Cile: le femministe si prendono le università

In primavera i principali atenei del paese sono stati occupati dalle studentesse per denunciare abusi e violenze che caratterizzano gran parte del loro percorso di studi

di David Lifodi

In principio a mobilitarsi fu l’Universidad Austral de Valdivia. Il 17 aprile le studentesse di Filosofia occuparono l’ateneo dando vita alla prima toma esclusivamente femminista. Seguirono almeno altre 14 università tra aprile e maggio, tra cui l’Universidad de Santiago, l’Universidad Tecnológica Metropolitana, l’Universidad Diego Portales e l’Universidad de Concepción. Il tratto caratteristico di queste occupazioni è che i maschi sono rimasti fuori, come hanno evidenziato le organizzatrici, sottolineando il carattere separatista delle mobilitazioni.

Le occupazioni femministe promosse nelle università sono state ignorate da gran parte della stampa, ad eccezione di quella cilena, che solo in rari casi e soprattutto per merito dell’informazione indipendente, ha dato spazio alle rivendicazioni delle studentesse. Tutto è nato a seguito degli ultimi casi di violenza di cui sono state vittime ragazze e lavoratrici nelle università. Proprio il caso di una ragazza violentata all’interno dell’Universidad Austral ha suscitato maggior scalpore. Da qui è nato un movimento che non mira soltanto ad esigere una vita universitaria non sottoposta al rischio di abusi, ma intende mettere in discussione un’ideologia dominante improntata sul machismo e sul patriarcato.

La toma separatista, ci tengono a precisare le occupanti, non significa che la mobilitazione deve essere preclusa agli uomini per via dell’odio nei loro confronti, ma perché le giovani hanno la necessità di parlare, di confrontarsi e di raccontare le loro esperienze in maniera più riservata e in un ambito strettamente femminile. Si è trattato di una sorta di catarsi collettiva in cui l’occupazione delle università si è resa necessaria per evitare di trascorrere i restanti anni di studio attanagliate dalla paura. Del resto, come hanno sottolineato alcune delle leader di un movimento caratterizzatosi subito come orizzontale, gli studenti maschi sono stati i primi a solidarizzare con loro, ma se gli uomini avessero partecipato alle mobilitazioni il movimento avrebbe finito per assumere quelle pratiche verticali spesso presenti anche all’interno delle organizzazioni sociali.

Secondo la Dirección de Igualdad de Género de la Universidad de Chile (Digen), almeno il 15% delle studentesse sostiene di essere stata vittima di abusi durante gli anni del percorso di studi all’interno delle stesse strutture universitarie. Sorta quattro anni fa, la Digen si occupa soprattutto di promuovere politiche legate all’uguaglianza di genere all’interno delle università, a partire dal protocollo per denunciare i responsabili degli abusi. Tuttavia, il semplice atto di denuncia formale per le studentesse non è sufficiente. Ad esempio, dicono, i docenti che si sono resi colpevoli di violenze ai danni di colleghe, alunne o funzionarie non devono essere espulsi perché ciò comporterebbe l’obbligo di un indennizzo e loro ne uscirebbero comunque vincitori, ottenendo addirittura una sorta di premio in denaro. Non serve nemmeno che i docenti o gli studenti che hanno commesso violenze siano allontanati, perché andrebbero in un’altra istituzione universitaria per riproporre le stesse pratiche. Secondo le studentesse gli autori degli abusi dovrebbero essere invitati a dimettersi.

In Cile la toma feminista ha goduto fin da subito di un certo successo grazie alla sua capacità di espandersi e di autoconvocarsi. Non sono presenti delle militanti che decidono per tutto il movimento, ma piuttosto si tratta di uno spazio condiviso capace di costruire comunità femminili non solo nelle università, ma anche nelle scuole superiori, tra le docenti, le giovani e il personale che vi lavora. Diffusosi rapidamente fino a Puerto Montt, Temuco e Valparaíso, il movimento ha denunciato che le disuguaglianze presenti all’interno del paese non possono che riprodursi in seno all’istituzione universitaria. Durante le occupazioni le giovani hanno scoperto che condividevano storie di emarginazione o abuso spesso minimizzate dai vertici delle università. Ad esempio, il caso di una giovane violentata da un docente è stato ribaltato nel tentativo di far passare l’alunna come accondiscente allo scopo di ottenere un buon voto all’esame.

Il tema di genere è stato imposto con la forza, all’Universidad de Chile, ai due candidati alla carica di rettore che partecipavano all’ultimo confronto pubblico elettorale. Le studentesse di Scienze sociali hanno interrotto il dibattito costringendo i due contendenti a rispondere a domande incentrate sull’uguaglianza di genere e sulle condizioni di lavoro dell’intero corpo femminile all’interno delle università.

La Coordinadora Feminista Universitaria, che ha riunito i gruppi di studentesse protagoniste delle occupazioni nelle università del paese non sembrano intenzionate a mollare: hanno dimostrato di essere in grado di progettare l’immagine di una comunità unita e non sono disposte a tornare indietro. Il prossimo passo sarà quello di trasferirsi dall’ambito universitario alle strade e alle piazze del Cile. Per riprenderselo e riaffermare i propri diritti.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *