Chi ha preso la mia coppa di carne di Miscus?

Un ricordo di Jack Vance, creatore di mondi infinitamente divertenti
di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia

«Iucounu (conosciuto in tutta Almery come “Il Mago Beffardo”) aveva giocato a Cugel uno dei suoi scherzi più atroci. Per la seconda volta Cugel era stato afferrato, portato a nord attraverso l’Oceano dei Sospiri e lasciato cadere su quella malinconica spiaggia nota come Shanglestone Strand. Alzandosi in piedi, Cugel si scrollò la sabbia dal mantello e s’aggiustò il cappello.
Si trovava a non più di diciotto metri dal luogo in cui era già caduto una volta, sempre per volontà di Iucounu. Non portava la spada e nella borsa non aveva terce» (Jack Vance, «La saga di Cugel», traduzione italiana di Maria Agnese Grimaldi, Fanucci, 1989).
Il 26 maggio 2013 arrivò l’ennesima mazzata. In Italia non avrebbe trovato la via del ricordo televisivo: purtroppo, come ho potuto verificare, niente è stato detto, riguardo alla scomparsa del grande scrittore di fantascienza Jack Vance, nato a San Francisco il 28 agosto 1916.
Cosi, per riparare forse a qualche torto, ho pensato di ricordarlo con questa nota, che mi auguro possa piacere non solo agli appassionati ma anche a coloro che, dalla sua lettura, volessero avvicinarsi al mondo di questo fine umorista della fantascienza, ingiustamente dimenticato o relegato, almeno nel nostro Paese, a un ruolo subalterno, anche e soprattutto a livello editoriale.
Jack Vance è morto lasciandosi dietro una variegata sequela di romanzi e racconti che compongono un caleidoscopico universo in cui perdersi per non ritrovarsi più.
Fin da giovane, mentre lavora nel ranch dei nonni paterni, Vance s’interessa di letteratura, legge e scrive poesie, divora voracemente riviste pulp, quali «Weird Tales» e «Amazing Stories», appassionandosi ad autori quali Edgar Rice Burroughs, Jules Verne, Lord Dunsany ma anche P. G. Wodehouse.
Dopo gli studi superiori, non potendo iscriversi all’università, gira per gli Stati Uniti impegnandosi nei più svariati lavori, esperienze che lo porteranno a maturare notevolmente come uomo e come autore.
Dopo aver messo via il denaro risparmiato fra tutti i suoi impieghi, corona il suo grande desiderio, iscrivendosi all’Università della California a Berkeley. Vance frequentò prima fisica e poi giornalismo, ma senza portare a termine gli studi. Lavorò per un certo periodo al porto di Honolulu, ma ritornò in Usa in tempo per l’inizio della seconda guerra mondiale. Prese parte senza successo ad un programma di addestramento dei servizi segreti, quindi si arruolò nella Marina mercantile.
In questo periodo iniziò a scrivere narrativa, in particolare i primi racconti del «Ciclo della Terra morente» (1950-84).
La sua prima opera pubblicata fu «Il pensatore di mondi» nel 1945 sulla rivista «Thrilling Wonder Stories». Non si fermò più, arrivando a scrivere oltre sessanta libri, la maggior parte dei quali inseriti in cicli di ampio respiro.
Viaggiò moltissimo. Alla fine degli anni cinquanta ritornò a New York, dove scrisse i romanzi «L’odissea di Glystra» (1951), «Il linguaggio di Pao» (1958) e «Uomini e draghi» (1962, con cui vinse un Premio Hugo nel 1963).
Inoltre videro la luce la «Trilogia di Durdane» (1971-73) e il «Ciclo dei Principi demoni» (1964-81). Ritornò inoltre ai racconti del “ciclo della Terra morente” e scrisse la serie di racconti intitolata «Le avventure di Cugel l’astuto», spassosissima saga di un barbaro violento, ladro e laido.
Nei primi anni ’80, scrisse la trilogia di «Lyonesse», premio World Fantasy Award nel 1984.
Capace di creare interi mondi in pochi tratti, contrariamente a ponderosi romanzi di altri autori d’ambientazione, Jack Vance colpisce direttamente con le sue satire dirette e abrasive, mettendo alla berlina la società odierna, con i suoi vizi e le poche virtù.
Molti dei cicli di fantascienza di Vance appartengono a una visione del futuro chiamata “Distesa Gaeana”, situata nella storia futura, ma le connessioni non sono tuttavia necessarie per la comprensione di ogni serie individuale, anche se tale espediente permette a Jack Vance di utilizzare in una serie dei riferimenti a protagonisti di altre serie, come Navarth, il poeta pazzo, o di citare in altri romanzi libri immaginari, come l’enciclopedia in più volumi «Vita» del Baron Bodissey.
Spesso i protagonisti di Vance sono personalità forti, alle volte per loro stesso carattere, altre volte notevolmente forzati dalle circostanze, in opposizione a una società febbricitante che talvolta riescono pure a cambiare, spesso senza ricevere applausi. Sovente il protagonista è un antieroe, come il già citato Cugel, che subisce i tiri e le beffe di quella che lui, ma non il lettore, considera una sfortuna oltraggiosa.
Un altro talento speciale di Vance è il racconto di storie-nelle-storie, mediante l’uso di citazioni in apertura di paragrafo, per esempio nelle avventure di Marmaduke ne «Il Libro dei Sogni», il quinto libro del ciclo dei Principi Demoni, e l’uso delle note a piè di pagina. La capacità di un narratore di usare efficacemente le note a piè di pagina è rara, quasi unica; altri esempi possono essere Terry Pratchett della serie del «Mondo Disco» e lo spassoso Jonathan Stroud nel “ciclo del demone Bartimeus”.
Spesso Vance espone la natura piuttosto arbitraria delle società descritte, per mezzo di note linguistiche di termini intraducibili. Questi termini delineano concetti centrali per la società descritta, ma sono completamente alieni al lettore.
In effetti la capacità di Vance di illustrare senza diminuire l’attenzione del lettore è parte del fascino del suo lavoro, ricco nella «Capacità Negativa» lodata da Keats ed essenziale per la fantasy e la fantascienza. Il fatto di non poter immaginare l’aspetto di un «deodand» o di non aver mai sentito parlare della «coppa di carne di Miscus» non intralcia in alcuna maniera la capacità di seguire la storia.
Un luogo comune nei lavori di Vance è il villaggio (o pianeta) in cui gli abitanti praticano con la massima sincerità un sistema di credenze assurdo, ripugnante o entrambi. Vance usa questi episodi per bastonare elegantemente il dogmatismo in generale e quello religioso in particolare; in particolare nella “trilogia di Lyonesse” si diverte a tirare frecciate al Cristianesimo. Quando, nel corso dei secoli, così tante persone hanno dato credito a molte credenze – pare riflettere Vance – chi ha il diritto di imporre il suo dogma agli altri?
«Temo che il rispetto che portate ai vostri simili finisca per rinviarli rapidamente alle loro fisime di resistenza, alle loro idee ostinate, alla loro stupidità innata — insomma, ai cavoli loro. Che si arrangino! È in questo, credo, che consista in fondo quel fermarsi davanti alla loro libertà che spesso guida la vostra condotta. Libertà d’indifferenza, si dice, ma non certo della loro, bensì piuttosto della vostra»: così Jaques Lacan in «Il seminario VIII – Il transfert» (traduzione italiana di Giacomo Contri, Einaudi, 1985, p. 42).
Accusato a volte di sessismo e spesso di lingua tagliente, Jack Vance ci lascia in eredità uno specchio alchemico della nostra società, una riflessione divertente e divertita.

Redazione
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