Ci manca(va) un Venerdì – 19

Violenza, pena, leggi, dormire sotto i ponti: dove un «astrofilosofo» del calibro di Fabrizio Melodia incontra Cesare Beccaria, Petronio Arbitro, Solone, Anatole France e persino il signor P2-1816


«Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi»: così scriveva Cesare Beccaria, nonno del ben più noto Alessandro Manzoni, nel testo fondamentale dell’Illuminismo italiano «Dei delitti e delle pene» che potete trovare facilmente in ogni libreria.

Mi capita spesso di rileggere questo librino essenziale, scritto in un milanese scorrevole e di sicuro impatto. Fa pensare molto: come distinguere pena pubblica da violenza privata? E’ proprio di oggi la bonaria ammenda e lo sconto di pena a favore di Silvio Berlusconi, della cui vita spregiudicata si è fatto modello paradigmatico per una filosofia di vita: quella che, piaccia o meno, fa parte ormai integrante di un neoliberismo all’italiana andatosi a formare già alla fine degli anni ’70 per consolidarsi all’inizio dei ’90, giusto in corrispondenza con l’entrata in campo di “Sua Emittenza” (che su codesto blog viene abitualmente chiamato il signor P2-1814 per ricordare, con il suo numero di iscrizione, che fu in una loggia massonica segreta, eversiva, nemica della Costituzione e di ogni libertà democratica) nella sfera politica italiana.
La polemica infuria e non a torto: il “buonismo italiano” è quasi leggendario, purtroppo non supportato da un’autentica politica di reinserimento dei carcerati, come invece avviene in Svezia: il governo svedese, in modo molto fiero, ha annunciato la chiusura di ben due istituti carcerari (che saranno adibiti a strutture di pubblica utilità) e politiche di inserimento dei criminali nel tessuto sociale completamente a carico dello Stato. Il risultato è un calo notevole della criminalità, mentre è invece in aumento la violenza domestica.
Questo per dire: che senso ha la legge e la punizione, se alla fine si risolve tutto a tarallucci e vino, soprattutto quando i puniti sono i cosiddetti uomini potenti e ricchi?
«Che possono le leggi, là dove solo il denaro ha potere / o dove la povertà non ha mezzi per vincere? / Persino quei filosofi, che passano i giorni gravati dalla cinica bisaccia, / finiscono anch’essi col vendere a fior di quattrini i loro assiomi. / Pertanto anche un procedimento legale è merce da mettere a mercato / e anche il cavaliere che siede in giudizio non sdegna di farsi comperare»: lo scriveva Petronio Arbitro, noto cortigiano e scrittore dell’antica Roma, il cui «
Satyricon» fu reso celebre dal bellissimo film di Federico Fellini.
Come possono le leggi avere senso se i potenti comprano la giustizia a loro vantaggio? Come si può definire un popolo libero quando affida la propria rappresentanza a criminali di chiara fama, scampati alla giusta punizione solo per vizi di forma, leggi inventate sul momento, prescrizioni esercitate ad arte da abili avvocati nel perfetto esercizio delle loro funzioni?
E dunque: come si può chiedere a un popolo di rispettare le leggi quando per primi sono i massimi rappresentanti a non farlo?
«Le leggi sono come ragnatele, che rimangono salde quando vi urta qualcosa di molle e leggero, mentre una cosa più grossa le sfonda e sfugge» recita una bellissima massima attribuita al poeta e uomo politico ateniese Solone.
Il popolo dovrebbe in tutti i modi possibili e immaginabili rafforzare al massimo il rispetto di regole universali e uguali per tutti, prima che il disastro avvenga, poiché nulla impedisce una deriva quando un grave delitto rimane impunito per mancanza o per corruzione dell’apparato che avrebbe dovuto provvedere.
«La legge, nella sua maestosa equità, proibisce ai ricchi così come ai poveri di dormire sotto i ponti, mendicare per le strade e rubare il pane» ironizzava Anatole France. Se le leggi sono il prodotto della mala condotta di una società corrotta, allora diventano una gabbia terribile, dove i lupi sbranano gli agnelli, dove ovviamente solo i poveri dormono sotto i ponti e rubano il pane mentre i ricchi – nelle loro belle case – si indignano per la gentaglia che è finita (per colpa della loro rocchezza e dell’ingiustizia che essa genera) sotto quei ponti.
Ma se questa situazione si generalizza cosa potrà impedire che i poveri con azioni violente e incontrollabili si vendichino o – sarebbe certo più giusto per l’interesse collettivo – si organizzino per far cessare l’ingiusta offesa?
Il monito, citato all’inizio, di Cesare Beccaria ci ricorda come evitare la guerra di tutti contro tutti, la violenza come regola e necessità, senza pietà per nessuno.

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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