Cosa ci svela la strage di Prato?

Una nuova puntata di «sparite- sparate» (*)  

I – Di che razza sono i numeri?

L’uso in questa rubrica dei numeri romani è sarcasmo verso chi vorrebbe liberarci della multiculturalità (antica quasi come il mondo e necessaria come l’acqua) e perciò anche dei numeri arabi.

II – Tutti sapevano?

Dicembre inizia con la strage di Prato. Unanimi il cordoglio ma anche la retorica e le frasi buone per ogni circostanza. Assai divergenti le interpretazioni. Quella prevalente è che sia affare «di cinesi». Ma qualche voce dissonante (tra i quotidiani soprattutto «il manifesto» e «Il fatto») dicono che invece il nuovo “sviluppo” italiano importa il terzo mondo e/o il modello cinese proprio per avere mano d’opera a costo bassi (talmente bassi da essere quasi schiavitù) e chissenefotte della sicurezza. E’ «cultura cinese o cultura della povertà?» si chiede Furio Colombo su «Il fatto» del IV dicembre. Ma l’analisi più dura su Prato è quella di Giorgio Cremaschi, ex dirigente della Fiom, che ho ripreso dalla rete e riporto qui sotto.

 

III – Come alla Thyssenkrupp

Le persone bruciate vive nelle fabbriche tessili segnano la storia dello sviluppo industriale e delle condizioni di lavoro. La stessa data dell’VIII marzo ricorda la strage di operaie avvenuta per il fuoco più di un secolo fa negli Stati Uniti. Dopo aver percorso il mondo con la sua devastazione costellata di stragi di lavoratori, ora, grazie alla crisi, la globalizzazione torna là da dove era partita, e anche da noi si muore come nel Bangladesh o in Cina.

Negli Stati Uniti questi laboratori di migranti che si installano nelle antiche zone industriali li chiamano “swet shops”, fabbriche del sudore. Da noi la strage di operai cinesi a Prato è stata presentata cercando la particolarità estrema, quasi come fatto di costume.

Si è messo l’accento sulla particolare chiusura in sé della comunità cinese, fatto assolutamente vero, quasi per derubricare quanto avvenuto. E soprattutto per non affrontare la questione vera, che in Italia la produzione industriale e il lavoro nei servizi stanno affondando nelle condizioni di quello che una volta si chiamava terzo mondo.

La questione non è che i morti sono cinesi, ma che in Italia si lavora come schiavi per paghe vergognose, e che questo può toccare a tutti. Perché c’è chi ci guadagna a mettere il proprio marchio su ciò che viene fatto per pochi centesimi, e la svalutazione dei nostri redditi ci pesa un po’ meno se possiamo comprare indumenti a basso prezzo. Prima si dovevano trasportare da lontano le merci prodotte dagli schiavi, ora la strada è più corta perché gli schiavi li abbiamo in casa.

I margini di profitto crescono con la schiavitù a chilometro zero.Se non si ferma la macchina infernale della globalizzazione, se non si ridà forza e dignità al lavoro quale che sia il colore della pelle o il taglio degli occhi di chi lo fa. Se si continua a parlare di competitività e produttività a tutti i costi. Se si continua ad accettare come fatto inevitabile che il lavoro sia sfruttatoqui, tanto sennò lo sfruttano lì. Se continueremo a considerare con riprovazione domenicale ipocrita, il culto che Papa Francesco ha chiamato del Dio Denaro. Se continueremo a sprofondare verso il capitalismo ottocentesco, di quel capitalismo subiremo sempre di più la ferocia.

Se vogliamo fermarci, cominciamo a dire che a Prato son stati uccisi sette operai, come alla Tyssen Krupp di Torino. Non sette cinesi, ma sette operai vittime in Italia dello schiavismo della globalizzazione.

IV – Una strage dopo l’altra

I sette morti di dicembre a Prato arrivano dopo la strage di Lampedusa, ben più grande, a inizio ottobre. Dopo la commozione (sia vera che finta) e i farseschi funerali di Stato senza le vittime e i loro parenti, cosa è accaduto. «Letta: la Bossi-Fini è da abolire» titolava «La repubblica» (XV ottobre). Non si è mossa foglia. Ma ora si salvano gli immigrati in mare e l’Europa si sta muovendo e… e… vaghi annunci, promesse, le solite balle che i principali media avvalorano. Basta fare due conti per vedere che dopo la strage del III ottobre si cambia in peggio. Leggetevi a esempio la ricerca di Lunaria – www.lunaria.org – della quale parlo qui sotto.

V – Mare monstrum

«I diritti non sono un costo» è il titolo del rapporto di Lunaria (CXLIV pagine ricche di tabelle e dati – sottotitolo: «Immigrazione, welfare e finanza pubblica») che fa i conti in tasca alla politica italiana rispetto ai migranti. Nelle conclusioni si legge: «Le immagini delle 366 bare segnano come un macigno la storia delle migrazioni nel nostro Paese. […] La “risposta” del governo è unicamente la richiesta all’Europa di un maggiore supporto nelle attività di controllo insieme all’avvio della cosiddetta Mare Nostrum». Ormai si spende quasi solo per la repressione, anziché per l’integrazione. Lunaria indica un’altra strada: «La rinuncia alle politiche del rifiuto, in primo luogo ai Cie ai Cara, libererebbe risorse per l’accoglienza e l’inclusione».

 

VI – Gli antirazzisti invece…

Di fronte alle assenze e alle bugie delle istituzioni, il movimento antri-razzista prova a reagire. L’invito è a ritrovarsi dal 31 gennaio al 2 febbraio 2014, sull’isola di Lampedusa per scrivere “dal basso” un documento – «La carta di Lampedusa» – che metta al primo posto i diritti invece di sospetti, chiusure e sfruttamento. Ovviamente su «Come» ne riparleremo; intanto qui http://www.meltingpot.org/La-prima-assemblea-per-la-Carta-di-Lampedusa.html#.UpxgheK_jUEtrovate alcuni materiali interessanti.

VII – Società meticcia

Anche perché tutte le ricerche serie (anche istituzionali) continuano a dire, da anni, che l’Italia è meticcia sia socialmente che nel mercato del lavoro. Si può discutere come «governare» questo cambiamento ma negarlo oppure sognare un salto all’indietro è pazzia o bugia. Il Censis studia colf e badanti, confermando quel che chiunque vede con i suoi occhi: la maggioranza sono straniere. Ma il Censis dice che nella società italiana sono i giovani che vivono all’estero, gli immigrati e le donne «le energie affioranti» sulle quali il Paese dovrebbe appoggiarsi… invece di ignorarle, anzi ostacolarle. A inizio dicembre arriva anche l’annuale rapporto sulle migrazioni curato dalla Fondazione Ismu (è Istituto per lo studio della multietnicità) e conferma che rallenta la crescita dei migranti. I giovani – sia italiani che stranieri – scappano dal nostro Paese, considerato in declino, soprattutto per l’incapacità della politica di affrontare i nodi reali. Come sappiamo è un Paese sempre più povero – il 7 per cento di italiani e l’11,2% di stranieri già nel 2012 non aveva soldi per curarsi – ma che affronta spese militari (gli F-35 e non solo) come avesse denaro da buttare o… guerre imminenti da combattere.

VIII – Italiane/i nel mondo

L’altro dato è che c’è un sempre maggior numero di giovani italiani che emigrano. Sia verso lavori qualificati che non trovano qui ma anche verso attività “antiche”. Sul quotidiano «il manifesto» (del IV dicembre) un bel reportage dall’Australia di Eleonora Martini raccontava di “cervelli” e “braccia” che arrivano qui dall’Italia. I paradossi sono molti. Per dirne due: spesso chi viene dall’ex Belpaese fa in Australia quei lavori duri che a casa “lascia” (si fa per dire: le decisioni vengono prese altrove) ai migranti; qui invece i molti rifugiati non lavorano e sono rinchiusi in Papua Nuova Guinea in condizione di illegalità (ci sono anche minori) e senza che sia consentito l’accesso ai media e alle organizzazioni umanitarie.

 

IX – Quel treno che viene dal Sud…

non porta soltanto Maria: così cantava Sergio Endrigo. Proprio mentre molti italiani “riprendono” (non hanno mai smesso ma ora la percentuale sale) a migrare qualcuno si ricorda del grande flusso migratorio che – giusto cinquant’anni fa – cambiò il volto dell’Italia. L’VIII dicembre «La stampa» ha pubblicato un piccolo dossier, pubblicando molte foto e invitando chi si riconosceva a raccontare – sul sito – la sua storia che verranno ospitate ogni sabato. Una bella idea. Con la speranza che chi scriverà (o i giornalisti che selezioneranno le testimonianze) non rimuovano i razzismi che allora accompagnarono i treni che venivano dal Sud. Allora come oggi, in Italia come altrove, è che l’economia vuole solo braccia (forza-lavoro bruta) mentre arrivano persone che chiedono non solo una giusta paga ma anche cittadinanza e pieni diritti per loro e per i figli.

X – «Mission», che schifo

Nonostante le (sacrosante) proteste preventive, il IV dicembre la Rai ha mandato in onda la prima puntata di «Mission», un (costoso) reality show nei campi profughi che serve solo a propagandare l’immagine di qualche vip (in declino) come Al Bano. Il quale siccome è “buono” ha chiarito di aver preso “solo” cinquecentomila euro, facendo uno sconto rispetto ai previsti settecentocinquantamila. Adesso tocca a Emanuele Filiberto di Savoia. Solo in Italia si fanno programmi così schifosi. E siccome non sono un esperto di tv (anzi non ho neppure il televisore in casa e quando – molto raramente – decido di vedere un programma mi faccio invitare da amici) ho fatto una rapida ricerca: lo confermo, solo in Italia si ha la sfacciataggine di fare un programma simile nei campi profughi, buttando denaro pubblico e offendendo il dolore altrui.

XI – Nelson

A proposito di retorica e bugie quante tonnellate se ne sono ascoltate sui media in occasione della morte di Nelson Mandela. I complici di ieri dell’apartheid erano tutti lì a piangere «il loro eroe». Parole, parole, parole… E su un quotidiano che invece si chiama «Il fatto» un bravo giornalista cioè Maurizio Chierici ha fatto notare (il X dicembre) che sarebbe stato significativo se Letta, ai funerali di Mandela, fosse andato con Cecile Kyenge, ministro dell’integrazione.

XII – Altri razzismi

In questa rubrica ripetiamo spesso che i razzismi non sono soltanto questione “di pelle” (o di religione). Fra le molte e brutte facce del razzismo c’è, lo sappiamo bene, il sessismo ma cresce anche l’ageismo, ovvero l’ostilità rabbiosa contro i vecchi. Specie in periodi di crisi gli anziani (“parassiti”) sono un comodo capro espiatorio, un paravento sui veri problemi dell’economia di rapina che pochi hanno imposto a tanti. Al riguardo consiglio l’ultimo capitolo di «La terza età: anziani e società in Italia», un libro – vecchio ormai di due anni, ma passato purtroppo sotto silenzio – del sempre bravo Enrico Pugliese.

XIII – Garante di cosa?

Fra le molte (e tutte brutte) facce del razzismo c’è l’omofobia. Nello scorso numero di «Come» si dava la buona notizia che, mentre il parlamento italiano continua a tacere, alcuni giudici riconoscono alle famiglie gay i diritti “europei”; questa volta invece una cattiva notizia dalla Toscana. La racconta questo comunicato. «Al Convegno nazionale svoltosi a Ferrara il V dicembre 2013 dal titolo “Dieci domande ai Garanti per l’infanzia e l’adolescenza” abbiamo ascoltato la Garante della Regione Toscana, a proposito dell’assenza dei diritti dei minori nelle famiglie omogenitoriali, rispondere che “i bambini non devono essere utilizzati per ottenere diritti degli adulti” e che “i genitori nelle famiglie omogenitoriali dovranno innanzitutto spiegare ai propri figli per quale motivo sono fatti in quel modo lì”. In un altro passaggio, la Garante si permetteva addirittura di fare una battuta di spirito sulla gestazione di un bimbo di una famiglia omogenitoriale alludendo a una provenienza “divertente” del bimbo stesso. E tutto ciò davanti a studenti, formatori, educatori, rappresentanti delle istituzioni. Insomma, la Garante della Toscana ha chiarito che i bimbi delle famiglie omogenitoriali non rientrano nella sua sfera di competenza, i loro diritti, le loro tutele, la loro protezione non la riguardano, e tutto questo perché lei stessa non riesce a comprendere che le persone omosessuali sono fatte “in quel modo lì”. Ma allora, ci chiediamo, cosa garantisce la Garante? Non dovrebbe garantire i minori? Non dovrebbe garantire l’infanzia? Nessuna legge dice che la Garante garantisce solo certi bambini e non altri, anzi crediamo che le funzioni e il ruolo della Garante per l’infanzia sia
proprio quello di garantire tutti i bimbi, di garantire il loro diritto alla
vita, a una vita serena, ad avere una famiglia. I bimbi delle famiglie
omogenitoriali soffrono di un clamoroso vuoto di tutela giuridica rispetto ai
propri genitori, che essi amano e riconoscono come tali fin dalla nascita, e la
Garante per l’infanzia, anziché affrontare questo problema, non trova di meglio
che scagliarsi contro le persone omosessuali, rappresentando una sua mera
opinione, peraltro non richiesta in quella sede.

Come associazioni nazionali ArciLesbica, Famiglie Arcobaleno, Arcigay, Agedo, Equality Italia, Mit, siamo letteralmente indignate che una persona di quella formazione ricopra un ruolo tanto importante e delicato. Siamo indignate e riteniamo che non sia all’altezza di un compito così cruciale nella società di oggi. Ricordiamo, infatti, che se la Garante per l’infanzia si dimostra capace di cancellare i bimbi delle famiglie omogenitoriali dalla sua sfera di interesse, potrà esserlo per qualunque bimbo ritenga di farlo. Ciò che,oltre a essere contrario al senso proprio di un’autorità di garanzia, costituisce un grave pericolo per la società tutta».

10 (numero romano) – Finchè c’è lei…

… la Costituzione, qualche speranza c’è – anche in questi brutti tempi – ma bisogna difenderla e applicarla. A partire dall’articolo 10 (numeri arabi sì). Questa rubrica chiude sempre così: un richiamo all’Italia migliore ma soprattutto un impegno a non arrendersi a quella peggiore.

                  (*) Notizie sparite, notizie sparate. Certezze, mezze verità, bufale, voci. Questa rubrica – nata sul mensile milanese «Come solidarietà» dove prosegue saltuariamente a uscire – prova a recuperare e/o commentare quel che i media tacciono e/o pompano (oppure rendono incomprensibile, con il semplice quanto antico trucco di de-contestualizzarlo) su migranti, razzismi, meticciato, intercultura e dintorni. Le puntate precedenti si possono vedere qui in blog (db)

Redazione
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