Congo: il difficile dopo-elezioni

Un’analisi di Donata Frigerio e una testimonianza di Teresina Caffi

Provo a raccontare, con tutte le imprecisioni e gli errori che sicuramente farò – per voi che collaborate con me e con noi di Haki Tumaini (*) – lo svolgimento dei fatti, in modo breve e imparziale, di seguito qualche chiarimento su alcuni passaggi.

I fatti

Le elezioni, da calendario elettorale, avrebbero dovuto aver luogo nel 2016. Per motivi vari, legati sia alla volontà di restare al potere di Joseph Kabila, il presidente, (coalizione FCC) che alle interferenze di vari Paesi esteri, la data è stata procrastinata più volte fino ad arrivare al 23 dicembre 2018.

Con l’avvicinarsi del mese di dicembre la tensione nel Paese è cresciuta, in gran parte per il timore che Kabila si candidasse di nuovo (e non avrebbe assolutamente potuto farlo, dopo 15 anni di presidenza la sua candidatura sarebbe stata anticostituzionale) e per il malcontento ed il timore di brogli a causa della scelta governativa di utilizzare “macchine da voto”, una sorta di computer su cui votare.
In Congo RD la corrente elettrica raggiunge poche zone, in gran parte del territorio non esiste ma anche nelle città non ne è garantita l’erogazione, e questo avrebbe potuto complicare le operazioni di voto… Inoltre alcuni politici e parte della popolazione ritengono che i brogli siano più fattibili in un sistema computerizzato.
Kabila ha dichiarato l’8 agosto di non candidarsi alle elezioni e di appoggiare la candidatura del suo delfino Shadari.

Pochi giorni prima del 23 dicembre ci sono stati due “incidenti elettorali”.

Il primo è stato il 13 dicembre, l’incendio a Kinshasa, la capitale del Congo, di un grande capannone della CENI (la commissione elettorale nazionale indipendente). Nel capannone erano contenute centinaia di “macchine da voto” e molto altro materiale elettorale. Queste le ragioni addotte per cui, il 20 dicembre, la CENI ha annunciato che le elezioni sarebbero state rimandate al 30 dicembre. Anche questa notizia ha creato molta tensione, si temeva che fosse l’inizio di continui slittamenti di data.
Il 21 dicembre è caduto un aereo della CENI, di ritorno a Kinshasa dal Kasai, che trasportava materiale elettorale. L’equipaggio è morto e tutto il materiale è andato perso.

Il governo ha dichiarato al mondo che non avrebbe accettato contributi di alcun genere, neppure economici, da altri Paesi, per sostenere lo svolgimento delle elezioni, che sarebbero state finanziate esclusivamente dallo Stato. Il Presidente non voleva ingerenze straniere di nessun tipo. Così è stato. Anche per quanto riguarda l’osservazione elettorale sono stati accettati solo osservatori elettorali nazionali poiché il governo ha dichiarato di non accettare osservatori internazionali.

Il 26 dicembre la CENI ha annunciato che nella zona del Nord Kivu di Butembo-Beni e altre limitrofe le elezioni non avrebbero avuto luogo a causa dell’insicurezza (continui attacchi ai villaggi da parte di uomini armati) e dell’epidemia di Ebola che imperversa sul territorio.

La popolazione di Butembo e Beni non ha accettato la decisione e, in autonomia, a prezzo di grande fatica, ha preparato comunque i seggi utilizzando il materiale residuo della tornata elettorale del 2011, votando il 30 dicembre. Una azione dimostrativa.

Così, fra continue tensioni, la gente si è recata ai seggi il 30 dicembre.

Ci sono stati diversi incidenti durante lo svolgimento del voto, in alcune zone del Paese e in alcuni quartieri delle grandi città, un enorme spiegamento di forze, qualche morto, diversi feriti, alcuni arresti; complessivamente “noi” osservatori esterni temevamo molto peggio… in un Paese in cui ci sono stati 6/8 milioni di morti durante i peggiori anni di guerra.

Alla chiusura dei seggi è seguita, come sempre e ovunque, un’ansiosa attesa dei risultati, che la CENI avrebbe dovuto dare il 6 gennaio. In realtà sono stati annunciati qualche giorno dopo. E’ stato dichiarato vincitore uno dei due oppositori del governo tra i più gettonati, Felix Tshisekedi (coalizione CACH) secondo le proiezioni dei risultati. Il candidato del partito di governo attuale, Shadari, ha perso.

A questa dichiarazione sono seguite proteste, denunce, discussioni. La Chiesa cattolica, attraverso la CENCO, la commissione episcopale nazionale del Congo, ha fatto pressione almeno 2 volte prima della proclamazione dei risultati, annunciando di avere dati estremamente attendibili.
Di fatto la Chiesa ha mobilitato osservatori elettorali nazionali indipendenti, legati alla Società Civile, che hanno presidiato circa la metà dei seggi elettorali in tutto il territorio nazionale. I suoi dati sarebbero differenti da quelli dichiarati.
La vittoria di Tkisekedi è stata subito contestata da una parte dell’opposizione, dalla gente, il cui sentore era che avesse vinto Fayulu, l’altro oppositore favorito nelle proiezioni (coalizione Lamuka).

Il 19 gennaio la Corte Costituzionale (peraltro legata al partito al governo) ha confermato la vittoria di Félix Tshisekedi, che ha prestato giuramento come nuovo Presidente della Repubblica il 24 gennaio.

 

Qualche approfondimento

Le elezioni non erano solo presidenziali ma anche legislative nazionali. Dai risultati provvisori pubblicati si nota che la maggioranza dei seggi parlamentari è stata attribuita al partito di governo di Kabila. Il che provocherebbe enormi difficoltà di gestione, avendo una maggioranza parlamentare in opposizione al Presidente.

Ha votato quasi il 48% degli aventi diritto.

Durante la costruzione delle liste elettorali e la campagna elettorale sono successi diversi fatti significativi.

Il 2 febbraio 2017 è morto Etienne Tshisekedi, politico oppositore di Mobutu (l’anziano dittatore precedente a Laurent Desirée Kabila, padre di Joseph, che fu ammazzato in un colpo di Stato). Etienne si è opposto anche a Joseph Kabila, attuale presidente. Il figlio Felix ha preso il posto di suo padre nel partito che lo ha candidato. (coalizione CACH)

Fayulu è giunto alla ribalta dal nulla, non appartiene a una famiglia di politici, ma è stato appoggiato nella sua campagna da due illustri esclusi, Bemba e Katumbi (della Coalizione Lamuka)
Bemba, ex signore della guerra, è stato condannato al Tribunale Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità perpetrati in Repubblica Centrafricana e poi rilasciato dallo stesso Tribunale con la dichiarazione di errato giudizio. E’ ex vicepresidente del governo di transizione, insieme a Kamerhe, nel periodo precedente le prime elezioni libere dopo la fuga di Mobutu, il dittatore per 35 anni al potere.

E’ rientrato in Congo invece Katumbi, già governatore della provincia del Katanga, di cui è originario, uomo ricco e influente, abile politico, espulso dal Congo. Non ha potuto presentarsi candidato perché non risiede nel Paese e ha anche la cittadinanza italiana. (il Congo RD permette la candidatura di chi è solo congolese).

Durante le elezioni: in diverse Province ha piovuto moltissimo, il che ha comportato difficoltà nel raggiungere i seggi e problemi nel funzionamento delle macchine da voto, alimentate da appositi generatori.

In alcune zone, a causa del malfunzionamento delle macchine, i seggi si sono aperti con ritardi significativi, anche di alcune ore.

Durante lo spoglio elettorale: nella stragrande maggioranza dei seggi al voto elettronico è stato aggiunto il conteggio manuale dei risultati.

Considerazioni

Gli elettori si sono mobilitati in modo massiccio, per adempiere al loro dovere civico, nonostante le varie difficoltà e irregolarità constatate sia nei Centri di voto che nei seggi elettorali e nonostante le intemperie.
Il popolo congolese è arrivato a questo appuntamento della sua storia in piena responsabilità e ciò è fonte di grande soddisfazione nazionale.
Le irregolarità non hanno potuto intaccare in modo significativo la scelta che il popolo congolese ha chiaramente espresso attraverso le urne.

(*) Haki Tumaini è un’associazione costituitasi ufficialmente nel 2011, con sede a Castelnovo di Sotto, in provincia di Reggio Emilia. L’associazione nasce da un’idea di un gruppo di amici, a seguito di numerosi viaggi effettuati nel corso degli anni nella Repubblica Democratica del Congo, nella regione dei grandi laghi. L’obiettivo principale di Haki Tumaini è dare informazione, su richiesta degli amici incontrati in Africa, sulla situazione locale e di raccontare la guerra. Haki Tumaini significa giustizia e speranza in lingua swahili. E la giustizia e la speranza sono l’obiettivo che l’associazione persegue attraverso l’organizzazione di incontri, di eventi e di momenti di aggregazione nelle scuole e nelle parrocchie. ALTRE INFO su: https://www.xlestrade.org/haki-tumaini

 

Passi di democrazia

di Teresina Caffi

Tornando giorni fa nell’est della Repubblica democratica del Congo, dopo l’evento delle elezioni e dell’avvento del nuovo presidente, ho cercato di cogliere l’aria che tira. L’aspetto di Uvira, della Piana della Ruzizi, di Bukavu è sempre quello, a parte qualche pezzo di strada riassestata e qualche palazzo di benestanti in città che è stato terminato. Le strade difficili da percorrere. Molte donne in città ancora sotto i pesi dei sacchi che trasportano per pochi spiccioli.

Ma si sente un’aria nuova. Una fierezza nuova, di essere riusciti in un’impresa che ad altri popoli vicini non è riuscita: votare senza confermare il presidente uscente, anzi avere al potere qualcuno dell’opposizione. E anche, profondamente il sollievo di aver evitato una guerra civile, che era evocata anche dalla presenza inquietante di militari nuovi prima delle elezioni.

Aria di speranza di vedere finalmente quei cambiamenti che permettano a ciascuno di vivere con dignità e al popolo congolese di non sentirsi l’ultimo del mondo. Molti attribuiscono questo all’incessante preghiera che dalle diverse chiese e case s’è levata per chiedere un cambiamento positivo senza violenza.

Coloro cui chiedo dicono di saper bene che non è Félix Antoine Tshisekedi Tshilombo, installato il 24 gennaio, il vincitore reale delle elezioni, però un risultato c’è: c’è al potere un uomo dell’opposizione. Rispondono picche a qualcuno che vorrebbe chiamarli al sollevamento.

Sappiamo – dice un animatore della società civile – che questo risultato non è perfetto, ma se avessimo voluto la perfezione, questo avrebbe significato una guerra civile”. “Non è l’uomo che ci interessa – aggiunge un altro analista – sono le riforme. Abbiamo capito che la democrazia non consiste solo nel votare: bisogna tallonare chi è al potere perché faccia le riforme necessarie”.

Voci di speranza circolano e non è sempre chiaro se si tratta di attese o già di fatti compiuti: la riduzione del costo di un nuovo passaporto da 350 dollari a 50; la riduzione dei salari dei deputati nazionali da 13.000 dollari a 2.500, per dare respiro a maestri e poliziotti che ricevevano 80…

Il grande sogno delle famiglie è la fine della “prime”, la tassa che ogni bambino, dalla prima elementare in poi, paga mensilmente per integrare o costituire il salario degli insegnanti: una vera palla al piede per famiglie già in difficoltà di sopravvivenza, e causa dell’abbandono scolastico di migliaia di bambini.

La fiducia che forse non ha conquistato con le urne, ora il nuovo presidente è chiamato a conquistarla con i fatti. Le prime parole fanno ben sperare, e le occasioni non gli mancano certo per conquistarsi l’amore di un popolo affamato di dignità.

Poiché il problema del Paese non è solo interno, sta ai Paesi fratelli della Comunità internazionale chiedersi che cosa possono fare per permettere alla piroga della RD Congo di avanzare. Sta a ciascun Paese, soprattutto quelli del Nord, guardare nel profondo dell’acqua per scorgere le zavorre che può aver messo al cammino di un Paese le cui ricchezze escono a fiumi con ben poco profitto per il popolo.

Bisogna che gli “Affari esteri” divengano “Solidarietà internazionale”. E allora vedremo che anche la febbre a quaranta delle masse in fuga si acquieterà. Questo mondo può e deve diventare vivibile per tutti.

Bukavu (Sud-Kivu, RD Congo) 4.2.2019

L’IMMAGINE di John Bompengo è ripresa da Radio Okapi (www.radiookapi.net/home) di Kinshasa.

 

Donata Frigerio

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