Ci manca(va) un venerdì- 46

Se l’astrofisico Stephen Hawking e l’astrofilosofo Fabrizio Melodia chiacchierano di alieni e viaggi spaziali, quasi fosse un Marte-dì, ma poi tornano sul pianeta Terra (mal messo) e in particolare nel Veneto

CMUV-StephenHawking

«Credo che la sopravvivenza della specie umana dipenderà dalla sua capacità di vivere in altri luoghi dell’universo, perché il rischio che un disastro distrugga la Terra è grande. Quindi vorrei suscitare l’interesse pubblico verso i voli spaziali»: così Stephen Hawking in un’intervista (ripresa da «Repubblica», il 26 settembre 2015) dove si lascia andare a parecchie riflessioni per il microfono di Nuno Dominguez e Javier Salas.
Da poco protagonista della sua biografia cinematografica «
La teoria del tutto», a opera del talentuoso regista James Marsh, il grande fisico ormai distrutto dalla sua malattia, riflette sulle grandi domande dell’universo, arrivando anche a lanciarsi a punte di estremo «pessimismo dell’intelligenza», nell’affermare: «Se gli extraterrestri venissero a trovarci, il risultato sarebbe molto simile a quello che accadde quando Colombo sbarcò in America: non fu una cosa buona per i nativi americani. Questi extraterrestri avanzati potrebbero diventare nomadi, e cercare di conquistare e colonizzare tutti i pianeti dove riuscissero ad arrivare. Per il mio cervello matematico pensare alla vita extraterrestre è qualcosa di razionale. La vera sfida è scoprire come potrebbero essere questi extraterrestri».
Sono affermazioni pesanti ma veritiere/verosimili: la distruzione del nostro pianeta è un dato di fatto ormai incontestabile, non solo alla luce della cultura ecologista ma soprattutto all’atto pratico e scientifico. Assistiamo ogni giorno agli effetti della tropicalizzazione del clima, con l’aumento lento e costante della temperatura terrestre, aiutato notevolmente dall’effetto serra, causato dai gas di scarico e dall’inquinamento industriale, oltre al progressivo impoverimento e riscaldamento degli oceani.
In sostanza, i raggi solari entrano nell’atmosfera ma non ne escono a causa della cappa di vapore acqueo creato dal calore eccessivo. Gli oceani si riscaldano assorbendo tale calore, ma distruggendo la propria fauna interna, fenomeno che abbiamo potuto toccare con mano già molti anni fa, con il fenomeno della mucillagine, ovvero le alghe marine morte per mancanza d’ossigeno e calore eccessivo. Gli scienziati prevedono, nei prossimi cinquanta anni, un innalzamento globale della temperatura di 5 gradi celsius, i cui effetti già si stanno verificando con la drammatica riduzione dei ghiacci polari e il distacco di grossi ammassi del Polo Sud, grandi come la nostra penisola, come accaduto di recente, ma ben poco visti nei telegiornali.
Alcuni scienziati, come il fisico e matematico Freeman Dyson (*) tendono a minimizzare: «Il riscaldamento non è globale ma locale. I ricercatori che lavorano con i modelli climatici tendono a sovrastimarli, credendo che rappresentino la realtà. Così il riscaldamento globale è diventato un’ideologia». Forse è la scienza intera a essere diventata per lo più un’ideologia da vendere al miglior offerente, come suggeriscono queste parole dello storico Sergio Romano: «La battaglia contro il surriscaldamento globale è in ultima analisi una battaglia tecnologica e sarà vinta quando la vendita e l’acquisto di nuovi impianti diventeranno un affare per il venditore e il compratore. In altre parole l’ambientalismo avrà la meglio quando diventerà un business. I segnali esistono e mi auguro che l’Italia sia pronta a coglierli».
Di certo qui nel Veneto dove vivo non sono stati per nulla colti nel mantenere la cultura agricola della regione, nonostante i provvedimenti per la zootecnia del presidente Zaia e l’assicurazione che non si sarebbe cementificato ulteriormente un territorio già per se stesso ampiamente martoriato. Con le grandi opere quali MOSE, Quadrante di Tessera, Alta Velocità ferroviaria, Pedemontana (autorizzata da Zaia in persona, nonostante l’assicurazione che non l’avrebbe avallata) il territorio si è visto togliere ancora alberi e terreni drenanti, arrivando a un disastro idrogeologico senza precedenti, dove il tornado è solo l’ultimo grave sintomo di una malattia diffusissima, non solo nella provincia di Venezia.
Le affermazioni di Hawking appaiono quasi ironiche dinanzi alla realtà dei fatti e a tutta la letteratura fantascientifica di stampo ecologista: dal feudalesimo del ciclo di «Dune» di Frank Herbert, passando per John Brunner e le sue apocalissi ecologiste, per sfociare nella trilogia dell’Area X di prossima uscita in Italia per Einaudi, a opera dello scrittore statunitense Jeff VanderMeer, in cui la natura dichiara guerra all’umanità, una serie a metà fra il telefilm «Lost», Lovecraft e il sempre gagliardo Philip K. Dick, che continua a trionfare negli ambienti intellettuali molto radical chic.
Se la natura vincerà la guerra con l’umanità (cioè se l’ecologismo nomn sarà un buon affare… per le industrie?) l’unica via di salvezza per il genere umano è l’emigrazione forzata verso un altro pianeta, con la speranza di essere davvero soli nell’universo, in modo da non causare una guerra con il popolo alieno invaso.
Lascio concludere Stephen Hawking: «Come si spiega dunque la mancanza di visitatori extraterrestri? E’ possibile che là, tra le stelle, vi sia una specie progredita che sa che esistiamo, ma ci lascia cuocere nel nostro brodo primitivo. Però è difficile che abbia tanti riguardi verso una forma di vita inferiore: forse che noi ci preoccupiamo di quali insetti o lombrichi schiacciamo sotto i piedi? Una spiegazione più plausibile è che vi siano scarsissime probabilità che la vita si sviluppi su altri pianeti o che, sviluppatasi, diventi intelligente. Poiché ci definiamo intelligenti, anche se forse con motivi poco fondati, noi tentiamo di considerare l’intelligenza una conseguenza inevitabile dell’evoluzione, invece è discutibile che sia così. I batteri se la cavano benissimo senza e ci sopravviveranno se la nostra cosiddetta intelligenza ci indurrà ad autodistruggerci in una guerra nucleare. […] Lo scenario futuro non somiglierà a quello consolante di “Star Trek”, di un universo popolato da molte specie umanoidi, con una scienza e una tecnologia avanzate ma fondamentalmente statiche. Credo che invece saremo soli e che incrementeremo molto, e molto in fretta, la complessità biologica ed elettronica».

(*) Freeman Dyson è quello della «sfera di Dyson» che tutti i bravi fantascientifici hanno avuto modo di conoscere in vari romanzi fra cui il bellissimo «Guida galattica per autostoppisti» di Douglas Adams; ma vedi anche Comete, teletrasporto e Olaf Stapledon, recensione a un suo libro, tornato di recente nelle edicole.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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