Choman Hardi: «La rabbia della sopravvissuta»

97esimo appuntamento con “la cicala del sabato” (*)

La rabbia della sopravvissuta

 

Sono stufa di testimoniare il mio dolore –

giornalisti che mi chiedono di cantare una ninnananna per

i miei figli morti, da mandare in onda durante le commemorazioni,

funzionari governativi che usano la mia storia come propaganda

durante le elezioni, attiviste che mi forzano a parlare

dello stupro solo per dimostrare che le donne sono oppresse,

ricercatori che dicono che stanno registrando la storia quando

non fanno altro che girarmi il coltello nella piaga.

 

È la mia storia, non la vostra. Dopo che avete spento

i registratori io rimarrò in casa a piangere.

Perché la gente non capisce? non sono un eroe,

né sono Dio, e non sopporto parlare di perdono.

Per anni sono andata a ogni veglia. Ho pianto a ogni

funerale. Continuavo a chiedere: Perché? Ma non

capirò mai. Ora a malapena sopravvivo piantando

cetrioli, e lei mi ha interrotto, credendo

 

in un mondo diverso dove regna la giustizia, guardando

i figli che mi restano mentre dormono. Risparmiatemi la vostra disperazione

e comprensione. Non potete resuscitare i morti, sfamare

i miei figli affamati, portarmi dignità e rispetto.

Prendetevi la storia e andatevene via. Non tornate mai

più, non ne voglio sapere.

[da «Considering the Women», traduzione di Paola Splendore per «La crudeltà ci colse di sorpresa» Edizioni dell’asino]

LA CICALA ringrazia Nino per le note biografiche, riprese dall’introduzione di Paola Splendore all’unico libro di Choman Hardi per ora tradotto da noi, «La crudeltà ci colse di sorpresa» pubblicato nel 2017 con una nota di Hevi Dilara:   «Choman Hardi è una poetessa curda nata nel 1974 a Suleymanya, in Iraq, ed è figlia del poeta Ahmed Hardi. A cinque anni è in fuga verso l’Iran insieme alla sua famiglia. Nel 1984 l’amnistia concessa ai curdi consente il loro ritorno in Iraq, ma la tregua è di breve durata. Nel 1988, l’operazione militare al-Anfal, scatenata da Saddam Hussein nel momento più duro del conflitto fra Iraq e Iran con lo scopo di eliminare la popolazione curda, colpisce una vasta area del nord iracheno con bombe a gas asfissianti: duemila i villaggi rasi al suolo, più di 100.000 le vittime, moltissime persone costrette a cercare scampo altrove e fra queste c’è anche la sua famiglia. Nel 1993 Choman Hardi sarà accolta come rifugiata in Inghilterra, dove studia filosofia e psicologia al Queen’s College di Oxford. Ritorna in Kurdistan per una ricerca sulle donne sopravvissute al genocidio, pubblicata nel volume “Gendered Experience of Genocide” (2011). Dal 2014 risiede nella sua città natale, Suleymania, dove insegna all’American University of Iraq e dove ha fondato il Centro di Studi di genere. Ha pubblicato tre raccolte in curdo e due in lingua inglese, “Life for Us” (2004) e “Considering the Women” (2015).

(*) Ricordo che qui, il sabato, regna “cicala”: libraia militante e molto altro, codesta cicala da 15 anni invia ad amiche/amici per 3 o 4 giorni alla settimana i versi che le piacciono; immaginate che gioia far tardi la sera oppure risvegliarsi al mattino trovando una poesia. Abbiamo raggiunto uno storico accordo: lei sceglie ogni settimana fra le ultime poesie inviate quella da regalare alla “bottega” e io posto. Perciò ci rivediamo qui fra 7 giorni.  Come ho scritto 7 giorni fa propongo – per festeggiare le prime 100 cicalate in bottega – di fare qualcosa, voi che dite? [db]

 

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