Ci manca(va) un venerdì – 55

Notate come l’astrofilosofo Fabrizio Melodia qui si destreggia fra Wittgenstein, Basaglia, Flaubert, Galimberti e il Prozac mentre Simone Cristicchi e Franco Battiato cantano

CMUVgalimberti-TheodoreGericault
«Mi era venuto il dubbio che la filosofia fosse una grande difesa contro la pazzia. […] E ancora di questo sono convinto oggi, perché sono convinto che i nevrotici studiano psicologia e gli psicotici filosofia. Perché se noi consideriamo, chi si iscrive a filosofia? Si iscrive a filosofia una persona che vuole risolvere dei problemi, senza andare da qualcuno. […] Sotto ogni filosofo sottintendo un folle che vuole giocare un po’ con la sua follia, e al tempo stesso non vuole diventar folle e quindi si arma per tenere a bada attraverso una serie di buoni ragionamenti, che qui si imparano… a tenere a bada la follia»: così scrive il noto filosofo e psichiatra italiano Umberto Galimberti, docente a Cà Foscari e temuto dagli studenti, non casualmente a quanto pare.
In effetti, temo che Galimberti non abbia capito una cosa fondamentale: la filosofia non è una difesa contro la pazzia, un antidoto, un rimedio taumaturgico e tantomeno è meglio del Prozac. La filosofia è la pratica attiva di infilare chiodi nel muro della Ragione, per sgretolarla nel profondo, fino a far esplodere tutto ciò che di “normale” ha solo il sentore. E’ un’attività nobile, quella della filosofia, e di certo i veri filosofi non cercano di curarsi ma di armarsi per bene, in vista della difficile lotta contro la Ragione, vera malattia dell’essere umano, al pari della figlia Verità, la cui madre è la Storia.
Ed è una vecchia storia questa, ma Wittgenstein aveva ammonito bene i suoi studenti: «vi sconsiglio vivamente di diventare filosofi accademici. Tra loro la tentazione del pensiero fasullo è diffusissima»; non senza una briciola di cattiveria, lo ammetto, ma decisamente nei canoni di una filosofia ancella della Ragione ma che rovinosamente frana nella metafisica o nella scienza, perdendo la propria identità.
Wittgenstein le dona linfa vitale, mettendo in luce la sua reale natura: «Tutto ciò che la filosofia può fare è distruggere idoli. E questo significa non crearne di nuovi».
Purtroppo sappiamo bene che, morto un Dio, se ne fa un altro; anzi, si potrebbe quasi affermare quanto Dio, la forma divina, la stessa forma che tanto ammanta la Ragione, anch’essa divinizzata oltre ogni logica, sappia riciclarsi per riproporsi con vestiti nuovi ma sempre con la stessa sostanza.
La follia forse consiste proprio nella ricerca spasmodica di un centro di gravità permanente, che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente, parafrasando una bella canzone di Franco Battiato; pensarla diversamente potrebbe quasi essere una follia.
Eppure la filosofia, o meglio, la pratica filosofica consiste dunque non nella difesa contro l’avvento della perdita della Ragione quanto una forte attività volta alla distruzione di essa, come forza tirannica e normativa, standardizzante, un rimedio al letto di Procuste della normalità, quella si una vera malattia senza rimedio.
«La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’ essere» conferma Franco Basaglia, fondatore della concezione moderna della salute mentale e riformatore della disciplina psichiatrica in Italia ma soprattutto ispiratore della legge 180 del 197 – la cosiddetta “Legge Basaglia” – che introdusse un’importante revisione ordinamentale degli ospedali psichiatrici in Italia e promosse notevoli trasformazioni nei trattamenti sul territorio (ma la riforma fu subito mutilata soprattutto dall’assenza di finanziamenti).
Una buona legge che chiudeva i manicomi e che includeva un bellissimo progetto per l’effettiva possibilità d’inserimento del “malato” nella società; cosa che purtroppo non è mai stata fatta, nemmeno a livello normativo, visto che problemi come depressione o nevrosi sono tuttora trattate come malattie mentali.
«I matti sono punti di domanda senza frase | migliaia di astronavi che non tornano alla base | sono pupazzi stesi ad asciugare al sole | i matti sono apostoli di un Dio che non li vuole» cantava Simone Cristicchi, in una delle più belle canzoni mai sentita sul palco dell’Ariston di San Remo, ben poco “sanremese” e che pare abbia fatto breccia nell’animo di tutti.
Caro Galimberti, ma ti pare che i filosofi, punti di domanda senza frase, astronavi che come il sottoscritto non tornano alla base, apostoli di un dio che non li vuole, ma ti pare vengano a cercarne uno proprio nella filosofia accademica?
Siamo seri: pensare una cosa simile, è pura follia: «Un pazzo! è qualcosa che fa orrore, E tu cosa sei, tu, lettore? In quale categoria ti schieri? in quelle degli sciocchi o in quella dei pazzi? Se ti dessero la possibilità di scegliere, la tua vanità preferirebbe certo l’ultima condizione» spiegava lo scrittore francese Gustave Flaubert, il quale di follia se ne intendeva parecchio, alla luce della sua “folle” creatura madame Emma Bovary.

Con questo CMUV numero 55 l’Astrofilosofo si congeda per la pausa “natalizia” con l’auspicio di ritrovarvi dopo il 6 gennaio.

 L’IMMAGINE è un noto ritratto eseguito, nel 1820, dal pittore romantico francese Theodore Gericault, noto come «La monomaniaca dell’invidia» o «La iena della Salpêtrière».

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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