccabei, indomiti e coraggiosi. E sputa tutto il suo veleno contro i razzisti in doppio petto, degni fratelli dei pazzi fanatici che hanno linciato un ragazzino invocando, senza comprenderla, la Bibbia. Miracolosamente, come se fosse un profeta ispirato da Dio, McCabe si trasforma in un eroe e sfidando tutti si mette a fianco della ragazza umiliata, seguìto subito dal suo amico Jim e dallo stesso Maggiore Frazer. La sconfitta diventa un’apoteosi.

Beh, l’avete capito o no perché questo film è bellissimo? Pareva solo un western, un film burlesco, fatto per soldi e per fare soldi. E invece… Allora tutto assume un altro significato: anche la fine vera e propria del film, in cui McCabe monta a cassetta della diligenza su cui è salita la De Madriaga e scappa con lei (Two rode togheter…Due scapparono insieme…) verso una nuova vita, dando un calcio alle mazzette, ai bagordi, al cinismo e al razzismo di un civiltà incivile, esattamente come Ringo e Dallas alla fine di «Ombre rosse», mentre i loro amici gongolavano e si davano di gomito perché così si erano “salvati dalla civilizzazione”.

Stavo per salutarvi, ma mi è venuto in mente che non vi ho detto nulla dei famosi, mirabili cinque minuti. Poco dopo l’inizio, quando Jim avvisa McCabe del suo incarico, i due si siedono vicino a un fiume e parlano, parlano, parlano, di tutto e di niente, in modo buffo, quasi surreale, per cinque minuti. Senza uno stacco.

Ford realizzò la scena immerso nel fiume con la macchina da presa a fior d’acqua, riprendendo di nascosto James Stewart e Richard Widmark, che provavano le loro battute e scherzavano. Il risultato, che lo crediate o no, è pura Nouvelle Vague. Neppure Agnès Varda e François Truffaut sarebbero riusciti nell’impresa sublime di trasformare due mostri sacri di Hollywood-Babilonia in due gamins de la rue, in due scugnizzi sulle cui parole leggere, divertite e divertenti la vita scorre come la corrente del fiume.

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

 

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