Costa, French, Ritchie, Tudor, Tuti, “Fred Vargas” e il duo Lavoradori-Cicarè

 

di Valerio Calzolaio

6 recensioni giallo-noir più una (di fantascienza “senza grandi effetti speciali”)

Ilaria Tuti

«Fiori sopra l’inferno»

Longanesi

366 pagine per 16,90 euro

Autunno 2016. Travenì, Friuli Venezia Giulia. Ė un piccolo villaggio raccolto nella conca formata da una corona di montagne, non lontano dal confine con l’Austria, a circa cento chilometri da Udine; un centro minuscolo, torre medievale in piazza, stazione ferroviaria, un migliaio di abitanti (turisti esclusi), ventimila ettari di foresta intorno (e animali “selvaggi”, grotte, cave, miniere, laghi, cascate, l’orrido dello Sliva), interessato a breve dalla costruzione di un nuovo polo sciistico con disboscamenti e forte impatto ambientale. Fuori dal paese viene rinvenuto un cadavere senza occhi (strappati via e scomparsi), adagiato e “allestito” supino nudo sull’erba, coperto di brina, vicino fra i rovi un totem fatto con gli abiti insanguinati; si tratta di Roberto Valent, ingegnere civile 43enne nato e cresciuto nella valle, padre di Diego, scomparso da due giorni, dopo aver accompagnato il figlio a scuola. Arrivano dalla città la non più giovane commissaria Teresa Battaglia con i due storici collaboratori e il nuovo aitante bell’ispettore metropolitano Massimo Marini, appena assegnato alla squadra. Lei è nata il 20 maggio 1958, aveva subito per un po’ il pessimo marito, non ha figli, viso duro e rugoso, corpo sfatto e capelli rossicci, appare malata e sola, gestisce a fatica un diabete insulinodipendente e l’incipiente perdita di memoria, segreti e dolori sulle spalle. Esperta ed energica, scontrosa e determinata, capisce subito che c’è un disegno nella prima violenza, che non finirà lì. Ha doti di profiler, anche se emergono come contraddittori i connotati della personalità del colpevole rispetto all’evoluzione criminale della specie umana. Del resto, il gruppo misto degli amici di Diego percepisce da tempo una presenza oscura (non malevola) nel bosco, qualche cattiveria e qualche bontà ruotano intorno alle loro famiglie.

Di valore e di successo l’esordio nel romanzo di Ilaria Tuti (Gemona del Friuli, 1976) in terza varia, soprattutto investigatori e bimbi, talora anche “lui”, che osserva a distanza e agisce per mimesi, a causa di un’identità poco sociale, scolpita nel passato. L’incipit e alcuni intermezzi dell’efficace narrazione riguardano infatti la Scuola, cupo orfanatrofio montano dove nel 1978 si facevano strani criminali esperimenti; a suo modo, nel brulicante Nido, cresceva un individuo nel posto numero 39. Lentamente, inesorabilmente emergono truci connessioni con un passato ancor più remoto e col presente. Il titolo (“tratto” dal poeta giapponese Kobayashi Issa) si riferisce al fatto che talora chi compie del male vede l’inferno che ciascuno abbiamo sotto i piedi (mentre noi contempliamo benevolmente i fiori che crescono in superficie); per stanarlo occorre vedere oltre i fiori, cercare l’inferno. La bellezza aspra del paesaggio e dell’ecosistema (siamo in zona Tarvisio, sono immaginarie solo le denominazioni) stride ben presto con le dinamiche misere e le doppie vite all’interno della comunità paesana, dentro e fuori le mura familiari. Ne vien fuori una multiforme toccante riflessione sul legame indefinibile e arcano, primitivo e sacro, pro-creato dalla maternità, su adulti che tormentano i bimbi o li privano delle cure affettive, sulle teorie eugenetiche e, di converso, sulle pratiche empatiche della genitorialità e della vita. Nei conventi per secoli c’era spesso una ruota degli “innocenti” esposti. L’autrice (mamma da poco, la dedica è a Jasmine) semina con maestria indizi, forse il serial killer non intende delinquere in una camera chiusa, forse i crimini e i criminali sono tanti ma non tutti. A Teresa fanno compagnia bei libri e buon jazz.

Fred Vargas

«Il morso della reclusa»

traduzione di Margherita Botto

Einaudi

436 pagine, 20 euro

Parigi (e Sud-Est della Francia). Primavera 2016. Il basso magnetico mitico commissario Jean-Baptiste Adamsberg, ultracinquantenne bruno e magro, cafone montanaro originario del pirenaico Béarn (padre calzolaio), bambino (e adulto) ficcanaso refrattario alle regole, zigomi prominenti, grande naso aquilino, guance incavate, capelli bruni spettinati, algoso sguardo svagato, mento debole, sorriso storto, pelle olivastra, al polso sinistro due orologi (fermi), trascorre vacanze in Islanda, tranquillo e pacificato, c’è con lui Zerk (o Armel, il figlio conosciuto da poco, quando aveva già 28 anni). Lo richiamano in servizio con urgenza (e Zerk resta là): una bella 37enne è stata schiacciata per due volte sotto le ruote di un suv, l’assassino o è il disinteressato ricco marito o il servizievole presunto amante. Ad vede nella nebbia e risolve il caso con facilità, sembra Sherlock, senonché s’imbatte per caso nell’impossibile omicidio di due vecchi per il tramite di ragni. Mentre risolve con facilità un altro delicato caso (un pessimo stupratore sulle tracce di una sua tenente), l’amico, collega e vice Danglard contesta apertamente l’apertura di una nuova astrusa indagine, la squadra si trova in un clima malsano. A sorpresa emergono antichi crimini commessi dagli assassinati (fin dall’orfanatrofio) e altre precedenti morti pure connesse; con tradimenti e pugni, bolle e proto-pensieri, la squadra forse potrebbe ricomporsi intorno al capo. E il commissario è costretto a dirigersi frequentemente verso sud, in treno o auto (guidata da altri) che sia. Si confronta con lo psichiatra Martin Pescatore, visita il fratello Raphaël (più piccolo di due anni) all’Île de Ré, fa ricorso a vecchi amici, organizza uno scavo vicino Lourdes. C’è qualcuno paziente che la sa più lunga da molto tempo.

Da un quarto di secolo Fred Vargas delizia lettori e lettrici: ecco l’ultima meravigliosa opera dell’archeozoologa doppia e multipla, fiabesca e illuminosa Frédérique Audouin-Rouzeau (Parigi, 1957), dotatasi di uno pseudonimo (in comproprietà con la gemella pittrice) per romanzi polar, colti e ironici. Ha la fissa del protagonista, delucidato in terza, maschio ormai senza più libido, in connessione con donne mai seduttive, giunto alla nona avventura della serie. Adamsberg è nebbioso lento trasandato iponervoso, ostinato prolisso visionario, già tiratore scelto, disegnatore assorto, lettore camminante; i pensieri si formano prima ancora che li pensi; non resta mai arrabbiato a lungo, prende sonno all’istante; ha andatura beccheggiante e vagabonda, una voce da tonalità basse e dolci; mangia con indifferenza e compra sigarette per il figlio lontano solo per potergliele subito rubare e fumare. La squadra è composta da 27 agenti dell’Anticrimine di Parigi (nel XIII°), oltre la metà è presente fin dal primo immediato Concilio, ognuno descritto con fantastica concreta creatività, fra scartoffie e distrazioni, gerarchie e fobie, tipo 87°. Questa volta è operativa ma più frastagliata la storica contrapposizione fra i positivisti materialisti eruditi, disturbati dalle divagazioni erratiche, e gli accomodanti deleganti, per i quali c’è poco di male a spalare nuvole di tanto in tanto, con in mezzo i noti moderati esitanti; destra e sinistra irrituali, visto anche che il vero centro è un individuo per definizione senza equilibrio e certezze. Eccelsi dialoghi surreali e curiosità linguistiche, citazioni colte e pedopsichiatria degli abbandonati, uno stile assecondato da stranezze ossefiane e multimediali. Si parla di cose orrende come in una fiaba, orripilante e leggiadra al contempo. La copertina è un po’ troppo simile a precedenti, il titolo indica il ragnetto eremita e pauroso, il ragno violino Loxosceles rufescend (reclusa nelle originarie Americhe). S’ingozzano e bevono alla maniera degli Alti Pirenei Atlantici: Garbure, Jurançon (bianco), Madiran (rosso).

 

C. J. Tudor

«L’uomo di gesso»

traduzione di Sandro Ristori

Rizzoli

348 pagine, 20 euro

Anderbury, a una trentina di chilometri da Bournemouth (costa sud dell’Inghilterra). Estati 1986 e 2016. La piccola città sembra pittoresca: tanti bei parchi con passeggiate lungo il fiume e avventurosi boschi oltre i margini, a un tiro di schioppo i monti (New Forest) e le spiagge della Manica, bella piazza centrale, strade ancora di ciottoli, cattedrale (abbastanza) famosa con antica guglia in restauro, variopinte sale da tè, percorsi da casa a scuola (o lavoro) da fare a piedi, dignitose scuole, un hotel di lusso, farmacia libreria supermercato tutti pezzi unici, pochi abitanti che si conoscono (più o meno), affollata solo d‘estate per i turisti. Trent’anni fa Eddie Ed Munster Adams, figlio di un’alta ginecologa con molto lavoro (anche aborti) e di un barbuto scrittore con poco lavoro (in riviste e giornali), aveva 12 anni e faceva banda con i quasi coetanei Gav la Palla, Mickey Metallo, Hoppo e Nicky, ragazzina molto carina con lunghi capelli rossi, pelle chiara, numerose lentiggini, e il padre pastore della chiesa locale, il reverendo Martin, da lei odiato. Quell’estate accaddero una serie di eventi che travolsero l’amicizia e sconvolsero l’inquieta cittadina, in particolare fu trovata la Ragazza del Valzer con le membra sparse nel bosco (non la testa, qualcuno l’aveva messa in uno zaino). Reincontriamo il professor Adams nel 2016, ancora lì. Ha 42 anni, capelli folti e neri, qualche ruga d’espressione, è molto alto e un poco ricurvo, insegna con passione letteratura inglese, ha vissuto insieme alla madre (restata vedova e ora 78enne) finché cinque anni prima lei non ha conosciuto Gerry seguendolo in una casa ecologica nelle campagne del Wiltshire. Ed, single e solitario, si cucina (maluccio), soffre d’insonnia, beve troppo, continua a collezionare cose, per integrare il reddito affitta una stanza alla giovane Chloe. Torna un vecchio amico, omicidi e violenze del passato vengono di nuovo a galla, con aggiornati pericoli.

C. J. Caz Tudor è nata a Salisbury e cresciuta a Nottingham, dove vive con il suo compagno e la figlia. Ha lasciato la scuola a sedici anni e poi ha fatto di tutto un po’, sempre scrivendo come prima o seconda attività: tirocinante giornalista, autrice per la radio, cameriera, assistente di negozio, agente pubblicitaria, doppiatrice, presentatrice televisiva, sceneggiatrice, dog-sitter. Ora, con il romanzo d’esordio, da agosto 2017 è una scrittrice di enorme successo, caso internazionale all’ultima Fiera di Francoforte, diritti venduti ai quattro angoli del globo, traduzioni in corso un po’ ovunque. Il titolo è inevitabile, tutto ruota intorno al secchiello di gessi colorati: regalati da chissà chi a Gav per il compleanno (come davvero, tempo fa, da Claire e Matt all’autrice ispirata), usati dai cinque piccoli della banda con il disegno di ometti per darsi appuntamenti segreti e riconoscersi (Ed arancione, gli altri rosso o blu o verde o giallo), ometti di gesso poi apparsi nel bosco e sulla scena del delitto, nomignolo dell’inquietante buon signor Halloran appena arrivato per insegnare alla ripresa della scuola (albino allampanato). La narrazione è tutta in prima: il punto di vista è di Ed, allora (al passato) e ora (al presente). Come il mondo gli andò in pezzi da ragazzino, come rischia di accadere altrettanto. Per quasi tutto il romanzo si alternano i capitoli 1986 e 2016, con buon ritmo, ognuno con qualche suspense finale, sempre in parallelo temporale sui vari personaggi. I genitori erano minacciati dalle faziosità ideologiche contro l’aborto: ripensandoci, direbbe che “un sacco di attivisti radicalizzati” erano convinti di fare la cosa giusta… così potevano giustificare tutte le cose sbagliate che facevano in nome della causa”. Quando vuole far colpo Ed prepara spaghetti al ragù e abbina il rosso Barolo; quando è solo, bourbon! Chloe ascolta punk/folk.

 

Alberto Lavoradori e Mauro Cicarè

«Spacenoir»

Edizioni Di (Grifo)

128 pagine, 25 euro

Spazio. Circa nel 2100. Luna Schauberger è nata il 13 luglio 2079 e ha un antenato illustre: l’ austriaco Viktor Schauberger (Alland,30 giugno1885-25 settembre1958), naturalista eccentrico e inventore illuminato, uno dei pochi teorici dell’implosione, ovvero di teorie basate su vortici fluidici e movimenti nella natura; costruì attuatori per aerei, navi, turbine silenziose, tubi auto-pulenti e attrezzature per la pulizia e la cosiddetta “raffinatezza” di acqua per creare acqua di sorgente, da utilizzare come rimedio; trascorse gli ultimi mesi di vita negli Stati Uniti in Texas, dove le sue idee rischiavano di essere sfruttate in chiave capitalistica e bellica; decise allora di tornare in patria col figlio, dovendo però firmare carte che lo obbligavano a lasciare ai committenti americani tutti i suoi progetti e lavori; soggiornò qualche giorno a Linz e morì pochi giorni dopo. Luna già a 8 anni era entrata a far parte dell’associazione Mensa (fondata a Oxford nel 1946) grazie all’altissimo quoziente d’intelligenza; si era laureata a 16 grazie alla grande passione per la fisica; a 19 anni cominciò a lavorare presso i laboratori Firstdyne Industries, locali immensi, hi-tech sofisticato, risorse inimmaginabili. C’era grande intesa con Paul Laszlo, scrupoloso collega e rassicurante amante, ma il test sul suo progetto sperimentale stranamente non andò bene: Paul morto, prototipo distrutto, test fallito, ma, sorprendentemente, i padroni sembrarono proprio contenti e le rinnovarono il contratto. Non ci capisce più nulla, c’è qualcosa sotto (la materia oscura), deve fuggire. Ora vaga fra gli asteroidi, ma qualcuno la vuole morta.

L’ottimo sceneggiatore Alberto Lavoradori (Mestre, 1965) e l’ottimo illustratore Mauro Cicarè (Macerata, 1957) collaborano insieme per la prima volta. E con notevole efficacia. Una narrazione grafica è più un film che un romanzo. C’è una trama, incipit sviluppo intrecci epilogo. Ma non sono tanto le frasi a trasmetterci senso. Contano molto la “visione” del testo, inquadrature colori sfumature, la struttura delle pagine, con più o meno fumetti, con tavole più o meno larghe e lunghe, l’atmosfera dello scritto, comunque poco, allusioni rimandi vignette (anche dei suoni). Entrambi gli autori conoscono bene entrambi i mestieri narranti, sia scrivere che disegnare; si cimentano meritoriamente con un genere in voga da una cinquantina d’anni. Lavoradori vive nella campagna veneta ed è noto anche per l’originale Paperinik. Cicarè vive sulla costa marchigiana ed è noto anche per le splendide mostre. Si stimavano a distanza, non si erano mai visti prima. Cicarè ha contattato l’altro per una storia comune di fantascienza “senza grandi effetti speciali”, Lavoradori ha proposto titolo (due parole di lingue diverse che suonano benissimo, senza trattino) e l’abbozzo di storia. Cicarè ha iniziato a preparare la grafica, Lavoradori ha adattato i testi, Cicarè ha preparato le tavole (cinque mesi di intenso lavoro per 100 pagine da incorniciare), ci hanno lavorato insieme e ne è venuto fuori un ricco affascinante fumetto di noir science fiction (fantascienza retrò). Si alternano (in dieci “capitoli”) il presente con colori ad acquarello e il passato (recente) con effetto flou di grigi-neri-viola-bluastri. Si viaggia in un presente-futuro, incontrando personalità oscure e pericolose; in navicella, attraverso Spacenoir per raggiungere la cintura di Belt fra le orbite di Marte e Giove, con scali su una fascia di asteroidi (Deimos, Pallade, Belt), poi a Cerere; si passeggia a Earcity e Crecity nella materia non osservabile perché “oscura”. Colonna sonora (implicita) dei Massive Attack (“Mezzanine”).

 

Gian Mauro Costa

«Stella o croce»

Sellerio

248 pagine, 14 euro

Palermo. Ottobre 2016. La 30enne Angela Mazzola, infanzia non ricca a Borgo Nuovo, diploma scientifico e leva completati in collegio e con lavoretti vari, lunghi capelli ondulati color rame, viso aggraziato, corpo slanciato (verso il metro e settanta) e muscoloso (per palestra occasionale e corsette mattutine), curve notevoli da “gran figa” (a detta dei colleghi), rockettara (grazie al fratello), gira col motorino Liberty 200 o con l’auto di servizio, operativa alla Sezione Antirapina. Da appena quindici giorni vive sola in una piccola specie di attico di due stanze con vista sul mare e terrazza personale, al quartiere Acquasanta, una delle borgate marinare della città. Se la gode, sorseggia Inzolia ben fresco sulle note del Boss, fa finta di essere ossequiata e ascoltata dal maggiordomo Gianpi, sfoglia il giornale e s’imbatte nel “delitto della parruccaia di via Amari”, avvenuto sette mesi prima e insoluto. Rosellina, una sua simpatica compagna di scuola, è nipote della vittima Anna Fundarò e protesta sui ritardi della polizia. Conosce già anche l’autrice dell’intervista su “Repubblica”, Sandra Passafiume, incontrata al corso di degustazione. La parruccaia svolgeva una funzione preziosa e apprezzata per malati oncologici, transessuali, salotti mondani, mondo dello spettacolo. Angela sente entrambe le amiche e inevitabilmente s’impiccia del caso, anche perché il giovane collega Santo Iovino è appena passato alla Omicidi e le fornisce qualche ulteriore particolare in una sera in cui le porta e le cucina un bel chilo di vongole veraci, e lei accetta di concedersi uno “svago”, comunque mandandolo via alle tre di notte. Angela ha da seguire anche faccende di contrabbando di sigarette e di rapine in farmacia, tuttavia s’intestardisce, rischia la carriera e aiuta tutti a fare una certa giustizia.

L’ottimo giornalista (ora in pensione dalla Rai) e scrittore Gian Mauro Costa (Palermo, 1952) abbandona il personaggio seriale del mite elettrotecnico Enzo Baiamonte (che, diversamente giovane, ci ha lietamente accompagnato alla Zisa negli ultimi 7-8 anni) e propone un nuovo riuscito affascinante personaggio femminile. La narrazione è in terza fissa sulla fresca poliziotta al passato, con notevoli acume e cultura, begli intensi dialoghi (anche fra sé e sé), tanta magnifica Palermo (non sempre poetica, come noto), e raramente qualche frase più didascalica (giornalistica). Interessante il mondo delle parrucche (e, in fondo, quello delle “pillole”). Il titolo fa riferimento al commento perpetuo della zia Giuseppina, l’una o l’altra: “ogni giorno il Signoruzzo gioca con la moneta a stella e croce con ognuno di noi… La stella è quella della nascita, la croce quella della morte”. Alla fine, simpaticamente, Angela finirà per dare a una cucciola di labrador proprio il benaugurante nome di “Stella”. Resta la curiosità di reincontrare presto sia Angela che i vari personaggi ben tratteggiati, amiche e colleghi. Eventuali serate da single possono trascorrersi al Nautoscopio. Con il vino siciliano si degusta di continuo, anche il fruttato Viognier, il Cuddia della Ginestra (o Kuddia), i rossi Perricone e Syrah; Franciacorta solo per brindisi sensuali. Incontriamo anche tanta buona musica, la passione si concentra soprattutto sulla grande voce blues di Beth Hart (senza dimenticare Fiorella Mannoia e Pearl Jam, dipende da personaggi e contesto).

 

Jack Ritchie

«Il grande giorno»

traduzione di Sandro Ossola e Claudia Tarolo

Marcos y Marcos

240 pagine, 18 euro

Wisconsin, Usa. John George Reitci (1922-1983) è famoso per i racconti di genere hard-boiled e fantascienza, perlopiù firmati come Jack Ritchie. Ne ha pubblicati oltre 500 mentre l’unico romanzo (completato poco prima dell’infarto) fu pubblicato postumo nel 1987. Le sue storie, ammirate molto anche da colleghi grandi scrittori e registi, hanno avuto innumerevoli adattamenti televisivi e cinematografici. I racconti sono mirabili per l’eleganza della sintesi, lo schizzo dei caratteri, la relatività del cinismo, uno stile inconfondibile. La raccolta “Il grande giorno” ne contiene quattordici e riprende il titolo di uno, The Big Day, fra i più brevi (nessun racconto è veramente lungo): l’esordio settembrino di un ragazzo davanti a quarantaduemila persone sugli spalti per una partita della stagione di baseball, big league. Incipit deliziosi, chiusure fulminanti (anche quando non sono noir).

 

Tana French

«L’intruso»

traduzione di Alfredo Colitto

Einaudi

626 pagine, 21 euro

Dublino. Una settimana del gennaio 2015. La poliziotta 32enne single Antoinette Conway, pelle bruna (sangue “misto” da parte del padre, mai conosciuto), capelli neri e lucenti, occhi infossati e zigomi alti, forte e intuitiva, dura e guerriera, bella casa a schiera in stile vittoriano (con un pesante mutuo), Audi TT nera del 2008 (pure presa a rate), cuoca al microonde, longilinea in forma, da due anni lavora alla Omicidi nel Durbin Castle (prima alle Persone scomparse). Da quattro mesi ha come partner il 33enne allegro ciarliero piacione Steve Moran (prima ai Casi freddi), gambe lunghe e spalle strette, capelli arancioni, anche lui single. C’erano state poche donne prima in squadra, forse una mezza dozzina, alcune andate via da sole, altre indotte a farlo, lei adesso è l’unica in mezzo a più di venti uomini ed è partita col piede sbagliato. Finora si è dovuta occupare prevalentemente di omicidi domestici, le hanno costruito addosso una brutta reputazione, subisce frequente bullismo di lazzi e scherzi, reagisce con astio e scontrosità verso i colleghi, si guarda sempre le spalle convinta che tutti la scansino o la boicottino. A sorpresa, appena finito un turno, il capo O’Kelly chiede ai due di andare sulla scena di un crimine. Antoinette capisce subito di aver già incontrato la bella vittima, ora che assomiglia a una Barbie uccisa. Si tratta della giovane Aislinn Gwendolyn Murray, pare aspettasse qualcuno a cena, si era messa alla grande e aveva preparato per due. Scoprono che mostrava un nuovo interesse amoroso e forse aveva un amante segreto, fra l’altro da anni continuava la ricerca avviata dalla madre (poi morta) su come e perché il padre fosse scomparso. E un bieco giornalista comincia subito a criticarli, mentre qualcun altro depista le indagini.

Tana French (Burlington, Vermont, 1973) ha studiato in Irlanda e ha girovagato anche come attrice, prima di divenire un’autrice di successo; il sesto romanzo della serie dedicata alla Squadra Omicidi di Dublino (iniziata nel 2007) conferma notevoli qualità letterarie. Il primo ringraziamento finale appare una sottolineatura chiave: “Stavolta più del solito, devo un grosso grazie a Dave Walsh, le cui conoscenze del mondo dei detective mi hanno dato tutto ciò che in questo libro è basato sulla vita reale e nulla di ciò che non lo è”. Non conosciamo Dave, ma l’imprinting della narrazione (in prima al presente) sono i succosi dialoghi fra colleghi, anche nelle riunioni per fare il punto e dividersi il lavoro, e i lunghissimi interrogatori di sospetti, più ancora che le semplici procedure o l’antipatica discriminazione verso una donna. La cura psicologica nel fare domande e nel costruire un percorso per giungere a risposte utili è mostrata in centinaia di pagine, con lento acume, senza mai scene cruente. Del resto, la protagonista è un’intrusa in una comunità maschile autoconvinta che si tratti proprio di un mestiere macho. La vittima cresce come un’intrusa nella vita sociale e chi la uccide sembra un intruso rispetto alla sua vita pubblica. Né mancano altre trasgressioni (The Trespasser è il titolo inglese), la vita è tutta un’intrusione, Antoinette sa che i poliziotti corrotti esistono (anche se qui sembra sia forse una falsa pista) e che i siti di appuntamenti sono rispettabili solo per chi è lì per affari (evidenziando altrimenti troppa poca autostima). Il rischio è sempre quello della troppa introspezione: tanti sono sospetti e troppi pascolano la mente in decine di ipotesi fantasiose, rovinandosi pensieri e vita, nel romanzo un po’ tutti i personaggi. Vino di scarsa qualità, meglio champagne e liquori. Aislinn ascoltava Beyoncé, prima di mettere musica d’atmosfera e accendere la candela profumata.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *