Curre curre guagliò

Pietro Mennea, il ribelle più veloce del mondo

di Gianluca Cicinelli

«Lo sport è di tutti. Ogni corsa è un viaggio diverso». Pietro Mennea

Essere al tempo stesso un ribelle che corre forte contro l’autorità costituita dell’atletica e il più intransigente e autoritario insegnante di se stesso. Cioè quel Pietro Paolo Mennea da Barletta, la cui nascita – 28 giugno 1952 – prendiamo a pretesto per raccontarvi la storia del riscatto meridionale (una volta si chiamava così).

Mennea non fu soltanto la spina nel fianco dei velocisti neri nel mondo, che fu l’ultimo bianco a lasciarsi alle spalle nel mezzo giro di pista, ma provò anche a ribaltare la dirigenza della Fidal, la Federazione dell’atletica leggera italiana, totalmente in mano al potere politico democristiano negli anni sessanta. Riuscì in entrambe le cose finchè i risultati in pista gli diedero ragione, ma pagò il prezzo del suo dissenso ad attività agonistica conclusa, con l’esclusione da qualsiasi ruolo dirigenziale nell’atletica italiana.

Qualche numero a questo punto è d’obbligo: le cifre grazie alle quali mutò per sempre, con il suo allenatore storico Carlo Vittori, i metodi di allenamento dei velocisti contemporanei. Mennea si allenava per ore e ore, come un monaco, senza distrazioni, migliorando millimetro dopo millimetro, millesimo di secondo dopo millesimo di secondo, correndo serie in velocità per ore, contando esclusivamente sulla propria forza di volontà. Un fisico normalissimo diventato quello dell’atleta più veloce del mondo esclusivamente grazie alla forza di volontà. Disse Gianni Minà parlando dei suoi amici ribelli Muhammad Alì e Pietro Mennea: «Li salvarono i risultati altrimenti sarebbero stati massacrati».

Usain Bolt è certamente il più grande velocista di tutti i tempi ma non è riuscito a togliere a Mennea il record mondiale dei 150 metri con curva, stabilito dal barlettano nel 1983 con 14 secondi e 8 decimi, anche se Bolt detiene il record sui 150 in rettilineo.

Ancora cifre. Mennea è l’unico atleta al mondo ad avere partecipato a quattro finali olimpiche ed essersi qualificato per una quinta. Solo lo scorso anno ha perso il record italiano sui 100 metri piani.

Il suo 19,72 sui 200 nel 1979 – record mondiale per 17 anni – è ancora oggi record europeo.

Partenza lenta e accelerazione eccezionale. Dove le aveva imparate? Per strada, sfidando le macchine sportive sui 50 metri secchi per pochi spiccioli nella sua Barletta. E vincendo lui naturalmente. Nel nomignolo «La freccia del sud» che gli affibbiò la stampa c’era tutto Mennea. Ci sarebbero anche 4 lauree conquistate una dopo l’altra, ma il capolavoro geosportivo di Pietro Paolo Mennea, che nelle interviste parlava di sè in terza persona, è il suo ruolo nella guerra fredda: Mennea deve all’Urss i suoi maggiori successi (se ne parlerà fra poco).

La storia sportiva di Mennea si è intrecciata da subito con quella di Valerij Borzov, prototipo del campione fabbricato in laboratorio a Mosca, il quale vinse la medaglia d’oro di 100 e 200 alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. In quell’occasione Mennea conquistò la medaglia di bronzo, lanciando una rivalità tutta europea che caratterizzò i primi anni 70. Ma il grande Borzov non scese mai sotto i 20 secondi sui 200 metri e si ritirò “presto”. La carriera di qualsiasi velocista che non si chiami Mennea dura mediamente otto anni.

Le Olimpiadi erano il tallone di Achille di un campione così immenso da scusarsi, subito dopo avergli strappato il record del mondo dei 200, con il leggendario Tommie Jet Smith, sì quello del pugno guantato Black Panter ai giochi olimpici di Messico. «Il mio record sui 200 metri non avrebbe potuto batterlo alcuna persona migliore di lui. Era un uomo vero, non era un bluff» rispose grato per l’omaggio il campione statunitense, che di Mennea sarà amico per tutta la breve vita.

«Adesso sono primatista del mondo. Sono un ragazzo del sud che si è allenato tanto. Senza piste e impianti sportivi Mennea è riuscito a fare il record del mondo. Sono riuscito a farlo togliendolo a una persona a cui non volevo toglierlo, cioè a Tommie Smith, il quale ha detto che questo sport è umile e io sono partito con umiltà ed è venuto fuori questo record». Così disse Pietro Paolo Mennea da Barletta, cinque minuti dopo aver corso i 200 metri in 19 secondi e 72 centesimi.

Eppure mancava ancora un titolo per rendere immortale la leggenda di Mennea. Ogni volta che arrivava l’anno delle Olimpiadi problemi fisici e “politici” si abbattevano sull’atleta pugliese, odiato dai dirigenti Fidal per la sua schiettezza ma da questi pressato, oltre il sostenibile, per regalare un trofeo all’Italia. Terzo a Monaco, quarto a Montreal, dove non voleva correre perchè fuori forma … ma la Fidal lo costrinse a scendere in pista. Mentre sta per arrivare l’appuntamento con Mosca gli Usa, rompendo la tradizione di De Coubertin, praticano il boicottaggio dei giochi olimpici e così Mennea rischiò di non correrla quella finale. Alla fine si presentano sui blocchi di partenza in otto. Tutta l’Italia sportiva seguì quella gara con lo stesso trasporto che di solito si dedica al calcio. L’affetto era tanto: a differenza della Fidal gli sportivi volevano quell’oro proprio per Mennea (non per il medagliere italiano) perchè lo meritava, perchè era il più forte di sempre, perchè avrebbe vinto contro tutto e tutti, contro l’ostilità sciocca dei dirigenti della federazione dell’atletica. A fronteggiare Mennea il fortissimo velocista inglese Alan Wells, che ha appena vinto la medaglia d’oro sui 100 metri piani, gara da cui Mennea era stato eliminato in batteria. Si parte: Wells in corsia 7 e Mennea in corsia 8, la più esterna.

Chi ha vissuto quel momento lo ricorda nei particolari: un pomeriggio d’estate che introduceva con dolcezza la sera, mutando i colori del cielo. D’improvviso nelle case di tutta Italia si fece silenzio.

Lo sparo dello starter rimbombò direttamente nelle strade grazie alle finestre aperte con i televisori accesi. Su qualche balcone, come accade soltanto per la nazionale di calcio, si vedevano bandiere italiane. A differenza del calcio nella corsa c’è poco da capire: chi sta davanti vince chi sta dietro perde. E Mennea stava dietro. Stava dietro due metri a metà gara, a metà curva. Nemmeno stavolta ce la fa. L’anatema delle Olimpiadi si era dunque nuovamente abbattuto sulla Freccia del Sud? Perchè due metri di vantaggio nei 200 metri sono una barriera invalicabile, sono circa 5 decimi di secondo di distacco e nessuno ha mai recuperato 5 decimi negli ultimi cento metri dei 200 piani. Mio padre fece allora qualcosa che – seppi in seguito – molti altri fecero pari pari. Si alzò e andò verso il televisore dicendo contro ogni logica «ce la fa, ce la fa». Perchè in quel momento Pietro ingranò la marcia dei giusti, quella dove non sono i muscoli a sostenerti ma lo spirito di rabbia e lotta che ti porti dentro fin da quando bambino ti danno del terrone e ti escludono dai giochi. Pietro accelera sempre di più e ci alziamo tutti in piedi a casa, sbigottiti nel vedere la frequenza di quella falcata incazzata che grida «e no e no, non stavolta», che si mangia la pista recuperando centimetro dopo centimetro. Silenzio, rispettoso silenzio. Furono 20 secondi che sembrarono 20 minuti. Il rettilineo. Trenta centimetri, venti, dieci. A tre metri dal traguardo Mennea e Wells sono appaiati.

Accadde allora. A casa mia, come in tante altre, con i vecchi televisori a valvole che stavano per finire per sempre in cantina. In quel momento papà diede un colpo al lato sinistro del televisore, alle spalle di Mennea, come a spingerlo, gridando «Dai Pietro!». E Pietro sentì la spinta. Sentì mio padre, sentì i tifosi che in tutta Italia davano un colpo al televisore per spingerlo, per festeggiare con lui la vittoria di chi “la vita” voleva perdente ma era in grado di ribaltare il pronostico. Io non so se quei colpi al televisore siano completamente estranei ai 2 centesimi di secondo con cui Mennea superò Alan Wells suggellando la medaglia d’oro con l’ormai suo classico dito alzato in cielo in polemica con l’infinito. Mennea vinse. Vinse perchè aveva deciso di vincere in quanto essere umano che si ribella alle avversità, che si ribella al doping e che si ribella allo sport come business economico.

«Io devo prendermela con qualcuno per ottenere risultati».

guarda la corsa di Mennea qui

 

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

ciuoti

7 commenti

  • Gianluca Ricciato

    epico!

    • Gianluca Cicinelli

      Grazie, volevo trasmettere esattamente il senso del guerriero che lotta contro gli dei e il mondo tutto. E muore giovane pagando il suo orgoglio.

  • Ogni volta che rivedo una gara di Mennea il tempo si cristallizza in un presente esaltante con il cuore che batte forte in una diretta infinita. Soltanto un altro evento sportivo riesce ad attivare in me la stessa magia: Italia-Germania 4 a 3.
    Ho una età non più giovane, sono sempre stata appassionata di tanti sport (sci, basket, atletica tutta, motori, nuoto, pugilato, calcio, etc), ma nessuna emozione, per quanto grande, mi ha coinvolta di più.
    Un pezzo veramente toccante pur nel rigore della narrazione giornalistica. Grazie, Rina

    • Gianluca Cicinelli

      Grazie a te Rina, come hai notato è il sapore di un mondo antico e nobile in cui siamo cresciuti, anche io sono diversamente giovane, dove in una gara come quella confluivano tanti significati esistenziali. Non riesco più a ritrovare quella partecipazione totale a un evento in questo senso di estraneità crescente del mondo dalla lealtà, quella sportiva in testa.

  • Gianluca Cicinelli

    Oltre a ringraziare i due estensori dei commenti sopra, volevo precisare che da qualche tempo sto provando a unire alla scrittura giornalistica l’esperienza del vissuto di chi scrive, là dove si parla di argomenti entrati nell’immaginario popolare. E’ un’operazione di scrittura esattamente opposta al minimalismo che attraversa giornalismo e letteratura oggi, è una, piccola perchè conto poco, polemica verso il mito dell caverna per cui il rigore della rappresentazione dei fatti starebbe nell’asetticità del cronista, concetto falso e fuorviante. Ma avremo modo di riparlarne qui in bottega, grazie ancora per l’affetto e l’interesse

  • Gian Marco Martignoni

    Una scordata da antologia, che riporta alla memoria il più grande atleta della nostra storia nazionale, che pur ha avuto in Livio Berruti e Marcello Fiasconaro due eccezionali interpreti dei 200 e dei 400. Solo chi ha praticato l’atletica può avere una idea dei mostruosi carichi di lavoro a cui Mennea si sottoponeva sotto la guida del suo maestro Vittori.Ma la sua tenacia sul piano caratteriale è stata la dote che gli ha permesso di battere atleti senz’altro più dotati sul piano fisico.Un mito inarrivabile per serietà e ,perdonatemi, la giusta cocciutaggine…nel battersi sempre controcorrente !

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