COP25: dopo la delusione dei negoziati, riflessioni…

… per una risposta resiliente

I negoziati sul clima di Madrid non si sono conclusi con un esito soddisfacente

di Domenico Vito (*)

Come ben sappiamo dalle opinioni che corrono in questi giorni le due settimane i negoziati sul clima di Madrid non si sono concluse con un esito soddisfacente.

Le Parti ossia gli stati non sono riusciti a trovare delle decisioni comuni su quello che era l’obiettivo di questa Conferenza delle Parti (COP), ossia l’implementazione di diversi punti dell’Accordo di Parigi lasciati in sospeso dagli scorsi negoziati.

Diverse le questioni che erano sul piatto: dall’art.6, importante per cambiare il regime del carbon market dal protocollo di Kyoto al Sustainable development mechanism; la revisione finanziaria dei meccanismi dei “LOSS and DAMAGE” sanciti dal Warsawa International Mechanism per coprire i costi dei danni irreparabili legati al cambiamento climatico; all’implementazione dei meccanismi di flessibilità per accompagnare in modo equo i paesi in via di sviluppo verso la transizione energetica nell’ottica di implementare il principio delle responsabilità comuni ma differenziate, per cui maggiori responsabilità nella decarbonizzazione toccano a chi in passato ha inquinato di più.

Tutti questi importanti punti dell’Accordo di Parigi, a seguito di questa COP sono rimasti irrisolti.

C’è da dire che sicuramente gli auspici non sono stati i migliori: si potrebbe dire che questa COP è nata male con un annullamento in Chile ed uno spostamento in Spagna, e forse finita peggio.

Tuttavia pur prendendo atto del mancato raggiungimento degli obiettivi chiave, probabilmente la visione pessimistica e catastrofista non è quella più funzionale a rispondere all’obiettivo principe, da cui poi nascono quelli parziali non raggiunti sino ad oggi. Ossia la risposta alla crisi climatica.

Delle mancate decisioni di Madrid forse due sono quelle che spaventano di più.

La prima è legata all’articolo 6 – il cuore dell’Accordo di Parigi – proprio perchè definiva le regole e le modalità con cui globalmente attraverso la cooperazione internazionale si sarebbe fatto fronte ad una riduzione delle emissioni di gas climalteranti

Tale riduzione è prevista nei paragrafi 6.2, 6.4 e 6.8 sia da meccanismi di mercato legati alla contrattazione di quote di riduzioni di emissioni attraverso contratti bilaterali o multilaterali tra stati (6.2) oppure coinvolgendo il settore privato attraverso crediti di carbonio (6.4), sia da meccanismi non di mercato legati ai progetti come ad esempio il caso delle riforestazioni.

Questi meccanismi avrebbero coadiuvato e integrato gli sforzi volontari presentati dagli stati sotto l’Accordo di Parigi ossia i cosiddetti NDCs (National Determined Contributions).

E’ chiaro che una mancanza di implementazione dell’articolo 6 porta innanzitutto a indebolire e rendere più onerosi i contributi volontari degli stati, ma soprattutto crea uno scenario caotico in cui non esistono protocolli e procedure comuni per una risposta cooperata di mitigazione dei gas serra.

L’altro punto fortemente critico è stato la forte indecisione nel finanziare i contributi per il LOSS & DAMAGE ossia i danni irreparabili dovuti agli eventi estremi: su questo punto al finale si è in parte ottenuto il risultato di avere un “braccio di implementazione” sussidiario ai fondi già previsti per per opere di ricostruzione.

Su questi due punti i governi nazionali non hanno avuto la prontezza di cogliere l’occasione della COP per dare una risposta chiara e netta sia alla crisi climatica che ormai è realtà quotidiana sia agli appelli accorati di scienziati e società civile.

Sembrerebbe un colossal hollywoodiano da fine del mondo e in questo scenario la disperazione ha campo fertile.

Tuttavia proprio per non cadere nelle sabbie mobili di una totale immobilità di fronte al problema occorre reagire in modo resiliente, seppur il risultato è stato deludente.

La mancanza di un inquadramento internazionale soprattutto in merito ai crediti di carbonio, seppur non dà uno scenario di coordinamento globale lascia ampio spazio alla società civile e agli enti subnazionali per agire.

Rimane vigente in qualche modo il protocollo di Kyoto e diversi accordi bi e multilaterali tra città, comuni, regioni, come il Patto dei Sindaci o Driving the change together.

Diversi stati hanno create inoltre intese oltre la convenzione quadro, come il Climate Vulnerable Forum – che racchiude diversi stati meno sviluppati (Non-Annex I) che sono più soggetti agli effetti estremi del cambiamento climatico – oppure il gruppo di paesi ad alta ambizione aderenti ai Principi di San Jose che contiene 29 paesi che Stati tra cui l’Italia che vogliono mantere alti gli impegni per la decarbonizzazione.

L’attivazione dei livelli subnazionali può quindi la chiave per leggere e dare senso e speranza a questa COP: l riscaldamento globale non aspetta, e in qualche modo bisogna reagire per diminuire le emissioni.

Già durante le negoziazioni, la società civile ha dato segno di essere ben più viva dei negoziatori che spesso si sono rivelati, stanchi, routinari e procedurale. Anche questo approccio ha alla lunga determinato il fallimento del negoziato.

Nel frattempo la società civile, le organizzazioni non governative i movimenti hanno organizzato eventi, manifestazioni conferenze, come ad esempio la Cumbre Social por el Clima dove attraverso un processo sociale completamente partecipativo è stato promulgato il “Manifiesto Climático Latinoamericano”, con risultati molto interessanti in termini di integrazione tra diritti umani, diritti sociali e diritti ambientali.

 

La reazione deve essere in ogni caso resiliente ossia capace di coinvolgere le comunità nella loro interezza.

Istituzioni, organizzazioni imprese al fine di rendere virtuose e amplificare le singole azioni di ognuno di questi attori devono agire in modo concertato facendo del dialogo quel catalizzatore e velocizzatore degli effetti delle scelte di adattamento e mitigazione al cambiamento climatico.

 

L’ideazione e l’implementazione di queste scelte deve vedere la partecipazione costruttiva di tutti i settori e di tutti gli attori, proprio perchè non c’è tempo da perdere – nemmeno per l’eccessivo scoramento.

I negoziati sono ora rimandati di un anno, ma questi stessi negoziati non avrebbero alcun valore se non ci fosse alla base una società pronta ad effettuare la tanto desiderata transizione ecologica.

In questa visione il fatto che ci sia o non ci sia un accordo rimane importante ma non diventa il nodo discriminante tra il restare all’interno degli scenari di 1.5°C come prospettato dagli scienziati.

Ciò che conta realmente è la preparazione e il “commitment” delle comunità umane ad effettuare le misure previste dall’Accordo di Parigi.

Volendo usare lo stesso linguaggio scientifico utilizzato nel rapporto speciale dell’IPCC il perdere tempo a rimpiangere ciò che sarebbe dovuto essere , o la scarsa prontezza dei politici durante la COP25 risolve la riduzione delle emissioni con una probabilità molto bassa.

Attivarsi costruttivamente dal basso, avendo come traguardo gli obiettivi dell’Accordo di Parigi invece probabilmente dà qualche probabilità in più nel raggiungere gli obiettivi della COP – resilientemente – nonostante la debacle di Madrid.

Citando Wiston Churchill che diceva “un successo non è mai definitivo, ed un fallimento non è mai fatale, il coraggio sta nel continuare..” e prepariamoci alla prossima COP e alla pre-COP che sarà in Italia. Dovremo non deludere.

La grande opportunità sta anche ora nella gente, nelle persone al di là dei governi: il cambiamento e la transizione oltre gli accordi la possono fare i popoli, i giovani, le donne che hanno realmente a cuore le sorti del pianeta.

La speranza è una risorsa che si rinnova, che risorge dopo un fallimento, come un’energia rinnovabile (Al Gore) e questa energia ora è in mano alla gente.

People have the power (Patty Smith)

 

(*) Domenico Vito,PhD ingegnere, lavora nei progetti europei sulla qualità dell’aria nel nord Italia E’ osservatore delle Conferenze delle Parti dal 2015 – anno in cui fu deliberato dalle parti l’Accordo di Parigi. Socio della Società Italiana Scienze per il Clima (SISC), è attivo in diverse organizzazioni ambientali e reti (The Climate Reality Project, Legambiente) ed è partecipante attivo di YOUNGO, la costituente dei giovani e delle giovani all’interno della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite nel quale fa parte di diversi gruppi di lavoro (Energy, Health, Agriculture). Promotore del blog /canale YouTube HubZine Italia di divulgazione sui negoziati internazionali e organizzatore dei Climate Change Symposiums.

Fonte: Peacelink

 

 

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