Ci salverà Zohr, il nuovo dio del mare?

di Antonio Tricarico (*)

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La scoperta del giacimento gigante di Zohr 1X al largo delle coste egiziane nel Mar Mediterraneo da parte dell’Eni ha scatenato un grande giubilo nella sede del cane a sei zampe e nel mondo politico italiano, a partire dal primo ministro Matteo Renzi. Questi è corso a telefonare al presidente “golpista” egiziano al-Sisi per sottolineare l’importanza della scoperta. A fronte di un balzo del prezzo del gas dell’un per cento subito dopo l’annuncio, in tanti si sono chiesti cosa cambierà nel delicato scacchiere energetico mediorientale ed europeo.

Che Claudio Descalzi – ad di Eni – esulti è abbastanza scontato. Come lui stesso ha subito dichiarato, la scoperta avrà un impatto positivo anche sull’utile del gruppo, da cui l’euforia degli investitori che avevano bacchettato il nuovo capo della società per gli scarsi dividendi distribuiti per il 2014. L’Eni è già il principale produttore in Egitto e gode quindi, anche per motivi storici, di una relazione privilegiata con la dirigenza del Paese. Ma il fatto che l’Eni diversifichi le sue fonti e faccia più profitti non significa necessariamente che l’Italia ne beneficerà.

In molti è balenata l’idea che con queste nuove scoperte – per altro l’Eni sta sviluppando un altro importante giacimento di gas in Mozambico – il nostro Paese si può progressivamente emancipare dagli import dalla Russia, e magari ridurre la dipendenza da altri Stati meno stabili del Mediterraneo, vedi la Libia. Ma il gioco non è così semplice.

Dovrebbe averlo insegnato il post-sbornia Kashagan, dove a diciassette anni dalla scoperta l’Eni (e il governo kazako) ancora attendono di vedere gas e petrolio scorrere, mentre il giacimento è già passato alla storia come Cash-All-Gone, in un gioco di parole che da solo descrive un investimento di oltre 43 miliardi ancora non produttivo.

Resta da vedere dove l’Egitto vorrà esportare in caso una sua eccedenza del nuovo giacimento e quali rotte sarebbero eventualmente a disposizione. Per esempio, si pensi che il gasdotto che collega l’Egitto a Israele tramite l’agitato Sinai è regolarmente bersaglio di attentati terroristici che lo mettono fuori uso. Il sogno di avere un gasdotto ad anello in tutto il Mediterraneo (sponda sud e est fino alla Turchia) dopo diversi decenni di progetti infruttuosi resta un miraggio.

Allo stesso tempo viviamo il paradosso che, in nome della diversificazione delle fonti di approvvigionamento per aumentare la sicurezza energetica europea, si stanno pianificando numerose nuove infrastrutture di connessione ben oltre le effettive necessità. Si pensi al contestato gasdotto TAP, che dovrebbe portare il gas azero dalla Turchia fino al Salento – per buona pace della bellezza delle coste pugliesi. La Banca europea per gli investimenti è pronta a prestare ben due miliardi di euro di soldi pubblici. Ma in realtà il TAP porterebbe una quota limitata di gas rispetto al South Stream dalla Russia alla Bulgaria e poi all’Europa, recentemente abortito dopo la crisi con la Russia.

Inoltre tutte le previsioni sui consumi di gas in Europa al 2050 ci dicono che in realtà le infrastrutture esistenti sono sufficienti per soddisfare i bisogni. E allora perché tanta euforia politica di Renzi e compagni? L’Italia sogna di diventare l’hub energetico del Mediterraneo assicurando profitti ai grandi attori energetici, Eni in primis, tramite un mercato del gas liberalizzato e finanziarizzato.

Poco importa se per raggiungere l’obiettivo bisogna stringere accordi con governi dittatoriali, quali quello azero e lo stesso al-Sisi in nome dell’imperativo di sottrarsi alle grinfie del despota Putin. Senza parlare dell’impatto climatico che avrà tutto questo gas una volta bruciato, in Italia e altrove. D’altronde in preparazione della conferenza sul clima di dicembre a Parigi Renzi è stato chiaro: dimenticatevi che smettiamo di bruciare petrolio e gas. E allora che ci salvi il nuovo dio del mare Zhor…

(*) da recommon.org, ripreso anche sul quotidiano «il manifesto» e su Comune-info.

 

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