Cuba: lo scambio impossibile tra i Cinque ed Alan Gross

di David Lifodi

Ad alcuni mesi dalla liberazione di due dei cinque cubani arrestati nel 1998 in Florida con l’accusa di spionaggio, associazione per delinquere ed infiltrazione negli States come agenti di uno stato straniero, purtroppo la situazione non è cambiata per i tre che ancora si trovano reclusi negli Usa. La Casa Bianca, al momento, rifiuta lo scambio proposto dalle autorità cubane, tra i suoi agenti dell’intelligence ed Alan Gross, cittadino Usa arrestato nell’isola nel 2009 con l’accusa di aver venduto, senza l’autorizzazione dell’Avana, materiale informatico e per le comunicazioni satellitari nell’isla rebelde. Il caso dei Cinque, soprattutto negli ultimi mesi, è sparito dalle cronache internazionali, per questo è giusto fare un quadro attuale della situazione.

I cubani, ormai universalmente noti come i Cinque, in realtà erano entrati in territorio americano disarmati e soltanto per cercare di capire se, ancora una volta, il potente vicino stesse orchestrando piani per destabilizzare Cuba, come emerso nel corso della tormentata relazione tra l’isola e gli Stati Uniti, oltre che da alcuni documenti desecretati di recente dal National Security Archive. Processi fasulli e un accanimento giudiziario sponsorizzato dalla Fondazione Cubano-Americana di Miami e dai soliti settori eversivi dell’ultradestra cubana e a stelle e strisce hanno determinato una vera e propria persecuzione politica nei loro confronti, di cui si può leggere qui l’iter giudiziario: http://danielebarbieri.wordpress.com/2012/04/12/cuba-verita-e-giustizia-per-i-cinque/ .
René González e Fernando González sono gli unici due ad essere tornati a Cuba, peraltro dopo aver scontato in carcere, senza alcuno sconto, le loro condanne. Il primo è tornato in libertà nel 2011, dopo aver scontato una condanna di 13 anni, mentre il secondo è uscito dal carcere a fine febbraio di quest’anno. Gli altre tre, Gerardo Hernández, Ramon Labañino e Antonio Guerrero, sono ancora rinchiusi nelle prigioni statunitensi: fuori, denuncia il Comitato nazionale per la Libertà dei Cinque cubani, decine di giornalisti di Miami stanno contribuendo, tuttora, a coprire l’informazione su di loro “in forma altamente pregiudiziale”. È per questo che all’inizio di giugno si sono svolte, a Washington, una serie di iniziative di solidarietà per richiedere la liberazione dei tre cubani ancora detenuti, a cui hanno partecipato intellettuali e attivisti di ogni parte del mondo, da Noam Chomsky a Frei Betto. Un forte appoggio a los tres è arrivato anche dall’Italia. A giugno il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, è stato il capofila dei firmatari (tra cui Haidi Gaggio Giuliani, presidente del Comitato italiano Giustizia per i Cinque) di una lettera aperta inviata ai congressisti Usa. La missiva ha chiesto, a nome dell’apposito intergruppo parlamentare italiano costituito dalla senatrice Pd Daniela Valentini, la liberazione dei tre cubani, ed è stata consegnata dall’avvocato dell’Associazione nazionale di amicizia Italia-Cuba, Tecla Faranda, durante gli incontri tra la delegazione internazionale di parlamentari, giuristi, intellettuali e i congressisti statunitensi. Tra i sostenitori della causa dei cubani il presidente dell’Uruguay Pepe Mujica, che ha sollecitato più volte Obama a restituire la libertà a Gerardo Hernández, Ramon Labañino e Antonio Guerrero sottolineando l’iniquità della giustizia statunitense. Sullo scambio tra Alan Gross e i tre cubani, che attualmente sembra l’unica strada percorribile, l’amministrazione Usa continua a non sentirci. Proprio la moglie di Alan Gross, Judy Gross, ha rivolto un duro atto d’accusa contro la Casa Bianca: la donna vuole riabbracciare suo marito e per questo ha implorato i governanti del suo paese di aprire un negoziato con Cuba, che peraltro si è dichiarata disposta, da tempo, ad una liberazione umanitaria del cittadino statunitense nel segno di uno scambio con i tre cubani. Alan Gross, finora, non è mai rientrato nelle amnistie concesse da Raúl Castro ed è stato condannato nel 2011 a quindici anni di carcere per aver “cospirato contro l’integrità dello stato cubano”. Gross era impiegato dagli Stati Uniti come ingegnere informatico al servizio della Development Alternatives, impegnata nella “promozione della democrazia a Cuba” attraverso la distribuzione di computer e telefoni satellitari che l’uomo dice di aver donato soltanto alla comunità ebraica dell’isola, per cui, in ogni caso, avrebbe dovuto chiedere il permesso alle autorità cubane. In realtà è emerso che Gross lavorava sotto copertura per la famigerata Usaid (la US Agency for International Development, che ogni anno finanzia la dissidenza cubana con almeno 20 milioni di dollari) e, secondo la Corte Suprema cubana, il suo scopo era quello di porre in essere una serie di azioni destabilizzanti per il paese: non era la comunità ebraica cubana la destinataria degli apparecchi cubani, per sua stessa ammissione, ma la dissidenza. Tra le altre cose, sembra che la comunità godesse dell’accesso ad internet ben prima dei frequenti viaggi di Gross a L’Avana, come riportato dall’autorevole agenzia di stampa Associated Press e dall’Agencia Telegráfica Judía. Eppure, sulla stampa, non è difficile leggere titoli ad effetto del genere: “La comunità ebraica chiede aiuto al Papa per la liberazione di Alan Gross”. Sempre la moglie di Gross ha evidenziato come il più grande ostacolo alla liberazione del coniuge siano i congressisti Usa di estrema destra che risiedono a Miami: la lobby cubano-americana della Florida, capeggiata da Robert Menéndez, Ileana Ros Lehtinen e Marco Rubio, sarebbe, per Judy Gross, il vero scoglio che impedisce all’amministrazione Obama (che peraltro ha le sue responsabilità sul caso dei Cinque cubani, per i quali non ha mosso un dito) di aprire i negoziati. Del resto, sono gli stessi cubano-americani a condividere, insieme al Dipartimento di Stato Usa, i programmi per la cosiddetta “promozione della democrazia” a Cuba, il cui unico obiettivo è quello di imporre un governo filo statunitense. Lo stesso New York Times ha riconosciuto come il lavoro di Gross si inserisse in un “programma semiclandestino di Usaid” in quanto, nel ruolo di esperto in tecnologie di comunicazione, aveva già lavorato sui sistemi satellitari durante l’invasione Usa di Irak e Afghanistan. In passato, proprio Gross si è rivolto direttamente a Obama, scrivendo una lettera in cui sollecitava l’intervento in prima persona del presidente americano.
Attualmente, l’unica possibilità concreta che hanno i tre antiterroristi cubani di tornare al loro paese risiede quindi in uno scambio con Gross, ipotesi per adesso remota poiché la politica estera degli Stati Uniti, ancora una volta, sembra essere condotta dalla Florida, con il paradosso che, dopo aver utilizzato l’ingegnere informatico come destabilizzatore di professione, adesso gli Usa sembrano intenzionati ad abbandonarlo al proprio destino.

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