Colombia: verso la pace tra speranze e contraddizioni

didi David Lifodi

Sarà solo il tempo a dire se il primo accordo scaturito dai negoziati di pace tra il governo colombiano e la guerriglia delle Farce (Fuerzas Armadas Revoluconarias de Colombia) rappresenterà il primo passo sulla strada di un accordo duraturo per la fine del conflitto armato, ma di certo i segnali scambiati tra il presidente Juan Manuel Santos e gli insurgentes fanno ben sperare: dopo quasi un anno di colloqui i quattro pilastri emersi dalla riunione de L’Avana, un fondo per la terra, programmi di sviluppo nelle zone più arretrate del paese, lotta alla povertà e una certa attenzione dimostrata verso la questione agraria, potrebbero rappresentare le basi per un accordo storico.

Tuttavia la pacificazione del paese non passa esclusivamente da un cessate il fuoco tra le opposte fazioni, ma anche da una politica che non sia più strumento di sopraffazione, ma di inclusione, e qui sono almeno tre i nodi ancora da sciogliere: quello dei paramilitari, che continuano ad agire indisturbati, la drammatica situazione delle comunità indigene, strette tra guerriglia, paras e i progetti di sfruttamento intensivo del territorio (vedi alla voce dighe e miniere), infine la difficile risoluzione del disaccordo tra Farc e governo sulle zonas de reservas campesinas. La guerriglia guarda con (fin troppa)fiducia al presidente Santos, dichiarandosi addirittura non contraria a priori alla sua ricandidatura alla guida del paese nel 2014. “La pace nasce necessariamente dal negoziato”, spiegano i guerriglieri, e l’uomo che ha enormi responsabilità nel caso dei falsos positivos (i circa tremila civili uccisi dall’ esercito, talvolta con la collaborazione dei paramilitari, e vestiti con le uniformi delle Farc una volta assassinati per poterli spacciare come insurgentes) è anche l’unico ad aver smesso di riferirsi alla guerriglia come “minaccia terrorista”, e ad aver proposto loro di sedersi al tavolo della pace. Inoltre, spiegano le Farc, è stato per la prima volta sotto la presidenza Santos che il governo non ha imposto loro tempi e modalità della trattativa. La delegazione guerrigliera che ha incontrato in un hotel de L’Avana il giornalista del quotidiano colombiano El Espectador, Alfredo Molano Bravo, ha sottolineato come fin dalla presidenza di César Gaviria degli anni ’90, è stato il governo a dettare l’agenda politica dei colloqui. Iván Márquez, uno dei portavoce delle Farc, ricorda che in quella circostanza a Palacio Nariño (la sede presidenziale) rifiutarono di concedere all’allora leader guerrigliero Manuel “Tirofijo” Marulanda (scomparso da qualche anno per cause naturali), il tempo necessario per consultarsi con la Coordinadora Guerrillera Simón Bolívar (che riuniva tutte le formazioni armate, dalle Farc all’Ejército de Liberación Nacional fino al Movimiento 19 de Abril): volevano giungere alla pace senza negoziare. Ancora più deludenti i colloqui con Andrés Pastrana e Álvaro Uribe: anche in quelle occasioni, più che creare le premesse per una pace condivisa, i due presidenti intendevano imporla. Ed è proprio su ciò che sta più a cuore al governo, le grandi opere e la questione agraria, che si giocherà probabilmente il futuro di un paese stanco di guerra. Santos ha giurato di condividere la richiesta della guerriglia affinché i partiti tradizionali, i terratenientes e l’oligarchia riconoscano le loro responsabilità storiche nella spirale di violenza che ha travolto il paese, del resto originariamente le Farc erano nate proprio per farsi portatrici di un’istanza di giustizia sociale, ma bisogna vedere quanto, nel concreto, il mandatario colombiano intenderà spendersi. Ad esempio, il governo ha più volte sottolineato come la politica economica e la dottrina militare non siano negoziabili. Difficilmente questi aspetti potranno conciliarsi con i quattro pilastri di cui sia Santos sia la guerriglia hanno comunque da andare fieri poiché si tratta del primo accordo. Lo sviluppo economico si coniuga con la giustizia sociale, la tutela dell’ambiente e delle risorse idriche in un paese in cui, al contrario, il governo lascia campo libero alle multinazionali (alla faccia della sovranità territoriale), poste nella situazione ideale per accaparrarsi oro, carbone, acqua e imporre i loro interessi, tutelate peraltro dal trattato di libero commercio con gli Stati Uniti, ratificato da Uribe, ma in cui crede fermamente anche lo stesso Santos, nonostante i due abbiano rotto da tempo l’idillio tra loro per diventare acerrimi nemici pur nello stesso campo, quello della destra neoliberale. Quanto alla dottrina militare, protestano le Farc, lo stato ha sempre tollerato il paramilitarismo, andandoci spesso a braccetto. E ancora, le zonas de reservas campesinas (Zrc), sei in tutto, ma con altre sei che aspirano presto a diventare tali, sono state definite da alcuni ministri del governo come republiquetas. A Palacio Nariño si teme che le Zrc diventino dei territori autonomi a guida delle Farc: in realtà le zonas aspirano ad impedire che in quei territori si svolgano attività che pregiudichino l’economia di sussistenza campesina, a partire dall’imposizione della monocoltura: il Fondo de Tierras para la Paz, uno dei punti chiave del primo accordo tra governo e guerriglia, rappresenta comunque il raggiungimento di un traguardo che all’inizio dei colloqui non era scontato. Il Fondo servirà per assegnare terreni improduttivi alle donne e ai contadini senza terra affinché li coltivino: dal punto di vista di Santos si tratta di una concessione significativa agli occhi di un’oligarchia che ha sempre tenuto a mantenere i latifondi, anche quelli improduttivi, spesso tramite l’utilizzo della violenza. Inoltre, il Fondo de Tierras para la Paz serve anche per strappare queste terre al narcotraffico e riprende per certi aspetti uno dei cavalli di battaglia delle Farc. Durante la loro settima conferenza nazionale, che fu celebrata nel 1982, i guerriglieri avevano elaborato una Ley de Reforma Agraria Revolucionaria che intendeva abolire tutte le proprietà private delle imprese straniere (petrolifere, minerarie, bananiere, dedite al commercio del legname ecc…) e redistribuirle ai campesinos senza terra. Invece il Fondo de Tierras, notano in molti, rappresenta un segnale positivo perché non nasce dall’idea di togliere la terra a qualcuno per assegnarla ad altri, ma nel suo intento principale dovrebbe venire incontro sia alle esigenze degli imprenditori agroindustriali sia a quelle dei piccoli agricoltori. I primi se rispetteranno l’accordo, avranno il vantaggio di veder sorgere n vero mercato della terra (in maniera legale), mentre i contadini avranno diritto ad aver garantito il loro terreno su cui lavorare e ricavarci un salario. Resta però ancora un punto, assai spinoso, da risolvere, quello che riguarda le comunità indigene del Cauca. Poco più di un mese fa un giovane del pueblo Nasa, di soli 14 anni, è stato assassinato da altri due adolescenti appartenenti alla guerriglia. La fine del conflitto armato passa attraverso il reinserimento dei guerriglieri nella vita civile, come le stesse Farc chiedono, ma anche dalla fine della persecuzione contro gli indigeni del Cauca e delle comunità in resistenza, accusate dai guerriglieri di non essersi mai schierate nel conflitto armato e dall’esercito e dai paras di essere vicini alla guerriglia. L’assemblea permanente del pueblo Nasa ha rilasciato un durissimo comunicato in cui accusa governo e guerriglia: “entrambi parlano di pace, ma nel migliore dei casi si arriverà a un cessate il fuoco. Nel frattempo da entrambi i fronti si continua ad uccidere e i colloqui de L’Avana serviranno solo a spartirsi gli spazio geostrategici e politico-elettorali. In tutto questo le compagnie transnazionali proseguono nella spoliazione dei territori approfittando del trattato di libero commercio”. Per le comunità indigene del Cauca i negoziati di pace serviranno solo a ripartire il bottino tra i due contendenti. In pratica, alle Farc e al governo si rimprovera di essere artefici di una pace parziale, sottoscritta solo per interessi di bottega: “ci stanno uccidendo”, è il grido d’allarme del pueblo Nasa, con le pallottole provenienti da stato, guerriglia e paramilitari, ma anche con la rapina delle risorse naturali dei nostri territori.

In una Colombia in cui lo stato attuale del rispetto dei diritti umani è preoccupante, tra contraddizioni e posizioni difficili da conciliare, il primo accordo tra lo stato colombiano e le Farc rappresenta comunque un primo passo sulla strada della pace e di una riconciliazione politica definitiva tra i colombiani, ma la strada verso un paese finalmente pacificato non sarà semplice da raggiungere.

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