Colombia in resistenza contro l’estrazione del carbone

di David Lifodi

Anche in Colombia crescono i conflitti sociali provocati dal sempre più emergente business energetico-minerario. Non solo oro e rame: il carbone rappresenta la nuova frontiera del modello estrattivista. Tra il 2002 e il 2012 l’industria carbonifera è cresciuta dell’11,3%, in particolare nei dipartimenti di La Guajira, Cesar e Boyacá, dove si concentrano la maggior parte delle attività estrattive nazionali.

La V Informe Nacional de Biodiversidad de Colombia evidenzia che l’estrazione del carbone ha provocato la contaminazione dell’acqua, causato un deterioramento degli eco e degli agro sistemi, distrutto la flora e la fauna, creato le condizioni per la sterilità del suolo. È stato grazie alla rete di associazioni ambientaliste, comunità contadine e movimenti sociali che nel dipartimento di Boyacá è cominciata una campagna di resistenza civile, ma anche di coscientizzazione della popolazione, sugli effetti negativi dell’estrazione del carbone a cielo aperto. Tra i rischi maggiori che corre la popolazione del dipartimento, dedita soprattutto all’agricoltura e residente, in gran parte, nelle aree rurali, c’è quello di rimanere, in futuro, senza acqua. I lottatori sociali del dipartimento, impegnati a tutela della vita, dell’acqua e del territorio, prima hanno cominciato con attività di carattere informativo esponendo alle comunità i rischi derivanti dall’estrazione del carbone a cielo aperto, poi hanno utilizzato tutti gli strumenti legali a loro disposizione per mettere i bastoni tra le ruote alle transnazionali del settore, a partire dalla multinazionale Mnorte, che agisce per conto della francese Maurel et Prom. In barba al rispetto delle tradizioni ancestrali delle comunità indigene e contadine, decine di camion dell’impresa Carboandes hanno raggiunto la Laguna de Pantano Alto per l’estrazione del carbone. Carboandes è un’impresa del dipartimento di Cesar ed ha cominciato a sfruttare il territorio, saccheggiandolo di carbone, in silenzio, quasi in clandestinità. Le stime parlano di circa 2040 ettari di territorio che saranno sottoposti all’estrazione carbonifera nei prossimi venti anni. L’estrazione mineraria del carbone a cielo aperto è cresciuta in modo esponenziale dal 2001, quando il governo dell’allora presidente Andrés Pastrana approvò il nuovo Código de Minas, un gentile omaggio alle imprese minerarie. Da allora in Colombia il concetto di sovranità territoriale è stato cancellato, anche se alcuni megaprogetti di estrazione mineraria sono stati comunque bloccati dai movimenti, come quello di Ecopetrol, ma il Código de Minas garantisce alle imprese anche una certa facilità nell’ottenere le licenze ambientali. Nella città di Tasco (dipartimento di Boyacá) la multinazionale Hunza Coal è riuscita ad ottenere, in soli venti giorni, la licenza ambientale per l’estrazione del carbone nonostante l’ecosistema sia molto fragile. Prima dell’approvazione del Código de Minas i requisiti per ottenere la licenza ambientale erano molto più severi, ma con l’avvento di Álvaro Uribe alla guida del paese la Colombia è stata definitivamente messa in vendita. La questione mineraria, a Tasco, va avanti da almeno 12 anni: prima fu la volta la volta dell’estrazione del carbone su piccola scala, poi arrivò il Proyecto de minería hidráulica di Hunza Coal, che nel solo 2013 ha estratto circa 700mila tonnellate di carbone. Inoltre, in Colombia, l’estrazione mineraria è ampiamente tutelata dalla legge. La sentenza C-983, emanata dalla Corte Costituzionale nel 2010, sancisce che i minerali qualsiasi tipo, ubicati nel suolo o nel sottosuolo, sono di esclusiva proprietà dello Stato, senza ammettere in alcun modo la proprietà di entità di altro tipo, a partire dalle comunità indigene e contadine, più volte espressesi in consulte popolari in cui avevano dichiarato la loro opposizione allo sfruttamento minerario. Un altro strumento giuridico nelle mani dello Stato è il decreto 2041 approvato lo scorso ottobre, che ammette il riconoscimento delle licenze ambientali “espresse”, un’ulteriore apertura che rende ancora più facile per le imprese e lo Stato disporre a proprio piacimento delle risorse naturali del paese. Se negli Stati Uniti il termine per concedere una licenza ambientale è 7 anni, in Australia 2 e in molti paesi 1, in Colombia è necessario pazientare al massimo tre mesi, ancora meno che in Canada, da dove proviene la maggior parte delle imprese minerarie: lì il termine è di sei mesi. E ancora: l’articolo 49 del decreto del 15 ottobre 2014 permette alle imprese di figurare come terzi nelle informazioni da consegnare agli organi competenti che dovranno decidere sulla concessione della licenza, con buona pace di un’indagine che invece dovrebbe essere indipendente.

La Colombia ha deciso di dipendere dalla cosiddetta locomotora minero-energética, ritenuta utile per la crescita economica del paese, tanto da porsi in concorrenza con il Perù, altro paese che ormai ha abdicato alla sovranità territoriale per aprire all’estrazione mineraria: le multinazionali ringraziano, mentre a Palacio Nariño aumenta la confianza inversionista.

 

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