Com’era bello il Mesozoico

recensione a «Ossa della Terra» di Michael Swanwick. Ve lo dico subito: se amate i dinosauri questo è il vostro romanzo

Molte persone potrebbe inorridire ma per altre/i – compreso chi scrive – trovare la testa di uno Stegosaurus in un refrigeratore sarebbe una bellissima sorpresa. Tutto si aspetta Richard Leyster, paleontologo (mal pagato ma appassionato) al famoso Smithsonian, tranne che la misteriosa offerta di lavoro per lui sia corredata da un “biglietto da visita” così insolito. Siamo a Washington nel 2010 dopo Cristo. Per lui il Mesosozoico con i suoi dinosauri non è lavoro ma il sogno di una vita. La domanda è: «da dove proveniva? Come spiegare il miracolo della sua esistenza?». Visto che quella testa di Stegosauro non può essere un falso, Leystyer formula tre ipotesi: viaggi nel tempo; frammenti di Dna ricombinato (non lo nomina ma sta pensando a «Jurassic Park»); costruire da zero uno pseudo-dinosauro. E si risponde così: «Tre spiegazioni possibili…. una più impossibile dell’altra». Chi leggerà «Ossa della terra» di Michael Swanwick – è l’Urania in edicola, 280 pagine per 4,90 euri, traduzione di Roberto Marini – saprà subito quale delle tre impossibilità si è concretizzata ma io invece non vi voglio togliere la sorpresa.
Nel 2003 mi ero perso (chissà come mai) la prima edizione di questo romanzo; ben felice di averlo recuperato ora. Ha una solida base scientifica, il gusto del paradosso, avventura q.b., personaggi e trame non banali, una scrittura notevole. Sì, volendo essere pignoli qualche “peccatuccio” (in ripetizioni e lungaggini) lo trovate ma diciamocelo a bassa voce anche Omero, Virginia Woolf e Italo Calvino ogni tanto hanno una paginetta stanca, no?
C’è in questo romanzo persino – un fatto impensabile nella vecchia Urania – un’orgia, non si capisce quanto collegata psicologicamente a un precedente amplesso fra due triceratopi. E a proposito di fantascienza senza “veli” vi ricordo che questo mese arriva in edicola la traduzione integrale (cioè non censurata sessualmente ma anche politicamente) de «Il vagabondo dello spazio» di Fredric Brown.
Dovendo tacere sulla trama il più possibile accennerò soltanto che fra le tante piacevoli sorprese c’è un interessantissimo accenno all’organizzazione dei Sioux Lakota, che «l’irradiazione adattativa» è spiegata in modo stupendo, che Swanwick sembra d’accordo con Ludwig Wittgenstein a proposito del fatto che «se un leone potesse parlare non lo capiremmo», che ritiene rilevanti le differenze fra scopare e far l’amore (due attività spesso confuse) e che verso il finale del libro, fra un colpo di scena e un paradosso, ci regala due definizioni da incorniciare. La prima è – che io sappia – di Swanwick: «la scienza ha bisogno di equilibristi e di sgobboni, di visionari e di indagatori». La seconda è certamente di Shakespeare («La tempesta») ed è stata saccheggiata, anche a sproposito: inizia con «i giochi di magia son terminati / come t’avevo detto, quegli attori / erano solo spiriti dell’aria» e più avanti approda a «Siamo fatti anche noi della materia / di cui son fatti i sogni / e nello spazio e nel tempo di un sogno / è racchiusa la nostra breve vita».
Vedo che laggiù si alza una mano: «scusi db, d’accordo a tacere la trama ma almeno un piccolo accenno ai “cattivi” possiamo averlo?». A così cortese domanda risponderò: Swanwick considera (e ha pienamente ragione, secondo me) molti «creazionisti» fanatici e pericolosi, disposti anche a uccidere per dimostrare che la Bibbia aveva ragione su ogni virgola. Nel mostrarci una “talpa” infiltrata fra gli scienziati il romanzo si tinge di giallo ma un po’ alla maniera del «Tenente Colombo»: noi sappiamo subito chi è il colpevole però dobbiamo attendere per vedere se sarà scoperto e se contro di lui si troveranno prove inoppugnabili. Insomma ce n’è per tutti i gusti in questo «Ossa della terra» ma soprattutto godranno coloro che amano dinosauri e simili.
Quando in Italia cominciarono a essere tradotti i libri di Stephen Jay Gould, io e il mio socio di scrittura Riccardo Mancini (all’epoca ci firmavamo Erremme Dibbì sulle pagine del quotidiano «il manifesto») scoprimmo con gran gusto che anche un geologo, biologo e storico della scienza come lui nutriva la nostra stessa passione per i grandi sauri estinti. Se anche voi siete nel “club” e non conoscete «Il pollice del panda» e «Bravo brontosauro» (sono due raccolte di saggi e articoli, uscite negli anni ’80) correte subito a leggerli. Questo romanzo di Swanwick è uscito negli Usa lo stesso anno in cui Gould è morto ma il racconto su cui si basa aveva vinto anni prima (con il titolo «Scherzo con il tirannosauro») il premio Hugo. Fu definito «appassionante come “Jurassic Park” ma molto più intelligente» e mi sento di sottoscrivere questa definizione. Se mai Gould avesse scritto un romanzo sui suoi amati dinosauri sarebbe stato simile a questo: pieno di idee, avvincente e anche spiritoso. Ci si rammarica che non duri altre 200 pagine.
P. S. – Vedo in edicola il numero 8 di «Fantasy & Science fiction», ve ne parlerò la prossima settimana ma al buio ve lo consiglio perchè una collaborazione (datata 1970) fra Harlan Ellison e Theodore Sturgeon merita senz’altro di essere conosciuta. Quale che sia l’esito: trattandosi dell’incontro fra due vulcani credo sarà un nuovo mondo o una catastrofe, senza via di mezzo. Ne riparliamo fra 7 giorni.

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