Clandestini verso la Francia: ieri i partigiani, oggi i migranti

di Domenico Stimolo

Un articolo pubblicato dal quotidiano “La Repubblica” (della giornalista Brunella Giovara) – a tutta pagina – con il titolo: “Sulle Alpi la fuga infinita dei migranti con i sandali a dieci gradi sotto zero” riporta violentemente alla memoria le drammatiche traversie di partigiani, uomini e donne, che durante la Lotta di Liberazione attraversavano, in armi, costantemente e senza esitazioni, le montagne fra l’Italia e la Francia.

In “Diario partigiano”, un bel libro di memoria, Ada Gobetti – moglie dell’ eroico perseguitato antifascista Piero Gobetti, morto venticinquenne a Parigi il 15 febbraio 1926 – nella cronologia dei suoi attivi impegni nella Resistenza piemontese dal settembre 1943, descrive uno dei viaggi di attraversamento delle Alpi, assieme ad altri compagni, con partenza il 30 dicembre 1944 da Beulard–Bardonecchia, direzione Plampinet, Briancon, Embrun…. Grenoble.  Così scrive tra l’altro: “Ma quell’ultimo tratto si rivelò veramente difficile. Non c’era più la pista dei tedeschi, che l’altra volta aveva tanto facilitato il passaggio di Paolo e Alberto. Il vento aveva spazzato via la neve molle; e bisognava procedere facendo i gradini nel ghiaccio lungo un costone nudo, a forte pendenza, sopra uno strapiombo di due o trecento metri. Ma quella notte io non mi accorsi della difficoltà;  e mi resi conto del pericolo affrontato solo quando, al ritorno, vidi, dall’altro versante, la paurosa inclinazione del nostro passaggio sull’abisso. Alberto e Paolo, gli unici che si rendessero veramente conto della situazione, si misero in testa; ma le scarpe di Alberto ( le disgraziate scarpe di Valle) non facevano presa e scivolavano. Paolo quindi si mise davanti e con la picozza faceva i gradini nel ghiaccio, provandoli poi col piede, scrupolosamente, a lungo, prima di affidarsi col peso e farne degli altri………. dopo circa quattro ore eravamo al Passo… avvertii alle mani una strana sensazione. Nell’eccitazione degli ultimi momenti avevo dimenticato di tenerle avvolte nei lembi della coperta; e ora, guardandole, le vidi diventare d’un curioso colore, tra il giallo e il bruno, assolutamente innaturale. Capii subito – non ci voleva molto – che si stavan congelando…. mi misi a picchiarle, strofinarle, a batterle sotto le ascelle…. la circolazione riprendeva……. Mi buttai allora giù per la discesa con una specie di ebbrezza. Siamo in Francia!…..mentre scendevo a lunghi balzi, affondando nella neve molle”. Ce l’abbiamo fatta! …….”.

Nell’articolo di “La Repubblica” alcuni luoghi descritti nell’attraversamento delle Alpi dei migranti sono quasi identici a quelli narrati da Ada Gobetti. La partenza avviene da Bardonecchia, alta Valsusa, poi la direzione assunta cambia di poco…..  Il Colle della Scala (Coll de l’Echelle), 1762 metri….. colle della Vallèe Etoroit, 2426 metri, camminano in direzione Briancon, la meta “mitica” è Modane. Si legge, tra l’altro “ Alle 9 di sera – sei sotto zero – si arriva in Francia, dopo la diga delle Sette fontane…….. sanno che da lì si scende a Modane…. l’impresa è impossibile per due ragazzi malvestiti, uno ha rifiutato gli scarponi, avanza in sandali sulla crosta di neve ghiacciata: “ho attraversato un deserto, ce la farò”. L’altro ha un sacchetto della Rinascente: due lattine di Coca e una Fiesta. in spalle uno zainetto da bambina …. dai tornanti si vedono i fari della Gendarmerie. Hanno i visori notturni, battono i boschi delle Hautes-Alpes cercando i ragazzi neri. Quando il freddo scende a -10, si spera solo che li trovino. Ma loro sono furbi, si nascondono dietro i pietroni. E’ una specie di nascondino, e qualcuno morirà”.

La drammatica questione è ben nota da parecchi anni. Questo è l’ultimo resoconto del transito “clandestino” della frontiera tra l’Italia e la Francia. Sono passati in tanti, di altri non si hanno notizie, in diversi sono morti.

E’ la “fortezza Europa”!  Tranne rare eccezioni i Paesi della Comunità europea hanno chiuso le frontiere. Si è tornati agli anni bui dell’Europa, quando si dava la caccia a tutte le “diversità”.

Eppure i partigiani si sono battuti contro i nazifascisti e il razzismo. Molti, uomini, donne, ragazzi, hanno sacrificato la vita, per costruire democrazia, libertà, solidarietà, accoglienza, libero passaggio delle persone, in Italia e in Europa.

E’ ritornato forte e famelico il razzismo, la bieca discriminazione degli esseri umani.

 

 

Redazione
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2 commenti

  • E, poco più di 50 anni fa, ci passavano e morivano anche i migranti italiani. E sardi. “Gli archivi dei giornali sono pieni di storie simili. Nello stesso punto in cui precipitò Mario Trambusti (…) era caduta qualche tempo prima Rossana Orrù, una ragazza sarda di ventiquattro anni.” Gian Antonio Stella_ L’orda, RCS 2002, dal capitolo ANGELI CADUTI AL PASSO DEL DIAVOLO. Siamo nel 1961.

  • vi ricordo che proprio sulle alture di Ventimiglia fu girato il famoso film di Germi, “Il cammino della speranza”, del 1950; in esso si mostra in modo magistrale non solo la realtà e il “travaglio” della partenza, ma anche la figura del passeur, le vicissitudini del viaggio, la tragedia del passaggio della frontiera e un accenno a un lieto fine probabilmente provvisorio. Il soggetto fu scritto da Fellini, Germi e Tullio Pinelli, si ispirava al romanzo di Nino Di Maria, “Cuori negli abissi”, e la sceneggiatura era di Fellini e Pinelli. E’ Di Maria che scrive per Germi e Fellini i dettagli di fatti, luoghi, circostanze e personaggi con uno “sguardo” che possiamo dire antropologico-etnografico. In altre parole, al di fuori dell’accademia, questo scrittore poco noto e di fatto “amatoriale”, aveva conoscenza e s’era interessato con grande sensibilità a questi aspetti a prova che le emigrazioni e le immigrazioni erano ben percepiti come un fatto sociale di particolare rilevanza. Lo stesso si può dire per qualche altro raro film di qualche anno dopo, anche lungi dall’approccio neo-realista. Sempre sul passaggio delle Alpi va ricordato il bel film “La trace” di Favre e Tavernier, imperniato sul personaggio del colporteur, l’ambulante che nei villaggi veicola l’immaginario dei luoghi verso cui emigrare che affascina i giovani e che improvvisamente scopre l’istituzione delle frontiere e l’obbligo del passaporto.

    E’ infatti la creazione dello stato-nazione che fa delle frontiere il luogo dove finisce la libertà di movimento, dove si materializzano il meccanismo e la pratica dei controlli e quindi di inclusione ed esclusione, l’accesso a una possibilità di “riuscita migratoria” per alcuni, e l’inferno se non la tragedia del rigetto per altri. Come suggerisce Balibar, i nazionalismi come gli universalismi di ogni sorta producono sempre questi effetti. E come suggeriva Hannah Arendt, si approda così alla negazione del “diritto di avere dei diritti”, alla violenza estrema che subiscono le nonpersone così destinate alla negazione della stessa vita, questione cruciale e vedi caso calpestata dagli accademici sostenitori del proibizionismo delle migrazioni che invocano “prima i doveri e poi i diritti a chi li merita”. Foucault e altri hanno mostrato che l’umano esclude il non-umano, il sociale esclude l’“a-sociale”, lo stato-nazione e le sue frontiere possono trattare l’immigrato come nemico, teorizzazione -che ci dice Senellart- è esplicitata dal discepolo di Lombroso, Garofalo.

    Da sempre la frontiera degli stati-nazione non è solo il luogo del confronto armato fra paesi confinanti; è anche quello della resistenza, delle trasgressioni, dei piccoli e grandi traffici, delle negoziazioni pacifiche o violente. Se si dovesse fare una storia sociale della frontiera delle Alpi fra Italia, Francia, Svizzera, Austria ed ex-Jugoslavia oggi Slovenia, ne risulterebbe un inventario di queste diverse modalità di attraversare tale frontiera abbastanza ricco non solo per il passato. Non dovrebbe sorprendere, ma stupisce gli ingenui o chi non vuole vedere e capire, che c’è riproduzione, a volte in peggio, di quanto conosciuto nel passato.
    I recentissimi casi di morte di ragazzi che cercavano di passare attraverso le gallerie del tratto stradale Ventimiglia-Mentone, come altri casi tragici non sono certo meno drammatici dell’anziano che, come tanti altri, precipita nel burrone nel film di Germi e Fellini. L’emigrazione è sempre stata una sfida a rischio di morte ed è peraltro probabile che quelli che non ce l’hanno fatta nel XIX e XX secolo siano molto più numerosi di quanti sono morti nel tentativo di immigrare in Europa dal 1990 sino a oggi (è in tale anno che viene istituito il sistema proibizionista “Schengen” anche se la “politica di stop” delle immigrazioni con tempi e modalità diverse nei paesi OCSE comincia negli anni settanta). Sicuramente da sempre sono stati più numerosi i morti nelle frontiere marittime che quelli nelle frontiere terrestri (a parte quelli nel “mare di sabbia”, cioè nel deserto libico e in parte in quello fra Mali e Marocco o in quello messicano).
    Oggi ciò che avviene alla fontiera di Ventimiglia è un vero e proprio crimine umanitario che l’Europa legittima insiema a quanto avviene in Libia e altrove

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