Coleman Finlay e molto altro

«Per comodità generale, a Jerusalem il patibolo si trovava accanto al cimitero». Quando si dice una frase efficace per aprire una narrazione. Inizia così «Prigioniero politico» (120 pagine per 10 euri) del giornalista, scrittore e docente Charles Coleman Finlay. E’ uscito da Delos-book in giugno ma tranquille/i lo recuperate in ogni buona librería. E vale la pena di leggerlo perchè, come spiega nella bella prefazione Salvatore Proietti, oltre che ben scritto è «coraggioso e umile»: trama e stile da thriller ma grande capacità di affrontare i nodi storici più difficili da sciogliere, in questo caso l’universo concentrazionario.

Fantascienza certo e infatti sappiamo subito che siamo su un pianeta «terraformato», ovvero modificato (solo in parte) per adattarlo agli esseri umani. Ma i campi di lavoro e rieducazione del romanzo rimandano ai gulag e al nazismo. E i «semplici cristiani» sono solamente l’ennesimo nome nella lista dei fanatismi religiosi. Così gli adariani sono l’alieno, gli «uomini-maiale», il nemico assoluto, il rom nell’Italia di oggi oggi e l’ebreo o la strega ieri. Chi legge forse riconoscerà, in forma di barzelletta “dissenziente”, anche i versi di Martin Niemoeller – che Proietti cita per intero nella sua prefazione – e che molte persone conoscono, anche se spesso li attribuiscono (fu un errore dell’Arci anni fa) a Brecht.

Quando Coleman Finlay accenna alla Terra del XX secolo rimanda sì alle grandi rivoluzioni: «la doppia elica, i primi progetti del genoma» ovviamente ma anche «il cambiamento politico di persone come Mahatma Gandhi e Martin Luther King».

Una delle battute migliori del libro è l’ennesima variazione su una nota frase di Marx. L’umano chiede all’adariano (cioè l’«uomo-maiale») se abbia sentito il detto: « quelli che non studiano la storia sono destinati a ripeterla». E quando l’adariano dice sì aggiunge: «quelli che studiano la storia sono destinati a vedere l’arrivo della ripetizione».

Un buon libro, un autore da tenere d’occhio in una collana che raramente tradisce e merita qualche spiegazione (soprattutto per chi di solito non frequenta la buona fantascienza).

Delos è il celebre automa di Creta ma, con un piccolo salto nel tempo, anche l’alternativa a Urania (non la musa di astronomia e geometria ma la collana di fantascienza), l’unica rimasta in Italia oltre alle incursioni di Fanucci e pochi altri.

Il problema è che Urania va nelle edicole – anche se di recente in modo più caotico – e Delos no. L’altra questione è che gli italiani (si dice così, trascurando le italiane che pure leggono di più) non amano i racconti, meno ancora quelli lunghi: o almeno ciò sostengono gli editori… Una possibile traduzione dall’editorese in buon sincerese è codesta: siccome a noi in passato faceva comodo avere sempre le stesse pagine potevamo tagliare i romanzi troppo lunghi (alla insaputa spesso di autori-autrici) piuttosto che allungare i romanzi brevi. Dunque noi editori abbiamo abituato chi legge a credere che bla-bla.

Delosbook sceglie di pubblicare nella collana Odissea proprio i romanzi brevi (o racconti lunghi se preferite dir così). E per nostra fortuna recupera opere premiatissime altrove ma che da noi faticano a uscire perchè non si trova “il barattolo” giusto. E superata quota 40 si può dire all’editore un bel grazie.

Altro ringraziamento – oggi esagero – a Delos che distribuisce e sostiene la “resuscitata” rivista «Robot», ora a cadenza trimestrale. Su codesto blog ne abbiamo già parlato e presto ne riparleremo.

E sentite cosa dice, a proposito dei cicli stra-lunghi, Michael Moorcock proprio su «Robot» numero 59 (anche questa l’ho letta in ritardo, mannaggia a Kronos) nella lunga intervista di Emanuele Manco e Salvatore Proietti. «Trovo la cosa molto noiosa. Sembra che gli scrittori non riescano a fermarsi, a tagliare, a selezionare […] E’ un serpente che si morde la coda. Gli editori inseguono i lettori che a loro volta sono costretti a scegliere tra quello che è disponibile. Però è anche vero che certi scrittori, penso a Stephen King, per quanto bravi sono capaci di usare 7 pagine solo per descrivere un uomo che apre una porta».

Controprova? Proprio questo numero di «Robot» (ma anche i due successivi o la maggior parte dei 58 precedenti). I due racconti lunghi di questo numero a firma Kim Stanley Robinson e Lucius Shepard sono memorabili per semplicità e bellezza. Di buon livello i tre, più brevi, racconti italiani (di Vittorio Catani, Paolo Aresi, Sandro Sandrelli). Poi ci sono le rubriche e le interviste…

Per finire con Moorcock – non sapete chi è? Sciagura su di voi, ne riparlerò, intanto leggete qualche sua opera – sentite con quale saggezza spiega le differenze fra fantasy e fantascienza. «La magia è un modo per fornire una logica interna alle storie, mentre la scienza va molto oltre ed è un modo per ampliare gli orizzonti narrativi, per raccontare del futuro legandolo al presente e molto altro».

E «molto altro». Al prossimo martedì.

 

Redazione
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