Contro la commercializzazione della sanità

Un piccolo dossier – Le ragioni del 7 aprile; convegno a Bologna e altri appuntamenti; l’analisi di Nicoletta Dentico; un appello da La Maddalena; link utili

Il 7 aprile giornata europea contro la commercializzazione della salute.

di Fabrizio Salvatori, ripreso da www.controlacrisi.org

Nel 2016 11 milioni di italiani hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie a causa di difficoltà economiche, ben 2 milioni in più rispetto al 2012. Nello stesso tempo i cittadini vengono spinti a rivolgersi al privato per prestazioni sanitarie che il sistema pubblico non viene messo in condizione di erogare.
Il 7 aprile si terrà la giornata europea di azione contro la commercializzazione della salute “Our Health Is Not For Sale” – “La nostra Salute non è in vendita”.
Una prima edizione si è già tenuta nel 2016. Allora la partecipazione fu limitata a tre/quattro paesi. Nel 2017, l’obiettivo è quello di avere azioni significative e visibili in 7 o 8 paesi europei. In Italia ci saranno almeno una ventina di appuntamenti, tra cui un incontro a Bologna. Questi i punti salienti della piattaforma dal punto di vista del metodo: mobilitare gli operatori sanitari; rafforzare la fiducia sulle vittorie possibili, così come proporre alternative; essere il più vicino possibile lotte/esigenze locali; sfruttare l’occasione per fare educazione popolare.

Il Comitato per il No nel referendum costituzionale e il Comitato contro l’Italicum, tra gli altri, hanno deciso di aderire alla giornata europea, nella convinzione che occorra «arrestare i tagli al sistema pubblico ed anzi invertire la tendenza per garantire un livello accettabile e moderno di tutela della salute a tutte e a tutti, che dovrebbe essere uno dei parametri essenziali di attuazione dei principi fondamentali della Costituzione».

I due comitati ritengono invece che «difendere ed estendere il Sistema sanitario pubblico in Italia sia un punto essenziale per la realizzazione del diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Costituzione italiana che impegna tutti gli organi dello Stato a tutelare la salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, garantendo cure gratuite agli indigenti».
Nel manifesto italiano di convocazione delle iniziative al primo punto c’è scritto: «Non è vero che la sanità pubblica è insostenibile. Un sistema sanitario è tanto sostenibile quanto si vuole che lo sia. Secondo le valutazioni dell’OMS – l’organizzazione mondiale della sanità – degli ultimi dieci anni, gli indicatori di salute dimostrano che il sistema sanitario in Italia è stato efficace e meno costoso che nella maggior parte dei Paesi occidentali ad alta industrializzazione. Un sistema sanitario sostenibile non prevede l’utilizzo illimitato delle risorse ma persegue il fine di determinare la migliore e più adatta risposta ai differenti bisogni».  

7 aprile: la salute non si svende, si difende

comunicato di «Cittadinanza Attiva Imola»

Ogni anno, il 7 aprile, si celebra la Giornata mondiale della salute: come per tutte le ricorrenze il rischio è che passi inosservata. Noi invece cogliamo questa data per proporre ai cittadini di unirsi in una rete di conoscenza e coinvolgimento sul tema, poiché tutti percepiamo il progressivo decadimento del sistema sanitario ma veniamo indotti a una specie di rassegnazione e fatalismo: “eh, mancano i soldi…”. Non è così, quanto sta accadendo in Italia fa parte di un disegno economico globale, all’insegna dello smantellamento delle varie forme di welfare pubblico conquistate dal dopoguerra: ce lo conferma il fatto stesso che sia nata una rete di associazioni a livello europeo (Europe Health Network) per contrastare la privatizzazione e la commercializzazione di un diritto sociale come la salute.

Infatti alcuni meccanismi portanti dell’attuale modello di sviluppo, fondato su una crescita illimitata e indiscriminata dell’economia, senza attenzione all’equa redistribuzione della ricchezza e ai diritti inviolabili delle persone, stanno intervenendo pesantemente anche nella vita e nella regolazione del sistema sanitario nazionale.

Questo porta a sostituire la sanità uguale per tutti con un sistema multi-pilastro (assicurazioni private, mutue, ciò che resta della sanità pubblica). Da un lato il Servizio Sanitario Nazionale viene depotenziato tagliando i fondi e generando così le criticità che tutti noi conosciamo, e cioè ospedali o reparti chiusi, scoraggianti liste d’attesa, pronto soccorso e ospedali senza posti letto; dall’altro lo Stato finanzia indirettamente il ricorso alla sanità privata, come è avvenuto nella Legge di stabilità 2016 concedendo la detassazione alle aziende che introducono per i dipendenti l’assistenza mutualistica integrativa.

Il risultato è che a prevalere e condizionare tutto non è più il diritto ma il reddito, per cui le persone saranno curate in base al livello di contribuzione stabilito per il fondo mutualistico: non stupisce quindi il crescente fenomeno di rinuncia alle cure, con le inevitabili conseguenze. E pensare che la Costituzione (articolo 32) è talmente saggia da dichiarare che la salute non è solo un diritto della persona ma un “interesse della collettività”!

I valori alla base del nostro Servizio Sanitario Nazionale, universalistico e solidaristico, devono essere tutelati e possiamo farlo mantenendoci uniti, informati e coinvolti. A livello nazionale esiste una rete (Rete Sostenibilità e Salute), alla quale aderisce il nostro comitato, che il 7 aprile presenterà il “Manifesto per la creazione di un fronte comune per la difesa del Servizio Sanitario Nazionale”.

Vi invitiamo a aderire al manifesto (www.sostenibilitaesalute.org) e a seguirci nelle iniziative che proporremo e nelle informazioni che pubblicheremo; chi vuole può iscriversi alla nostra mailing-list, magari venendoci a trovare il 7 aprile nel pomeriggio quando saremo presenti in piazza con materiale informativo.

MOBILITAZIONE A BOLOGNA CON CONVEGNO E PRESIDIO

7 aprile: sala Guido Fanti, in viale Aldo Moro 50 Bologna

«Per il Diritto alla Salute in Italia e in Europa – NO alla privatizzazione del servizio sanitario pubblico»

09 Apertura: ricordo di V. Tradardi (video)

La privatizzazione dei sistemi sanitari: un problema europeo

09.30 UE: l’attacco al welfare in Europa (A. Somma, Università di Ferrara)

09.50 Politiche neoliberiste e austerity in Europa (G.P. Ardeni, Università di Bologna)

10.10 Sistemi sanitari nella UE: la struttura economico finanziaria (A. Gazzetti, Forum per il Diritto alla Salute)

10.30 L’esperienza del sistema sanitario inglese (M.E. Sartor, Università di Milano)

10.50 Prime iniziative di lotta in Europa contro la privatizzazione della sanità (C. Bodini, People’s Health Movement)

11. 10 Interventi dal pubblico

La privatizzazione in Italia

11.30 La privatizzazione del servizio sanitario in Italia e in Emilia Romagna (G. Trianni, Forum per il Diritto alla Salute – A.E.R.)

11.50 La privatizzazione del servizio pubblico in Lombardia (F. Lonati, APRIRE network)

12.10 Welfare aziendale contrattuale: privatizzazione strisciante o conclamata? (G. Cremaschi, Eurostop)

12.30 Interventi dal pubblico

13 Pausa pranzo

La giornata mondiale dell’OMS contro la depressione

14.10 La giornata mondiale della salute dedicata alla depressione: opportunità e ambiguità (A. Barbato, Forum per il Diritto alla Salute)

14.30 La situazione dei servizi di salute mentale in Italia (F. Starace, Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica)

14.50 Il ruolo del terzo settore (D. Motto, Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza)

15.10 Interventi dal pubblico

Contro lo smantellamento del servizio sanitario pubblico: esperienze di mobilitazione a confronto

15.30 Cittadinanza Attiva (A. Baldini Segretaria R.E.R.)

15.40 Lista Civica “Civicamente Samoggia”

15.50 Comitato Porretta

16 “Il sindacato è un’altra cosa” – Cgil Veneto (M. Nazari)

16.10 Interventi dal pubblico

Tavola rotonda: bilancio del convegno e prospettive della mobilitazione

16.15 P. Alleva (Gruppo Consigliare L’Altra Emilia Romagna)

16.25 R. Sensoli (Gruppo Consigliare Movimento 5 Stelle)

16.35 I. Taruffi (Gruppo Consigliare Sinistra Italiana)

16.45 A. Muscolino (Medicina Democratica)

16.55 E. Gallori (CoNup)

17.05 A. Govoni (Forum per il Diritto alla Salute)

17.15 Interventi dal pubblico

17.30 Chiusura lavori e trasferimento al presidio pubblico “La salute non si vende, si difende!” in centro città

Sarà possibile seguire la diretta streaming collegandosi al link http://videocenter.lepida.it/videos, (info http://setteaprile.altervista.org)

Aggiornamenti della mobilitazione verso il 7 aprile, giornata mondiale della salute per la quale un’ampia rete di organizzazioni e realtà ha promosso una mobilitazione europea contro la commercializzazione della salute e la privatizzazione della sanità.

Tutte le informazioni e l’appello da sottoscrivere su: http://setteaprile.altervista.org/

Assemblee ed eventi il 7 aprile – o intorno a quel giorno – sono previsti fra l’altro Torino, Milano, Brescia, Bologna, Ferrara, Firenze, Figline Valdarno, Roma, Campobasso, Napoli, Oristano…

Il sindacato CUB Sanità ha proclamato lo sciopero generale “nel settore Sanitario e Socio-Sanitario in tutte le aziende pubbliche e private del Paese, per l’intera giornata e tutti i turni del 7 aprile 2017”:

Aggiornamenti in tempo reale su facebook: https://www.facebook.com/events/1846375928952831/

UNA FIRMA PER SALVARE L’OSPEDALE DI LA MADDALENA

Un Paese civile dovrebbe costruire nuovi ospedali non chiuderli!

La Regione Sardegna ha deciso di chiudere l’ospedale Paolo Merlo sull’isola della Maddalena, questo il commento di uno dei firmatari dell’appello: “è indispensabile un ospedale in un’isola con 11.000 abitanti, che d’estate diventano 50.000 compresi i turisti. Inoltre è troppa la distanza da coprire in caso d’urgenza per arrivare all’ospedale della città più vicina, Olbia”. 

“Per partorire dovremo fare 25 minuti di traghetto e un’ora di auto”, denunciano le mamme.

Firma la petizione


 

Sanità privata, i ticket spianano il terreno. Si prepara l’addio alla sanità pubblica. La denuncia di Cittadinanzattiva (*)

L’esame delle urine nel privato costa circa 2,17€, mentre nel pubblico arriva a 16,17€ per effetto del superticket; l’emocromo in privato costa circa 9,89€, nel pubblico 20,89€ a causa del superticket. È l’effetto prodotto dal “Super Ticket” ovvero di un surplus di 10 euro sulla ricetta introdotto come provvedimento provvisorio nel 2011 e poi diventato strumento definitivo per fare cassa.
“Da anni chiediamo di abrogare il super ticket”, denuncia Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato – Cittadinanzattiva. “Il combinato tra liste di attesa e caro ticket fa sì che, per una serie di prestazioni, in particolare quelle a più basso costo, il Servizio Sanitario Nazionale non sia più la prima scelta per i cittadini”, commenta Tonino Aceti,.
“Siamo disponibili a ragionare con tutte le istituzioni che su questo vogliono agire concretamente e chiediamo di essere coinvolti da subito in questo percorso. Occorre abolire subito il superticket e i ticket aggiuntivi regionali dove ancora presenti. E’ necessario almeno prevedere una compartecipazione progressiva in base alla capacità reddituale fino ad un livello massimo che renda il ticket sempre più conveniente rispetto al costo nel privato e salvaguardare le esenzioni totali per disoccupati e malati cronici e rari. È il momento giusto di rendere la vita più semplice per i malati, ad esempio prevedendo il rilascio del codice di esenzione 048 alle persone che hanno un sospetto diagnostico di tumore da sciogliere, come già avviene in Piemonte. Infine ridurre le disuguaglianze regionali dei ticket che ad oggi sono una vera e propria giungla”.
Per abrogare il super ticket, spiegano dall’associazione, occorrono 834 milioni di euro che potrebbero essere recuperati attraverso finalizzazioni di quote parte di: fondi che entrano nel SSN attraverso l’intramoenia; risparmi conseguenti alla riorganizzazione della rete ospedaliera; risorse derivanti dal pay back da farmaci e dispositivi medici; risparmi derivanti dal superamento delle duplicazioni di centri e procedure decisionali; risparmi sulla medicina difensiva conseguiti attraverso l’implementazione della nuova legge sulla responsabilità professionale; promozione dell’appropriatezza clinica e organizzativa; selezione sulle innovazioni tecnologiche che servono davvero; risparmi conseguiti attraverso l’uso di farmaci equivalenti e biosimilari; risorse derivanti dal contrasto a inefficienze, sprechi e corruzione; risparmi nel settore non sanitario, agendo su: consulenze esterne delle Regioni che valgono 800 milioni di euro all’anno; taglio dei vitalizi ai consiglieri regionali; trasferimenti alle aziende municipalizzate regionalizzate e provincializzate che costano 3,3 miliardi di euro ogni anno.

ripreso da «Contro la crisi» che indica come fonte «Help Consumatori»

(*) «Cittadinanza attiva» – in questo caso «tribunale del malato» – è il nome di varie associazioni e comitati, fra cui quello di Imola. Un caso di “omonimia”

Salute, l’Unione mancata

di Nicoletta Dentico (**)

Sessanta anni di Europa unita non sono bastati ad architettare una politica unica per la salute, così che il ruolo della UE in questo ambito si limita solo alla tutela dei consumatori

Non è chiaro che la nostra battaglia deve essere sociale? Che il nostro compito non è quello di scrivere le istruzioni per proteggere i consumatori di meloni e di salmoni, di dolci e gelati, cioè la borghesia benestante, ma quello di creare istituzioni che proteggano i poveri, coloro che non possono permettersi pane fresco, carne e caldi vestiti? È triste constatare che migliaia devono sempre morire in miseria per consentire a poche centinaia di vivere bene”: l’indignazione del patologo tedesco Rudolf Virchow a fronte della indifferenza dei governanti verso le condizioni di miseria in cui versava la popolazione a Berlino nella metà dell’800, di grande attualità, ci sprona a richiamare subito due dolenti circostanze del tempo presente. La prima, forse poco nota ai più, è che sessanta anni di Europa unita non sono bastati ad architettare una politica unica per la salute, così che il ruolo della UE in questo ambito si limita ancora alla – indispensabile per carità, ma del tutto insufficiente – tutela dei consumatori. La seconda è che lo stato dell’Europa del 2017, dati alla mano, assomiglia sempre di più allo scenario dei molti che vivono in miseria per consentire la ricchezza sproporzionata e violenta di un élite senza scrupoli. Stando alle ultime statistiche, solo in Italia sono 4,6 milioni le persone che vivono in povertà assoluta.

La salute è l’indicatore più precoce e drammatico della patologia di sistema che tramortisce il continente nel suo sessantesimo anniversario di unificazione. Ci ricordano le raccomandazioni della Commissione Europea che il conflitto tra la dimensione economica e quella sociale del processo di integrazione, nell’Europa dell’austerità a ogni costo, segna una messa in mora del principio di non discriminazione dei cittadini europei nell’accesso al welfare e ha un portato di trasmissione inter-generazionale destinato a prolungare il guasto nelle cittadinanze del futuro (“Investire nei bambini: spezzare il ciclo dello svantaggio”, 2013). Il welfare è importante perché riducendo disuguaglianza e povertà promuove la crescita. Un’Europa che sottrae attraverso rigide regole fiscali, invece di aggiungere, non è sostenibile sotto il profilo economico; ma il welfare è decisivo soprattutto in quanto strumento di stabilità politica.

La disuguaglianza è dunque un evento sistemico che va corretto. Il persistente inasprirsi del fenomeno, con il decennale ciclo di crisi finanziaria e recessione economica, interessa diverse variabili della disuguaglianza sanitaria: mortalità, salute mentale, salute auto-percepita, eccessivo consumo di alcol, qualità della vita negli anni, malattie croniche e disabilità. Uno studio pubblicato sull’International Journal for Equity in Health nel settembre 2016 riporta un’impennata delle disparità a partire dal 2010, appunto con l’avvio delle punitive misure di austerità a danno della popolazione europea. Politiche il cui costo veniva valutato, già nel 2011 (“Economic Costs of Health Inequalities in the EU”, Journal of Epidemiol Community Health), in ragione di 700.000 morti e 33 milioni di casi complessivi di cattiva salute nella UE, con un’incidenza del 20% sui costi dei servizi sanitari e del 15% dello stato sociale. Su base annua, le perdite legate alle disparità sanitarie riducevano la produttività del lavoro erodendo il Pil dell’1,4%, stimava allora la ricerca, con un valore monetario calcolato intorno ai 940 miliardi di euro l’anno, ovvero il 9,4% del Pil europeo.

La visione sulla medicina sociale di Virchow fu decisiva a influenzare le decisioni di Otto Von Bismark alla fine del XIX secolo, con l’istituzione di politiche di prevenzione e lotta alle malattie che furono il primo modello di welfare state moderno, tanto da ispirare le riforme sanitarie dei paesi industrializzati in Europa. Non ha per niente scalfito i proficui imperativi dell’austerità imposti dall’Unione sui governi europei, invece, la mobilitazione di un numero crescente di medici, operatori sanitari e pazienti negli ultimi anni in Spagna, Portogallo, Francia, Italia, Inghilterra, Grecia, man mano che i governi calavano la loro scure su bilanci sanitari e stato sociale. Il 7 aprile (giornata mondiale della salute) è indetta la prima giornata europea di azione contro la commercializzazione della salute, e per la tutela dello stato sociale – il grande pilota del progresso europeo postbellico, improvvisamente divenuto uno sperpero di ricchezza.

Il caso più documentato è la Grecia. Un florilegio di evidenza scientifica racconta l’altissimo prezzo del tallone di ferro sulla vita della popolazione greca, tra caduta libera del Pil del 29% (tra 2008 e 2014), tasso di disoccupazione complessivo al 40% e taglio alle spese sanitarie del 36% (tra 2009 e 2014). Il divario nell’accesso alla salute fra fasce ricche e disagiate della popolazione è decuplicato; e poiché l’accesso alla salute è strettamente legato all’occupazione, chi ha perso il lavoro viene escluso dal servizio sanitario (idem per familiari a carico). Si stima che oltre 2 milioni di persone vivano questa condizione. Lo spaventoso scenario è descritto in un rapporto della Banca centrale (“Deterioramento della salute greca, riduzione dell’aspettativa di vita”, giugno 2016), in cui si intuisce il destino fallimentare cui sono chiamati servizi sanitari senza fondi in un contesto che registra l’aumento del 50% della mortalità infantile, l’incremento del 24,2% di persone con malattie croniche, e la depressione montante – dal 3,3% nel 2008 a 12,3% nel 2013.

Atene piange. Ma non ridono di certo le altre capitali europee. Il rapporto “Access to healthcare in times of crisis”(Eurofound, 2014) propone un’accurata mappatura dei disastri sui tempi di attesa per le visite e le prestazioni sanitarie, sulla soppressione dei presidi ospedalieri, solo per fare alcuni esempi, in Lettonia e Lituania, in Svezia e Lussemburgo, in Slovenia e Romania. L’European Observatory on Health Systems and Policies documenta forti disuguaglianze anche in Francia, non solo in quanto a fattori di rischio ma anche per le disparità geografiche e finanziarie di accesso alle cure; il costo delle prestazioni resta una sfida per il sistema sanitario. In Inghilterra, sotto le mentite spoglie della open society, nel 2012 David Cameron ha preparato il terreno per la privatizzazione dei servizi e in particolare del servizio sanitario (National Health Service, NHS), “la più civile delle istituzioni inglesi” secondo Jeremy Corbin. Oltre al sotto-finanziamento, la riforma ha avuto come caratteri distintivi la quasi totale privatizzazione dell’offerta, il mercantilismo nei rapporti tra i vari attori del sistema e, in ultima analisi, l’estrema frammentazione organizzativa e dei flussi di finanziamento. La crisi è esplosa all’inizio del 2017 con il più classico indicatore di fallimento del sistema: ospedali che non riescono più a ricevere i malati, dipartimenti di emergenza che scoppiano, chirurgia di elezione sospesa a tempo indeterminato (inclusa quella oncologica), chiusura dei reparti di maternità: più di 20 ospedali hanno dichiarato il massimo allarme, lo scorso gennaio.

Il costo delle cure invece svetta ovunque, condizionando in modo proibitivo sistemi sanitari indeboliti e frammentati, in preda all’estro o all’avventurismo dei privati. Oggi contro il cancro sono disponibili decine di farmaci innovativi capaci di rallentare, e a volte persino fermare, la malattia (e altri sono in arrivo), ma i costi delle terapie sono lievitati sempre di più negli ultimi anni, facendo andare i conti in rosso. La questione delle terapie innovative è un tema centrale: la Commissione Europea ha recentemente pubblicato un report per proporre ai governi opzioni possibili per migliorare l’accesso ai farmaci. Nel 2014, del resto, l’Olanda ha speso 1,7 miliardi di euro per assicurare cure essenziali a 147.000 pazienti, riporta Health Action International (HAI): in media, 11.564 euro per trattamento. HAI ha appena lanciato una campagna nazionale sull’assurdo prezzo dei farmaci: costa 54.000 euro per paziente, ogni anno, la terapia a base di Pertuzumab, contro il tumore al seno, e 50.000 euro un trattamento di Nivolumab contro il tumore al fegato. Il rivoluzionario farmaco Solvaldi contro l’epatite C porta guadagni da capogiro alla multinazionale Gilead Sciences, titolare del brevetto – 30,4 miliardi di dollari di ricavi nel 2016 – ma sconquassa i budget sanitari da quando il farmaco è stato approvato nel 2013. In Olanda, un ciclo di terapia di 12 settimane costa 52.000 euro, in Italia 45.000; il nostro paese riesce a fornire copertura solo ai pazienti più gravi, in deroga al principio universalistico delle cure (sono quasi 300.000 le persone con epatite accertata in Italia). Per questo, alcune settimane fa, la Agenzia del Farmaco (AIFA) ha lanciato una sfida alla casa farmaceutica americana, indicando la possibilità di una licenza obbligatoria per la produzione in proprio del medicinale, sulla scia di India e Argentina, se non ci sarà un abbassamento dei prezzi.

Bene se l’Italia si muoverà in tal senso. Ma l’anniversario dei sessanta anni dell’unificazione europea potrebbe rappresentare un’occasione imperdibile, in tempo di populismi anti-europei, per fare una mossa ancora più incisiva. Coordinare una iniziativa di licenza obbligatoria europea contro l’abuso di monopolio del colosso farmaceutico Gilead, per una leva negoziale più forte, e per costruire una pratica di azione comune a favore delle persone riconoscibile. L’adozione comunitaria delle norme di salvaguardia Trips, e del regolamento UE 816/2006 sulle deroghe alla proprietà intellettuale, potrebbe fungere da iniziativa dirompente su scala globale, contro un mercato patologico e insostenibile che è espressione della più lancinante speculazione finanziaria.

Sarebbe un forte segnale a favore del diritto alla salute. Ma ben oltre la retorica celebrativa, l’Europa ha bisogno di una force de frappe rivolta ai diritti, per continuare ad esistere.

(**) ripreso da «Sbilanciamoci».

LINK UTILI

http://www.medicinademocratica.org

www.sostenibilitaesalute.org

hsetteaprile.altervista.org,

in bottega:

7 aprile 2017: la salute non è in vendita

«Mani sulla sanità» … ma la rivolta cresce – intervista a Giuliano Bugani sul suo documentario

Come ti smonto il servizio sanitario, pubblico e universalistico…– … cosa sta succedendo in Italia e un libro sul caso inglese: un articolo di Ivan Cavicchi e una segnalazione da www.medicinademocratica.org

LE QUATTRO VIGNETTE SONO DI GIULIANO SPAGNUL

Redazione
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