Con Plot – Con versazione di Syd Mc Seger e Mark Adin

Ho letto “Contro la dittatura del Plot” , di Mark Adin, apparso sabato scorso su questo blog.
E’ un’analisi interessante, ma mi piacerebbe sapere cosa ne penserebbe un professionista della scrittura (colui che di scrittura vive, colui che è pagato per scrivere, colui che oltre i classici ha studiato la loro analisi, con plot e derivati, OGM e quant’altro). Come d’altronde erano professionisti anche i grandi romanzieri classici, gli autori della maggior parte della “Letteratura Buona”.
Non si pensa mai che scrivere possa essere un mestiere, sicuramente più vicino all’artigianato che all’intermediazione di propri pensieri, o dell’impellente bisogno di “raccontare/raccontarsi”.
Ci rifletto oggi, che se n’è andato un Maestro del Cinema, che si è sempre considerato un artigiano.
Sarebbe a questo punto da interrogarsi su una cosa: esiste il Mestiere dello scrittore, o tutti coloro che scrivono, ormai, pensano di farlo meglio dei “professionisti”, vivendo, però, di tutt’altro?
La cosa non stupirebbe, oggi c’è una politica dove si afferma: “Io ho fatto quadrare i conti alle mie innumerevoli società ed imprese, quindi posso far quadrare i conti anche all’Italia”.
No, non è così. L’imprenditoria è una cosa, la politica è altro.
La scrittura, con le sue regole, coi grandi romanzi pieni di “plot”, plot nascosti ad arte anche nelle opere più minimaliste, è “altro”.
Si può imparare la tecnica senza essere dei tecnicisti, ma è pretenzioso voler criticare gli attrezzi fondamentali di un artigianato vivendo di altro, fuori dalla propria bottega, avendo scelto altre carriere. Uno scrittore non ci dirà mai quale sapone sia meglio per lavarci la schiena, perché ha il rispetto per il venditore di sapone. Il venditore di sapone, invece, ha anche lui il suo libro nel cassetto. E a volte pensa che le sue frasi scritte scivolino più velocemente sulla carta. E tutto questo per merito delle sue, amate, Saponette.
Syd Mc Seger (sceneggiatore e film maker).

 

 

Credo di afferrare il concetto, provo a elaborare: da una parte i leziosi, dopolavoristi-scrittori-per-caso che inseguono la cosiddetta ispirazione -che se non arriva, ciccia – e dall’altro il professionista dotato di quella tecnicalità necessaria per essere artigiano, per scrivere nella buona e nella cattiva sorte. C’è del vero. Estremizzando, c’è del vero.
Ma il buon Mark Adin ha detto questo? Non mi pare proprio. Mi sembra invece che abbia parlato della penuria di letteratura che “faccia sognare” nonostante il grande progresso che si è fatto nell’approntare, studiare e servirsi di strumenti importanti ma che non fanno e non faranno mai, di per sè, la buona letteratura. Ci si può servire degli utensili migliori, ma se il testo non emoziona è tutto inutile. Pretenzioso è vivere SOLO di plot, di strutture. Perchè è giusto osservare che chi ci deve vivere e deve scrivere tutti i giorni, col bello e col cattivo tempo, non può certo permettersi di attendere l’ispirazione, ci mancherebbe. Ma dove l’ha scritto Mark?
Adin dice soltanto che il plot non può essere l’unica preoccupazione del professionista. Il testo, ripeto, deve emozionare. E non è così automatico che un romanzo, pur ben scritto, lo faccia. Se uno scrittore, pur professionista, non funziona, allora è meglio che vada (lui) a vendere saponette.
NB: Mark Adin – io lo conosco – è uno a cui piace il confronto, è per questo che non crede che solo gli scrittori professionisti possano osare criticare gli scrittori professionisti, perchè Mark Adin è, prima di tutto, un lettore. Ed è in qualità di lettore – che “paga”- che ha tutto il diritto di essere esigente e criticare puttanate, marchette e banalità, anche se “scritte bene”.
Mark Adin (insonne e naive)

 

Mi fa piacere sia nata questa conversazione, perché gli spunti sono molteplici. Quando mi appassiono difetto del dono della sintesi, quindi cercherò di restituire una (mia) visione più completa possibile. Mi scuso, quindi, con tutti quelli che riceveranno questa lunga analisi (pippa?).
Parto da un assunto diverso da quello di ieri: il Talento.
Diciamo che col talento si può fare quasi tutto, e si può farlo bene.
Se si ha talento e non si conosce tutto l’universo delle strutture, dei plot, degli antiplot, dei foreshadowing, e di un’altra cinquantina di nomi tecnici che, nell’analisi strutturale della scrittura, anche quella classica, identificano l’intelaiatura di una storia, scomponendola, per poi comprenderne i flussi, le direzioni e la “messa in scena” letteraria, non importa.
Il Talento andrà comunque in soccorso di chi scrive, e non pregiudicherà la qualità dei suoi scritti, sebbene non dia garanzie al “talentuoso” di produrre qualcosa di eccellente.
Al contrario, se si conosce la tecnica senza avere talento, si scriverà una cosa piatta, magari adatta al mercato dei libri che non emozionano, ma funzionante nella sua costruzione, e forse si riuscirà a venderne qualche copia (ammesso di convincere un editore, e tutte le trafile che l’operazione richiede).
Insomma il talento è ancora, fortunatamente, una discriminante che sopravvive ai tempi, nonostante gli strutturalismi, la saggistica, e tutto il tecnicismo possibile.
L’equivoco che riguarda la percezione del talento (il proprio o quello altrui) è che porta, pigramente, a pensare che solo il talento sia sufficiente. Che non occorra conoscere bene ciò a cui si sta lavorando, che non serva che un calciatore si alleni, che un musicista conosca il solfeggio o lo spartito, e via dicendo.
La domanda quindi è: il Talento basta a se stesso?
La mia risposta è che forse è bastato fino al Novecento.
La grande Letteratura, la Poesia (senza bisogno di Plot, Lei sì, completamente sganciata da tutte le dinamiche), le grandi opere letterarie viaggiavano, oltre che nello struggimento romantico, soprattutto nel talento individuale.
A questo punto io constato che qualcosa è cambiato, che è passato del tempo, ma non posso affermare con certezza che oggi ci si trovi nella modernità.
Forse la Modernità appartiene a un’ucronìa, a un treno che abbiamo perso, per innumerevoli motivi, o anche soltanto per la sua inafferrabilità.
Quindi preferisco parlare di Presente. Il vecchio qui ed ora, il Dasein, il “non luogo intellettuale” e contemporaneamente il luogo fisico, nel presente temporale, dove ci troviamo Adesso.
Adesso non si può più parlare di Narrativa o di Romanzo. Non più nei termini del Novecento.
Adesso. riferendoci a qualsiasi Opera, per la nostra continua esposizione alle “radiazioni/irradiazioni” dei principali media, della cronaca, della tecnologia, e di tutto quello che nel Novecento aveva un peso specifico di un centesimo rispetto ad ora, si può, che piaccia o no, parlare solo di Contaminazioni.
Una notizia di cronaca che diventa film, libro o serie tv. Un evento agghiacciante che riempie i salotti televisivi per mesi. Un fumetto che diventa film. Un film che diventa fumetto. Un romanzo venduto al cinema per farne un film, ancora prima della stesura del suo outline. Un videogioco che diventa una saga, in vari volumi (cartacei). E gli esempi sarebbero infiniti.
Fuori da questo sistema ci sono i tentativi personali di fare della Letteratura, che appaiono però naive.
Libri indigesti ai più, apprezzati dagli addetti ai lavori, che però non costituiscono un mercato di riferimento. Inclinazioni nei confronti di una propria percezione della cura, o della purezza stilistica, che (da sola) in ambito letterario è ormai retrograda.
La brutta notizia è che oggi, per gli amanti della grande letteratura, non ci sarà un nuovo Kafka. Non ci sarà un nuovo Dostoevskij. Tutti i tentativi che verranno fatti non considerando il Presente, saranno delle piccole urla strozzate.
La contaminazione dei generi e dei media porta spesso, come dici tu, a delle puttanate, delle marchette e delle banalita.
Ma per fortuna non solo a quelle.
La scelta da considerare sarebbe: “Voglio vivere nel presente?”
Se sì, ci si adegua e ci si districa, anche grazie a tutti i mezzi che oggi abbiamo a disposizione, stilistici, strutturali e non, per riconoscere laddove stia la fregatura, sfruttando i vantaggi che derivano dalla conoscenza tecnica del Mestiere dello scrittore.
Altrimenti, il mio consiglio nei confronti di chi è intriso di passione letteraria, di chi ha talento e non si riconosce nella sistematicità del presente, è quello di non perdere tempo a scrivere racconti, e dedicarsi solo alla Poesia.
La Poesia è senza tempo, è immortale, è perenne.
Al contrario, la letteratura che si può produrre nel mondo di oggi, ahimé, non lo è (più).
Syd  Mc Seger (insonne e conplottardo)

 

 

—————————————————–

clelia pierangela pieri – xdonnaselva@yahoo.it
luigi di costanzo – onig1@libero.it

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Non sono sicuro di avervi capiti voi due; forse un filino di più Mark Adin (sarà perchè lo conosco da quando era un bimbotto?) che l’a me ignoto – credo, con i nomi “d’arte” non si può esserne certi – Syd Mc Seger.
    Il mio commento dunque rischia d’esser fuori tema. E poi dovrei prima accordarvi con voi se parliamo la stessa lingua (bello, banale, utile, intelligente, rozzo, geniale, aria fritta, ecc).
    Ci provo egualmente?
    Ma sì.
    Leggo molto, per lavoro e per piacere, perchè mi mandano molti libri da recensire (e io parlo solo di quelli che, a mio parere, valgono) e per “aggiornarmi”. Leggo quasi di ogni genere, forse un po’ più di quella robbbba (4 b) che viene etichettata fantascienza ma anche il cosiddetto genere realista, il noir, saggi, libri di storia, politica, poesia, scienza e fortunatamente tanti testi che non sono classificabili. Se dovessi azzardare un numero direi circa 100 ogni anno letti (o studiati) da cima a fondo mentre altri 50-80, forse persino 100 l’anno li studicchio o li leggo a metà, a pezzi e bocconi. Mi capita di leggere inediti perchè amiche-amici e dintorni mi chiedono un parere o un aiuto: fra i 5 e i 10 ogni anno forse. Aggiungo che un anno fa ho aiutato Christiana De Caldas Brito in un breve laboratorio di scrittura: fra i 40 racconti che ne sono usciti ne ho trovati di bellissimi e di belli, brutti neanche uno. Magari non tutti perfetti ma… anche qui dovremmo metterci d’accordo su qualche paletto: nel 900 i capolavori della letteratura sono stati solo 5, ovviamente 10, forse 28 o ben 157?
    A ogni modo…
    … leggo un casino. Cerco di privilegiare l’editoria media-piccola per molte ragioni che ora non sto a spiegare (ma credo siano intuibili); siccome non sono un integralista faccio eccezioni, anche se dare soldini a Mondadori o Rizzoli, cioè al signor P2-1816 (alias Silvio Berlusconi) mi secca assai.
    Chiarito un poco dove si trova il mio osservatorio e i suoi limiti, mi verrebbe da dirvi.
    1 – Trovo che in giro c’è un sacco di roba bellissima da leggere, a volte pure ben scritta, non banale. Per quel poco che so, “arrivano” di continuo scrittori o scrittrici interessanti che faticano a farsi pubblicare o tradurre, anzi neppure a farsi leggere dalle case editrici italiane che pure dovrebbero (?) cercare nuovi autori-autrici.
    2 – Poi c’è un sacco di merda in giro, neanche a dirlo. Ma io sono un “seguace” di Theodore Sturgeon che suggerisce di tener presente come in ogni letteratura – e in ogni attività umana – il 90 per cento sia spazzatura. Dunque non mi impressiono.
    3 – Poca gente legge per molti e complessi motivi ma soprattutto…
    3 bis – Il sistema “democratico” (noterete le virgolette) nel quale viviamo – dunque parlo dell’Italia – ha paura di persone informate e intelligenti quindi scoraggia ogni forma di empowerment anche culturale.
    4- Gli spazi di libertà nell’editoria – come altrove – si sono ridotti drasticamente.
    5 – Fra le tante trasformazioni degli ultimi anni ce n’è una che complica il discorso sin qui fatto: la frattura non è fra la cultura “umanistica” e quella “scientifica” (come aveva predetto Snow negli anni ’50 o giù di lì) ma fra mille linguaggi iper-specialistici e centomila tribù non più comunicanti e neppure curiose… per molte e complesse ragioni (una delle quali è il 3 bis)
    Conclusione?
    “Io di risposte non ne ho, io faccio solo rock and roll” e così via con (nel mio caso) una particolare sottolineatura al passaggio “Non potrò mai diventare direttore del giornale della sera”.
    Lui invece – Edoardo Bennato – di qualcosa è diventato “direttore generale” e da allora a me pare che le sue canzoni si siano vertiginosamente imbruttite. Ovviamente sarà un caso. O un (mio) pregiudizio.
    E allora?
    Che ne so? E io poi amo poco il rock and roll mentre adoro il jazz. Forse ho sbagliato dibattito ma confido che mi vorrete bene lo stesso.
    ciao, db

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *