Come eravamo, come siamo

di Monica Lanfranco

Sembra incredibile, ma è vero: fino al 1975 in Italia il capofamiglia, ovvero il marito, aveva il potere di picchiare – per fini correttivi e di disciplina – chiunque si trovasse ad abitare presso il suo domicilio, quindi principalmente la moglie e i minori.

Fu soltanto in quella data che il Codice civile, fermo all’elaborazione dell’epoca fascista, venne modificato perchè in palese contrasto con la Costituzione e il nuovo diritto di famiglia che invece sancisce la parità giuridica e morale dei coniugi.

 

Ma la data interessante è quella del 19 dicembre 1968, data del quale l’adulterio della donna in Italia non fu più punibile per legge.

L’infedeltà coniugale nel diritto italiano era disciplinata dagli articoli 559 e 560 del Codice penale. Per la moglie costituiva reato il semplice adulterio, che vedeva punito anche il correo dell’adultera. Il ‘delitto’ era punibile a querela del marito. Quando a commettere il reato era il marito invece l’infedeltà era punita solo nel caso in cui avesse tenuto una concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove.

Ma solo fino al 19 dicembre 1968 quando furono dichiarati incostituzionali i commi primo e secondo dell’articolo 559 Cp. (reato dell’adulterio semplice compiuto dalla moglie).

 

Se andate sul blog femminismo a sud potrete leggere un interessante percorso storico politico di questa (e non solo) anomalia nelle relazioni fra i generi che ha pervaso la società italiana fino alla metà degli anni ’70, quindi davvero l’altro ieri se ragioniamo in termini di tempo storico.

Del resto, come scrive Maria G. Di Rienzo in una lunga riflessione nella lista La nonviolenza in cammino “sin dall’inizio della storia di Roma picchiare le mogli è legge dello Stato (753 a. C.). Si tratta della cosiddetta ‘regola del pollice‘ cioè un uomo può battere la moglie con un bastone la cui circonferenza non sia superiore a quella della base del suo pollice. Questa regola si propagherà in molte legislazioni europee nei secoli successivi. Durante il medioevo in tutta Europa le leggi permettono ai nobili di picchiare mogli, figli e servitori nonchè ai servitori di picchiare mogli e figli”.

 

La chiesa cristiana fa purtroppo la sua parte consigliando come unico rimedio alle donne battute maggior devozione e obbedienza ai mariti.

 

In questo periodo si cristallizza la percezione delle donne come di una “specie a parte”, intrinsecamente non umana, non capace di provare gli stessi sentimenti e le stesse sensazioni degli uomini. San Bernardino da Siena suggerisce ai suoi parrocchiani di trattenersi un pò con le mogli, ovvero di mostrar loro, picchiandole, almeno la stessa pietà che mostrano ai loro maiali e alle loro galline (1427)”.

 

Il saggio di Maria G. Di Rienzo continua fino ad arrivare ai giorni nostri, ma è sufficente questa breve carrellata per focalizzare il punto davvero cruciale intorno al quale ruota ogni ragionamento e atteggiamento sessista, in ogni epoca storica e in ogni cultura e religione: le donne sono, rispetto agli uomini, un po’ meno degne di rispetto. E le ricadute di questo pregiudizio, se restiamo nel nostro Paese, sono tali che solo dopo il marzo 2001 con una legge si è fatto esplicito riferimento all’allontanamento da casa del parente dal quale si temono gravi violenze fisiche. Ancora più recente, del febbraio 2007, una sentenza della Cassazione che non riconosce nessuna aggravante per chi alza le mani sulla propria compagna, perchè “soltanto” convivente; la convivenza non è come il matrimonio tradizionale, e quindi senza il vincolo matrimoniale picchiare una donna che vive con te more uxorio ma senza certificato legale non è come picchiare la propria moglie. Siamo sicure che questo sia un Paese civile?

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