Ci manca(va) un venerdì – 67

     Felicità e crudeltà: Fabrizio Melodia, ben noto astrofilosofo, stavolta va a lezione da Ariel, la sirenetta

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«Non capisco come un mondo che crea delle cose tanto meravigliose possa essere cattivo» riflette con occhi sognanti la sirenetta Ariel, nel film d’animazione a marchio Disney «La sirenetta» (1989), diretto da Ron Clements e John Musker, tratta con ampi rimaneggiamenti dall’omonima favola pubblicata nel 1836 che rese immortale il suo autore, il danese Hans Christian Andersen; e la Danimarca dedicò una statua alla protagonista proprio nel porto di Copenhagen.

Ariel, provenendo dagli abissi del mare e vivendo in un mondo privo di avidità, cattiveria e cupidigia, cresciuta nella dolce bambagia in cui il protettivo padre Re Tritone l’ha tenuta, non riesce a comprendere come vi possa essere cattiveria in un mondo capace di produzioni artistiche raffinate, anche trattandosi di una “semplice”, si fa per dire, forchetta oppure di un cannocchiale, di cui Ariel non comprende affatto l’uso, come di tutti gli oggetti umani che colleziona.

Ariel è curiosa del mondo di sopra, vorrebbe conoscerlo, esplorarlo, rinunciare alla propria condizione di donna-pesce e diventare una ragazza con le gambe.

Baratta la sua voce melodiosa e insuperabile per questo sogno in cambio delle gambe: e Ursula, la Strega del Mare, è fin troppo gentile, ben sapendo che presto potrà vendicarsi di Re Tritone e di tutto il popolo del mare.

Alla fine Ariel cede per amore e per curiosità, e presto scopre quanta cattiveria e meschinità alberghi nel mondo di sopra, deludendola ma senza per questo sconfiggerla, in quanto lei comprende e si fa comprendere in modo diverso dai “normali” canali comunicativi: scavalca il linguaggio parlato, chiuso in vocaboli e sintassi, per andare oltre il segno, lasciando trasparire l’indicibile, quello che giace sotto alla marea di vocaboli che, alla fine, fanno perdere il senso del tutto, amore compreso, con grande disappunto di Ursula, la quale, in una scena mozzafiato, deve intervenire personalmente per rimettere le cose nel binario da lei desiderato.

Ariel comprende quanto gli oggetti di cui si era innamorata in realtà non erano “artistici” ma di uso comune, senza per questo venirne delusa: qualunque oggetto ha una vena artistica, in quanto porta l’anima di chi lo fabbrica.

Ma nel sistema del mondo, i modi di produzione degli oggetti, compresi quelli definiti artistici, non sono più visibili, ma invisibili: operano nella totale inconsapevolezza delle persone che li fabbricano, le quali non ne vedono il funzionamento ma ne sperimentano in prima persona gli effetti visibili, primo fra tutti l’alienazione mentale e fisica, oltre all’impoverimento dovuto al sovrasfruttamento senza alcuna attenzione alla qualità della vita.

Ariel scardina questo modo di vedere con tutta la solarità di cui è capace. Anche nella fiaba, in cui, per recuperare le proprie gambe le viene detto che dovrà uccidere il principe per bagnarsi con il suo sangue, lei preferisce morire trasformandosi in schiuma marina piuttosto che venire meno all’amore.

Per concludere, come scrive l’aforista scrittore e giornalista francese di origine italiana Antoine de Rivarol: «Ciò che rende terribile questo mondo è che mettiamo la stessa passione nel cercare di essere felici e nell’impedire che gli altri lo siano».

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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