Ci manca(va) un venerdì -15

Vendetta, giustizia, legittima difesa, conseguenze indesiderate: dove Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia si confronta con Daniel Pennac, Frank Miller e i samurai

Nel grande accumulo di missive trovo quella di un tale che si firma in modo altisonante «Il pacifista»: mi lascia questa frase estrapolata da un’opera non meglio identificata dell’argutissimo scrittore francese Daniel Pennac: «La vendetta è il territorio infinito delle conseguenze indesiderate, Julie. Tuo padre governatore non te l’ha spiegato abbastanza? Il trattato di Versailles ha prodotto tedeschi vessati che hanno prodotto ebrei erranti che fabbricano palestinesi erranti che fabbricano vedove incinte dei vendicatori di domani».
E’ così: alla lunga gli effetti collaterali di una vendetta possono essere maggiormente nocivi del “piacere” immediato che reca quella vendetta.
Si può anche raddrizzare il torto, ma alla fine le conseguenze non si fanno attendere e gli effetti si propagano a macchia d’olio, secondo lo schema della teoria del caos, in cui un atto uguale nelle stesse condizioni ambientali, produce effetti diversi.
Quanto può essere giusta una vendetta?
«Giustizia e vendetta… be’, sono due cose molto distanti tra loro… ed è un dovere dell’uomo civilizzato quello di avere grande rispetto per l’una… e disprezzare l’altra. Questo è un dovere supremo. E anche molto difficile. Si tratta di un test che mette a dura prova ciò che siamo. Siamo esseri umani, beati tra tutte le altre creature e con il dono di una guida divina… O non siamo null’altro che bestie? Siamo in grado di dominare gli istinti animali che ci portiamo dietro dalle caverne? Possiamo elevarci al di sopra dell’impulso di restituire il colpo quando siamo feriti? Siamo abbastanza forti da abbracciare gli insegnamenti di nostro Signore… di allontanare il nostro odio e di nutrire la nostra anima con il dolce nettare dell’amore… e della pietà?»: così il fumettista Frank Miller fa dire a Marv, uno dei suoi personaggi più riusciti nella saga di «
Sin City», la città del peccato.
Ordunque la giustizia è roba per società civilizzate, che aborrono la vendetta, considerata un’eredità scomoda dei nostri antenati (come d’altronde lo sono tutte le emozioni?) forse addirittura un retaggio dei nostri antenati acquatici, anfibi o dei grandi sauri che un tempo abitavano questa terra.
La vendetta è un richiamo del sangue, non disciplinato da una lunga educazione personale, ma può essere l’immediata risposta a una condizione estrema dove si trova in gioco la propria vita che l’altro tenta di estinguere.
A un attacco ingiustificato si risponde sempre? Penso che ognuno di noi lo farebbe, io per primo: in una condizione estrema, ho risposto alla violenza ingiustificata con una violenza di compensazione per poter sopravvivere.
Ognuno di noi dovrebbe trovarsi davanti alla morte per poter giudicare riprovevole un atto di risposta per salvare la propria vita.
«Il Codice del Samurai va cercato nella morte. Si mediti quotidianamente sulla sua ineluttabilità. Ogni giorno, quando nulla turba il nostro corpo e la nostra mente, dobbiamo immaginarci squarciati da frecce, fucili, lance e spade, travolti da onde impetuose, avvolti dalle fiamme in un immenso rogo, folgorati da una saetta, scossi da un terremoto che non lascia scampo, precipitati in un dirupo senza fine, agonizzanti per una malattia o pronti al suicidio per la morte del nostro signore. E ogni giorno, immancabilmente, dobbiamo considerarci morti. È questa l’essenza del Codice del Samurai» scrive Yamamoto Tsunetomo nell’«
Hagakure». (nota 1)
Di contro la furia e la sete di sangue possono dominare l’essere umano. Come riporta Tsunetomo: «Un uomo sosteneva: “Io conosco la forma della ragione e dell’errore”. Quando qualcuno gli chiedeva chiarimenti al riguardo, egli rispondeva: “La ragione ha quattro angoli e non si muove neppure in una situazione estrema. L’errore è rotondo e, non distinguendo tra bene e male, tra giusto e sbagliato, si lascia rotolare ovunque da una parte e dall’altra”».
La vera risposta della vendetta è l’essere pronti a morire? In questo caso, si potrebbe affermare che mai vendetta migliore è quella che cambia lo stato delle cose stabilito da coloro che hanno commesso ingiustizia, arrogandosi diritti che non sono propri, contando solo sulla egoistica soddisfazione dei propri bisogni e delle proprie opportunità.
«L’uomo calcolatore è un codardo. Affermo questo perché i calcoli concernono sempre il guadagno e la perdita, e l’opportunista si preoccupa sempre di ciò. Morire è una perdita, vivere è un guadagno ed è così che spesso si decide di non morire, ma questo è un atto di viltà. Allo stesso modo, chi ha ricevuto una buon’educazione può mascherare, con la sua intelligenza ed eloquenza, la codardia o la cupidigia che costituiscono la sua vera natura. Molte persone non se ne rendono conto» ricorda ancora Tsunetomo.

Di sicuro, la giustizia non è un atto di codardia, ma richiede una grande saggezza e una pratica costante da parte della persona. Solo attraverso una forte educazione, unita a un disprezzo per la propria vita e all’amore del caos, si può davvero raggiungere l’amore universale e il rifiuto dei calcoli terreni e della cupidigia umana, cioè un mondo dove parole come ingiustizia o vendetta semplicemente non hanno senso.

NOTA 1 (sintetizzata) da Wikipedia

«Hagakure» è una delle opere letterarie più significative tramandateci dal Giappone, pubblicata nel 1906 ma composta due secoli prima. «Hagakure» significa letteralmente “nascosto dalle foglie” (oppure “all’ombra delle foglie”; il titolo completo era «Hagakure kikigaki» cioè “annotazioni su cose udite all’ombra delle foglie”) e l’opera trasmette l’antica saggezza dei samurai sotto forma di brevi aforismi dai quali emerge lo spirito del Bushidō (la Via del guerriero) con la differenza di rivolgersi al Samurai solitario (rōnin) che può venire a trovarsi, per una serie di vicissitudini che non dipendono dalla sua volontà, senza un Signore da servire. Questa peculiarità attrasse lo scrittore e drammaturgo Yukio Mishima che vedeva nel periodo storico da lui vissuto il riproporsi di questa situazione che viveva con profonda sofferenza.

L’autore Yamamoto Tsunetomo fu al servizio del daimyo Nabeshima Mitsushige (1632-1700) del feudo di Saga in un’epoca di pace e di inizio della decadenza dei samurai. Quando il daimyo morì, Yamamoto divenne monaco buddhista e si ritirò in monastero dove compose, aiutato dall’allievo Tashiro Tsuramoto, lo «Hagakure», l’opera sullo spirito e il codice di condotta del samurai. Esso ebbe ampia diffusione, e dopo la pubblicazione subì la strumentalizzazione del militarismo giapponese della prima metà del XX secolo al punto che i Kamikaze portavano con sé questo testo come ultimo compagno di morte.

Il tema principale del testo è la morte, non come semplice estinzione della vita, piuttosto nel senso psicologico dell’eliminazione dell’io. Lo «Hagakure» fu considerato un libro fondamentale e profondamente ispirante da Yukio Mishima. Egli, nell’estate del 1967, cioè tre anni prima del suo clamoroso seppuku (suicidio rituale) scrisse un commento ai primi tre volumi dell’opera. Questo libro, edito in Italia con il titolo «La via del samurai» (Bompiani 1987) costituì, oltre che un interessante approfondimento sull’opera, un vero e proprio testamento spirituale di Mishima. […] «Hagakure» è una raccolta di princìpi morali ma anche di consigli pratici, norme comportamentali, notizie storiche ed episodi esemplari di valore. Il libro che in originale consta di 11 volumi non è mai stato tradotto integralmente in lingua italiana, a causa del fatto che molte delle sue parti si riferiscono così specificamente alla cultura giapponese da risultare ostiche alla lettura da parte di un pubblico italiano.

Redazione
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Un commento

  • ho conosciuto Hagakure dopo aver visto “Ghost dog”, di Jim Jarmush.
    lì Forest Whitaker legge il libro giapponese.
    il titolo completo del film è: Ghost Dog: The Way of the Samurai

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