COS’È RIMASTO
(Roba del Pabuda…)
una minuscola e informe
macchiolina
d’un verdolino più chiaro
di quello
della crema di piselli:
al terzo rigo
di pagina seicento settanta tre
tra la preposizione semplice «di»
e l’articolo indeterminativo «un»,
poco prima
dell’importante sostantivo
«principio».
non abbiamo nessuna informazione
sui tuoi antenati
né sulla tua discendenza,
nulla si sa della tua vita,
prima del fatale incidente,
delle tue imprese,
delle tue speranze,
dei rimpianti e delle delusioni.
niente riguardo ai tuoi amori,
alle tue miserie o alle tue virtù,
ai tuoi gusti, alle manie,
alle fissazioni, ai timori.
anche la tua dipartita
non si può dire davvero memorabile:
è bastato un colpo di sonno
dello stanco lettore,
quando s’è arreso, ieri sera
e ha chiuso con un «flap»
il grosso volume,
senza accertarsi se ci fosse
ancora dentro qualcuno,
ritardatario o troppo arzillo.
ti sono crollate addosso
seicento settanta due pagine:
tutte assieme
in un colpo che t’ha spiaccicato
per sempre.
era proprio così inebriante,
talmente irresistibile
quella luce, quel calore?
insettino, a conti fatti,
n’è valsa la pena?
non dev’esser consolante
sapere
che così vuole la natura
né che le tue spoglie –
o almeno un’ombra –
rimarranno in un celebre testo
considerato
capolavoro della letteratura.
—
(nell’immagine: Rito funebre, collage di Pabuda 2020)