Ci manca(va) un venerdì – 73

Prima che l’Europeo – o forse l’Europa? – finisca, Fabrizio Melodia, noto come “l’astrofilosofo” torna a parlare di calci:o fra Baricco, Benni, Euclide, Pacino-Stone, Serling e naturalmente Zenone

Melodia-ogniMaledettaDomenica

Sembra agli Europei di calcio “i giochi” non siano decisi e che le previsioni non combacino con la realtà; da qui la sensazionale ri/scoperta: il pallone è rotondo.

«Il baseball non vale niente! È il calcio lo sport più veloce del mondo! Nel baseball si corre solo da una base all’altra, nel calcio invece bisogna sempre correre, correre, correre, correre»: la frase non viene da qualche giornalista sportivo sfegatato ma da un episodio molto bello di «Ai confini della realtà» – per la precisione della quinta stagione della serie (1959) – scritto dal Rod Serling.

In effetti il baseball, rispetto al calcio, perde quella forza di caos per diventare un gioco di precisione quasi matematica: precisi lanci ad effetto, battute di ritorno e corse da una base all’altra da gestire quasi con rigore millimetrico e metodologie scientifiche. Anche se… comunque ci si diverte: se avete dubbi, cercate gli scritti sul baseball di uno scienziato e divulgatore geniale come Stephen Jay Gould. Che il calcio sia più veloce del basket è una panzana ma per oggi lasciamo perdere.

Il gioco del pallone invece sarebbe uno sport “a tutto tondo” – OPS – o meglio “a tutto campo” – ci vuole un altro OPS – dove i giocatori corrono continuamente intorno a una sfera. Il risultato non è calcolabile, troppe variabili: ogni passaggio può subire una variazione nel proprio principio di causa e relativo effetto, senza contare lo zampino del portiere, di errori al limite del paradosso delle leggi fisiche non euclidee… per tacere delle partite truccate che sono molte ormai, come risulta dai processi.

Rispetto alla ossessiva ripetizione del “la palla è rotonda”, molti potrebbero obiettare sulla falsariga di Alessandro Baricco: «Il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o finirà nel nulla, ma intanto corre e nella sua corsa è già scritto se finirà a spappolare il cuore di un uomo o a scheggiare un muro qualunque. Lo vede il destino? Tutto è già scritto eppure niente si può leggere». Quasi un omaggio al paradosso zenoniano della freccia che non si muove; eppure il pallone lanciato da qualche parte finirà.

Nella costante incertezza della connessione causa/effetto, dentro l’assoluta causalità delle variabili, emerge l’arbitrio – da con confondere con l’arbitro – umano. Palle lanciate male e quindi “perse” possono venire salvate. Il fallo è in agguato, al di là dei doppi sensi. Il lavoro di squadra può essere esaltato o sabotato dal singolo. E a volte un arbitro – da non confondere con l’arbitrio – può davvero essere “cieco” o venduto senza virgolette.

Calcio e vita sono una cosa sola, si dice… ogni maledetta domenica, per citare il bel film di Oliver Stone. Facciamo finta di non sapere che fra il nostro calcio e il football americano ci sono più differenze che fra una zebra e un ramarro; e meditiamo invece sulla tirata del sublime Al Pacino che nel film è l’allenatore di una squadra apparentemente condannata a essere retrocessa e svenduta ai soliti squali dell’alta finanza: «Non so cosa dirvi davvero. Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l’altro, fino alla disfatta. Siamo all’inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi. Sono troppo vecchio. Mi guardo intorno, vedo i vostri giovani volti e penso “certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare”. Sì, perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio. Sapete con il tempo, con l’età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri, e così è il football. Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine di errore è ridottissimo. Capitelo. Mezzo passo fatto un po’ in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare. Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra, signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare? […] Ogni maledetta domenica si vince o si perde, resta da vedere se si vince o si perde da uomini».

Tutto vero? E poi: il giocatore fa la squadra o è il contrario? i giornalisti contano più del pubblico? gli sponsor decidono tutto o è l’allenatore? gli ultrà nascono sotto i cavoli o a casa dei presidenti? Più domande che risposte, al solito.

Conviene finire con l’ultima strofa della poesia «La solitudine del portiere di calcio» di Stefano Benni: «E dai tira, tira, tira / cosa aspetti a finirmi? / vedo il pallone calciato che arriva / come una locomotiva / e sono solo nel cielo / mentre volo incontro al tiro / e voi trattenete il respiro. / Solo quando c’è il rigore / vi ricordate di me, lo so / del vostro portiere /chissà se parerò».

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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