Civiltà, satira, creatività: #Charlie Hebdo

di Riccardo Dal Ferro

Mi sono preso un po’ di tempo, più di dieci giorni, per poter elaborare l’accaduto, digerirlo,

metabolizzarlo e comprenderlo, per quanto possa essere comprensibile un simile evento.

 Sto parlando ovviamente di ciò che è accaduto a «Charlie Hebdo» e non perderò tempo a riassumere i fatti dal momento che mi aspetto di avere lettori informati e attenti, sempre in ascolto. Faccio inoltre uno strappo alla regola e parlo di un fatto di attualità in quello che vorrebbe e dovrebbe essere un blog di sola narrativa (*), ma quando si toccano corde così profonde, il dovere di mettere a disposizione una riflessione ponderata è pari a quello di non lasciarsi prendere dalle facili emozioni.

Le facili emozioni, prima di tutto.

Abbiamo visto l’opinione pubblica dare il peggio di sé di fronte a una complessità profonda e a una stratificazione di accadimenti degna del miglior Machiavelli. Un’opinione pubblica che, come sempre ma forse ancora più del solito, ha sciacallato gli avvenimenti solo per “dire la propria”, su Twitter, in tv, dentro blog, siti, non-luoghi che cercavano soltanto due visualizzazioni in più utilizzando la tag #JeSuisCharlie e in realtà non dicevano niente più del nulla sconfortante.
Le facili emozioni degli slogan, quelle frasi pubblicitarie che appiattiscono eventi complessi e li comprimono dentro tre parole prive di profondità e significato, solo per mostrare un’appartenenza a un gruppo che non si sa bene cosa voglia fare e in nome di non si sa bene quali idee. E quindi le bandiere, le pubblicità, le lacrime di coccodrillo, i proclami ipocriti di politici, personaggi e gente comune che non sa di cosa sta parlando. La facilità dell’ignoranza.

Daniele Barbieri «X» parla di valori dell’Illuminismo.
Ma quali sono i valori dell’Illuminismo di cui ci facciamo portavoce? Se davvero (e io ho dei forti dubbi che cercherò di esprimere) le vignette di «
Charlie Hebdo» erano portavoce di quella Ragione Universale, dov’è finita quella stessa ragione quando la gente scriveva ovunque: «al patibolo!», «a morte i cani maledetti!», «al rogo! al rogo!». Ammesso che quella di «CH» fosse una satira illuminista, come abbiamo potuto lasciare che la visceralità delle emozioni, la tristezza degli slogan politichesi, la fretta dell’opinione personale prendessero il sopravvento su una ponderata riflessione intorno alle cause e alle relazioni? Cosa ci ha insegnato l’Illuminismo vero, quello del raziocinio, se alla prima occasione sputiamo bile, veleno e vomitiamo la peggiore parte della nostra irrazionalità animale? Siamo davvero così distanti da quei terroristi che vomitano piombo sulle persone? Io dico di no, non lo siamo, soprattutto quando vomitiamo irrazionalità sugli eventi tragici (e quanti esempi negli ultimi 15 anni!).

La tragedia riflette due insicurezze allo specchio.

Da un lato, l’insicurezza della fede fasulla: se una vignetta satirica riesce a offendere la tua incrollabile fede al punto da farti diventare braccio della morte, allora probabilmente non è fede, è il tentativo di colmare un profondo buco nel tuo animo. E anche questo ce lo insegna l’Illuminismo.

Dall’altro lato, l’incertezza dei nostri valori: se alla tragedia devi rispondere con la pancia, con la vendetta, con la violenza verbale e giuridica, senza fermarti un secondo a riflettere e usare il cervello, allora significa che i valori veri del cristianesimo politico (razionalità e analisi) non fanno parte del tuo bagaglio intellettuale, della civiltà di cui ti fai portavoce e impostore.

Come ha giustamente fatto notare il filosofo Zizek nel suo intervento, solo la psicologia delle masse può farci analizzare e comprendere la complessità in atto: la tragedia di «Charlie Hebdo» apre uno specchio e il compito di ogni individuo razionale è cercare di mettersi nei panni di entrambi i riflessi, proprio come Alice. Solo in questo modo si può trovare il modo di spezzare la catena della vendetta che ormai ha radici antiche ma non per questo meno fragili. La facilità dell’emozione ci rende colpevoli, non illuministi, ci avvicina all’animalità da cui la Ragione, quella vera, ha il compito di allontanarci.

Rileggiamo Nietzsche.

In questo modo potremo comprendere quali sono le vere forze che forgiano i nostri valori. Quando oggigiorno si parla di “civiltà”, un valore importante, qual è la forza che la definisce: è una forza creativa (razionale, costruttiva, progressista) oppure è una forza reattiva (reazionaria, terrorizzata, distruttiva)? Si tratta della civiltà che si sviluppa liberamente oppure della civiltà che nasce in reazione alla violenza? Allo stesso modo, quando si parla di “popolo”, di “coscienza”, di “anima” stiamo determinando questi valori con una forza positiva, attiva, creativa, oppure attraverso una forza brutale, animalesca, reattiva (cioè, in “re-azione” a qualche cosa, circolo della vendetta primario).

I nostri valori sono causa di un progresso o conseguenza di una brutalità?
Quando Nietzsche ci parlava dei valori, non li negava (come spesso le interpretazioni superficiali vorrebbero insegnarci): diceva piuttosto di comprendere sempre quali sono le forze che definiscono, in un dato momento storico, quei valori. Ragione, coscienza e intelletto sono concetti che hanno cambiato, nel corso del tempo, le proprie caratteristiche, sulla base delle forze che in essi si scontravano. Non si tratta di dialettica spicciola, questo è il fondamento di un razionalismo culturale che dobbiamo ritrovare e con il quale dobbiamo rispondere attivamente alle sfide immani che la nostra epoca ci mette di fronte.

La Ragione è l’unica cosa che ci tiene distanti dalla catastrofe.

Io non credo che quella di Charlie Hebdo fosse satira.

Anche “satira” è un concetto il cui significato dipende dalle forze che in esso lottano. La satira potrebbe essere definita come lo scherzo che i deboli giocano ai potenti. E la redazione di «Charlie Hebdo» viveva di cariche istituzionali (soprattutto del governo Sarkozy, ndr) e consenso di una parte della popolazione, non era una critica al potere, era una ricerca di consenso da parte di un certo tipo di pubblico, per me tutt’altro che illuminista (ricordiamo che l’illuminismo predicava la laicità e condannava la blasfemia, perché la blasfemia, oltre a essere indiretta affermazione di dio, chiama in causa istinti bassi e volgari). Ma non è questa la questione; e la questione non è nemmeno la libertà di espressione (che cos’è libertà, che cos’è espressione, siamo sicuri che in questi concetti, per come li intendiamo oggi, non si annidino ancora forze re-attive e distruttive?), grande spauracchio fuorviante della tragedia.

La questione qui è più importante e riguarda noi: cadremo nella trappola?

La trappola è quella romantica della difesa di valori designati in maniera re-attiva: una libertà “in risposta” a una barbarie, un’espressione “in reazione” alla censura, una civiltà “contro” lo straniero. E lì, la trappola è profonda come la tana del Bianconiglio e ci getta nell’anti-libertà, nell’inespressività, nell’inciviltà, con il nostro tacito e irrazionale consenso. La questione è: vogliamo che i nostri valori siano creativi, attivi e vitali, oppure accettiamo (di nuovo) che i nostri valori siano una reazione a qualcosa di terribile, rendendo terribili anch’essi?

Agghiacciante è stato sentire che «finalmente l’Europa è tornata a vivere», ma solo in risposta a un massacro! Ci siamo davvero ridotti a diventare un popolo soltanto in reazione al sangue che scorre? Siamo davvero così stolti da cadere per l’ennesima volta nella spirale dell’irrazionalità? Siamo davvero così deboli (deboli quanto la fede dei terroristi che difendono un dio uccidendo alcuni uomini) da farci trascinare ancora nel vortice dell’animalità, lasciando che l’Illuminismo venga sconfitto non da colpi di AK-47, ma dalla nostra profonda incertezza su chi siamo e sul dove stiamo andando? Daremo voce ancora ai profeti della reazione? Alle Oriana Fallaci, ai Matteo Salvini, ai guerrafondai, a chi dal conflitto trae un profitto, ai sacerdoti della civiltà che tradisce se stessa e che si ammantano di un falso cristianesimo? Io mi sento cristiano per formazione sociale, e lo dico da agnostico razionalista. Ma la radice illuminista e razionale, quel messaggio che fa coincidere la civiltà con la rottura del vizioso circolo della vendetta, quello è il vero punto focale della nostra cultura. E «Charlie Hebdo», per le forze reattive che io individuavo nella sua satira, non era illuminista.

Ma noi – signore e signori, fratelli e sorelle, persone pensanti che fanno parte di questo mondo travagliato – siamo illuministi oppure animali? Desideriamo ragionare, pensare e smettere di ascoltare le viscere che ci rendono bestiali, oppure vogliamo ancora una volta distruggere (illudendoci di costruirla) la nostra civiltà in RE-AZIONE a qualche tragedia?

Credo che sia questo il punto focale su cui dovremmo riflettere.

Con calma. Con il cervello.

(*) Ripreso da http://riccardodalferro.com

 

Redazione
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3 commenti

  • Caro Riccardo, credo che il nostro dissenso non sia su fatti cruciali. Anch’io citerei Nietzsche, e proprio per questo mi sembra che la tua visione dell’Illuminismo e della Ragione sia un po’ idealizzata, ovvero è come ci piacerebbe che davvero fossero o fossero stati (a parte la questione della condanna della blasfemia, che è un fatto storico).
    Io temo che la contraddizione si trovi al cuore della Ragione e dell’Illuminismo stesso, e questo detto – a mia volta – da razionalista agnostico, che sa di non poter abbandonare questa sponda (perché qualsiasi alternativa è devastante) ma si rende conto che essa stessa non è così idealmente razionale come crede. E in questa contraddizione ci sta anche la satira di Charlie Hebdo, che si vuole rifare ai valori dell’Illuminismo, ed è certamente razionale, ahinoi!
    Certo, sbaglia, ne sono convinto. Soprattutto, ormai sbaglia epoca; crede di attaccare i potenti (ovvero, tra gli altri, la religione) e offende qualche miliardo di persone che potenti non sono. E lo fa affermando implicitamente la superiorità dei propri valori, quelli dell’Occidente (illuminista e razionale, ma pur sempre Occidente) dichiarando cacca quelli degli altri.
    E’ questo che non mi piace. Ma non è richiamandoci ugualmente all’Illuminismo che ci salviamo. La Rivoluzione Francese fece gli stessi errori, facendo massacri in Vandea, in nome della Ragione. Era un comportamento irrazionale? Purtroppo no, e questo è proprio il punto dolente.
    db X

  • Rossella Assanti

    Mi permetto di commentare questa riflessione. Ne ho letti tanti, troppi di pensieri, di guerre all’ultima parola tra “Je suis Charlie” e no, “Je ne suis pas Charlie”. La massa degli indifferenti ha voluto far credere di essersi svegliata, scossa forse dal rumore dei colpi di Kalashnikov. Blasfemi, non blasfemi, c’è chi dice “se la sono proprio cercata”, chi invece li osanna per un giorno e poi ricade nel proprio sonno profondo. Tanti chi, tanti perché, tanto vuoto. Per me Charlie Hebdo è la condanna dell’estremo attraverso l’estremismo. Una specie di arma a doppio taglio. Da vignettisti coerenti non hanno fermato le loro matite. Schiaffo morale a tutto il polverone di incoerenza ed ipocrisia che questa drammatica vicenda ha alzato. Loro continuano a disegnare, a scrivere, chi li leggeva continuerà a leggerli, chi ha voluto pubblicarli per un solo giorno in Italia si terrà la scorta per paura, chi non li ha mai considerati e conosciuti continuerà a non considerarli. E’ nella natura dell’essere umano guardare al proprio piccolo orticello, ogni tanto sbirciare quello del vicino per poi ritornare a curare le proprie peonie. A me Charlie ricorda un po’ un Julien Sorel di Stendhal, un po’ più sfrontato chiaramente. La “rivoluzione” da un lato e la volontà di affermarsi nella società dell’epoca dall’altro. Di illuminista c’è ben poco.
    Di mio continuerò a leggerlo quando mi capita, come già facevo. Sarò contraria a qualche vignetta e sorriderò conscia del vero ad un’altra. Proprio come si fa quando sfogli un comune giornale.

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