China Miéville: «La città e la città»

«E’ più stupido e infantile presumere che ci sia una cospirazione o che non ci sia?». Così riflette l’ispettore Borlù. Sarebbe un quesito sconcertante anche nel nostro mondo ma suona un bel po’ diverso per chi vive a Beszel e nella sua gemella siamese/nemica Ul Qoma ma può vedere una sola delle due città pure quando passa attraverso l’altra.

La magia dell’inglese China Miéville è di farci abbandonare quasi subito l’incredulità e di abituarci che «La città & la città» (Fanucci editore: 366 pagine per 12.90 euri, traduzione di Maurizio Nati) possano davvero esistere l’una dentro l’altra ma ognuna invisibile ai cittadini “stranieri” che lì abitano. Dove accade? In una immaginaria repubblica post-sovietica. Chi legge il romanzo non saprà se l’anomalia di Beszel e Ul Qoma sia tecnologica, magica, una frattura spazio-temporale, uno spicchio di mondi alieni (come nel romanzo-film «Stalker») oppure lo scherzo di un dio burlone, di un pagliaccio cosmico. Non importa saperlo. Perché la vera stregoneria, il mistero inesplicabile è da dove Miéville abbia tirato fuori queste storie.

Le frasi che riempiono le quarte di copertina – o le fascette – dei libri sono quasi sempre improbabili, strillate, esagerate. Prendete questa (di «Los Angeles Times»): «La scrittura di China Miéville ricorda un meraviglioso mix tra Philip Dick, Raymond Chandler e Franz Kafka». E’ una ridicolaggine, pensa qualunque persona di buon senso e discreta cultura. Ma se, a libro chiuso, la si rilegge … beh ha ragione il «Los Angeles Times» e quanto al buon senso deja vu e alla cultura statica il loro posto è nella saccoccia; non tirateli fuori: tantomeno con Miéville.

La trama? Ah-ah-ah. Come fa il più abile recensore (che magari non sono io) a riassumerla senza svelare ciò che non deve esser detto e neppure ipotizzato? Esiste davvero Orciny, una terza città, sopra o sotto le due? Ed è lei la «Violazione» – che vigila contro chi infrange le leggi della totale non comunicazione fra Beszel e Ul Qoma – o ne è invece acerrima nemica? Sono in buona fede i nazionalisti e i loro antagonisti, gli Unif che vorrebbero unire le città nemiche, o sono tutti manipolati?

Vedere e disvedere. Ingressi ed egressi. Camminare e vestirsi in modi differenti dentro geografie minacciose, incomprensibili ma parallele anzi sovrapposte. Colori permessi. Essere educati a non guardare e a temere i bambini che sono «sacche di infezione» con i loro occhi non “educati”. Dove tutto è segreto serve «postulare segreti segreti»? In questo manicomio si muove l’ispettore Tyador Borlù di Beszel per trovare chi ha ucciso una studentessa di archeologia – o quello è un paravento? – venuta dagli Usa. Il primo dubbio è come mai la Violazione non intervenga. Il secondo è se il suo collega/rivale di Ul Qoma sia un alleato. Questi due quesiti – e un’altra ventina circa – avranno una risposta dettagliata mentre rimarrà in sospeso l’antica questione se chi va in cerca di rogne sempre più grandi sia un volontario, un predestinato, un eroe o un masochista.

Qualche passaggio memorabile. La storia del Doplir Cafè, un locale ebreo e uno musulmano, che occupano lo stesso luogo ma nessuno sa se siano un locale o due. La felice invenzione di un «pedone di Schrodinger» che, come il gatto di un celebre paradosso scientifico, è contemporaneamente vivo e morto, in un luogo e in nessuno. La variante del terriccio ispirata dal film «La grande fuga» (correttamente citato). A proposito di cinema, questo romanzo nei suoi momenti più ironici ricorda, sia pure alla lontana, un grande film, «La sposa siriana», che in Italia non ha avuto il pubblico che meritava: era una tragi-farsa, o «commedia dell’assurdo» secondo la definizione di Morando Morandini, ambientata nei luoghi che in Italia chiamiamo erroneamente Medio Oriente.

PS: se mi è consentito vorrei salutare Miéville (anche lui è iscritto al servizio gratuito del Telepate Skipe suppongo) e dirgli che questo romanzo è entrato in «My favorite things», con al sax ovviamente John Coltrane.

 

Redazione
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2 commenti

  • Di Mièville sto leggendo Perdido Street Station, che inizia lento ma a metà diventa avvincente, pur rimanendo un po’ superficiale nei personaggi. Questo titolo invece mi fa venire l’acquolina in bocca, lo leggerò molto presto. Grazie Daniele.

  • Francesco Masala

    potrebbe sembrare come una Berlino divisa da un muro, senza il muro, che è invisibile, ma ci sono i muri interiori, tutti li vedono, ma senza alzare lo sguardo, quella è la regola.

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