Chiapas: marcia dei 40mila

di David Lifodi

Sono apparsi di nuovo in pubblico in coincidenza con il ritorno di un presidente del Partido Revolucionario Institucional (Pri) al potere, ma non erano mai scomparsi, hanno semplicemente continuato a tessere la rete per un altro mondo possibile seguendo il loro calendario. Gli zapatisti hanno riaffermato la loro presenza nell’universo della resistenza globale il 21 dicembre scorso: in marcia nelle principali città che avevano segnato il levantamiento del 1 gennaio 1994 (San Cristóbal de las Casas, Ocosingo, Las Margaritas, Palenque e Altamirano), hanno dimostrato di rappresentare un ulteriore tassello nel Messico agitato da molteplici conflitti sociali.

Le quarantamila basi d’appoggio zapatiste che hanno partecipato alla mobilitazione avevano più di un motivo per tornare sulla scena pubblica. Innanzitutto, quando l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (Ezln) apparve militarmente nel gennaio 1994, il Pri aveva condotto il Messico ad uno dei punti più bassi della storia del paese. L’allora presidente Salinas de Gortari fu l’artefice del disastro, promotore del dialogo solo a parole, dichiarazioni roboanti e poco altro. Tre settimane dopo l’insediamento a Los Pinos del priista Enrique Peña Nieto, caratterizzato dal rifiuto di un paese intero e culminato nella violenta repressione poliziesca contro gli studenti del movimento YoSoy132, l’Ezln ha fatto sapere al nuovo mandatario che non ha smobilitato, tutt’altro. Come dire: dal salinismo alla presidenza Zedillo, da Vicente Fox a Felipe Calderón (gli ultimi due della destra clerico-fascista del Partido Acción Nacional), abbiamo continuato a lavorare nelle cinque giunte autonome di buon governo, ci siamo anche noi nell’area della conflittualità sociale che si oppone alle tue politiche autoritarie. Non è un caso, infatti, che tra i giovani di YoSoy132, il sindacato degli elettricisti, il Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad del poeta Javier Sicilia, e la stessa corrente di sinistra all’interno del Movimiento de Regeneración Nacional (Morena, una delle liste più vicine a Andres Manuel López Obrador, il candidato a Los Pinos al quale, per la seconda volta, è stata negata la presidenza a seguito di un processo elettorale fraudolento), siano in molti a simpatizzare per gli zapatisti e condividere la loro lotta. In secondo luogo, le marce zapatiste hanno avuto il loro svolgimento in un giorno simbolo per le comunità indigene:quindici anni fa, il 22 dicembre 1997, il governo messicano di Ernesto Zedillo commissionò alla Mascara Roja, uno dei gruppi paramilitari maggiormente presenti nel Chiapas, la cosiddetta strage di Acteal,  l’assassinio di 45 indigeni tzotziles, appartenenti all’organizzazione cristiana Las Abejas, mentre erano riuniti in preghiera nella piccola chiesa del municipio di Chenalhó. Il governò tentò di derubricare l’episodio ad un non meglio precisato conflitto etnico, ma in realtà la spedizione punitiva paramilitare era da inserirsi in un contesto volto a disarticolare la base sociale di appoggio alle lotta zapatista. La mattanza di Acteal ebbe una risonanza internazionale: anche in Italia, dove allora esistevano numerosi comitati di solidarietà con il Chiapas, la strage destò un’enorme impressione. A Roma manifestarono quasi cinquantamila persone per esprimere il loro sostegno alle comunità indigene e chiedere la fine della guerra a bassa intensità nei municipi in territorio zapatista. In terzo luogo, è altrettanto significativo che l’Ezln e le sue basi d’appoggio si siano ripresi la scena nell’ultimo giorno del ciclo maya, il 21 dicembre, che rappresentava la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova era, carica di speranze, rinnovamento e attesa per una serie di accordi rimasti lettera morta. Il principale riguarda l’applicazione, mai avvenuta, degli “accordi di San Andrés Larráinzar” (località ribattezzata San Andrés de los Pobres), che prevedevano il riconoscimento dei diritti e dell’identità delle comunità indigene (alcune tra le principali etnie sono tzotziles, tzeltales, ch’oles, tojolabales e zoques) sanciti nel febbraio 1996 dalla Comisión de Concordia y Pacificación (Cocopa). Da allora la situazione,  per le comunità indigene, è ulteriormente peggiorata: il furto delle terre, compiuto dalle multinazionali (su gentile concessione dell’esecutivo di turno), lo sfruttamento intensivo del territorio, messo in atto dall’agroindustria e dalle imprese energetiche messicane e straniere, ha ulteriormente peggiorato la situazione. Eppure, ha notato Luis Hernández Navarro (uno dei giornalisti storici, che ha seguito più da vicino la lotta zapatista fin dall’inizio) su La Jornada in un articolo scritto all’indomani della mobilitazione del 21 dicembre, nei municipi autonomi ribelli “le autorità delle basi di appoggio si governano da sole, esercitano la giustizia e risolvono i conflitti agricoli. Nei loro territori gli zapatisti hanno fatto funzionare il loro sistema di salute ed educazione al di fuori dei governi statali e federali. Hanno organizzato la produzione e la commercializzazione e hanno mantenuto in piedi la loro struttura militare”. In effetti, troppe volte lo zapatismo è stato dato per morto, come se la rivoluzione del sud-est messicano si limitasse solo ai comunicati del subcomandante Marcos o comunque alla visibilità dei suoi dirigenti più conosciuti, dalla comandante Esther (quella che il 28 marzo 2001 pronunciò il celebre discorso sulla discriminazione delle donne indigene al termine della Marcia del Colore della Terra conclusasi a Città del Messico) a David, Tacho, Zebedeo e a tutto il Comité Clandestino Revolucionario Indígena (Ccri). Gli zapatisti sono rimasti il referente etico e morale di buona parte del Messico dal basso ed hanno rappresentato una delle esperienze di lotta più avanzate in tutta l’America Latina, con cui i movimenti sociali nati durante la primavera messicana dell’ultimo anno e mezzo hanno condiviso marginalità, ingiustizia ed esclusione sociale. Nonostante Marcos non abbia partecipato alla marcia, la sua ultima apparizione in pubblico risalga ad almeno quattro anni fa (“El Festival de la Digna Rabia”, dicembre 2008) e l’ultimo scambio epistolare sia datato dicembre 2011 (con il filosofo Luis Villoro), quando i marciatori delle basi d’appoggio hanno fatto il loro ingresso nelle cinque città chiapaneche simbolo del levantamiento del 1 gennaio 1994, sono stati accolti con tutti gli onori.

Troppo spesso, anche a sinistra, si è celebrato un anticipato quanto fastidioso de profundis sul movimento zapatista: il Messico della legalità, del protagonismo studentesco, delle resistenze ambientali, contadine e sindacali potrà resistere e garantirsi un futuro grazie anche a questi indigeni ribelli, con il volto coperto dal passamontagna o dal paliacate che per primi, diciannove anni fa, denunciarono gli effetti nefasti del neoliberismo e misero in crisi l’oligarchia dominante del loro paese.

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