Dal 13 febbraio al 6 maggio

Riprendo questo intervento di Barbara Romagnoli da “Nonviolenza. Femminile plurale”, supplemento de “La nonviolenza e’ in cammino” (293 del 12 marzo 2011) : direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 – Viterbo (0761353532, nbawac@tin.it); in coda una nota redazionale. (db)

Il 13 febbraio sono scesa in piazza per curiosita’ e non per convinzione. Non mi piaceva l’appello e mi e’ dispiaciuto il modo in cui da piu’ parti si e’ liquidato il dibattito scaturito subito fra chi aderiva e chi no, uno scambio d’idee secondo me interessante e ricco di stimoli, sorto anche in luoghi non sospetti come puo’ essere un quotidiano come il “Corriere” o nei bus che attraversano la citta’, animato da donne di diversa eta’ e provenienza.

La sensazione che ho avuto e’ che sia stato un confronto sottovalutato, mentre avrebbe avuto senso amplificarlo, comunicarlo maggiormente all’opinione pubblica, renderlo manifesto per quello che era. Ovvero una discussione che ciclicamente riemerge, anche con toni accesi o conflittuali, che va avanti da tempo, perche’ – come e’ stato detto da piu’ parti – le femministe non sono state zitte ne’ tantomeno disattente.

Molte, fra le amiche e compagne piu’ convinte di me, hanno invece pensato che fossero discorsi fra le solite femministe snob ed elitarie, le teoriche che si tolgono dalla mischia. Ecco, penso che questo sia stato uno degli errori di quella giornata. Perche’ se e’ vero che c’era bisogno di riprendere parola pubblica – da questo punto di vista e’ stato un indubbio successo e sono contenta per chi ci ha creduto piu’ di me – dall’altro non si puo’ ingenuamente far passare la vulgata che basta la sciarpa bianca a creare il collante o che non fossero importanti i contenuti con cui si scendeva in piazza. Molti degli argomenti che ho sentito non mi appartenevano, mi erano distanti.

E’ stata una sensazione spiazzante, arrivare a Piazza del Popolo e sentir a pelle un forte senso d’estraneita’. Si’ certo, c’erano donne con cui condivido idee e politica da anni, sconosciute e giovani con le quali potrei avere molto da dire, ma ce n’erano altrettante con cui non condivido nulla oltre al visibile dato biologico o al fatto che come me non vogliono (o non vogliono ora) Berlusconi. Ecco, avrei preferito che si dicesse che era una piazza per mandare a casa il governo. In quel caso e considerato in che situazione versa il nostro paese, mi sarei fatta meno problemi a manifestare vicino a tante piccole Santanche’ o avrei potuto ascoltare con meno fastidio la lezioncina di etica di Bongiorno.

Altro e’ parlare di dignita’ delle donne. Anche perche’ cosi’ genericamente buttata la’ mi e’ sembrato un ennesimo discorso neutro, un pacato e sereno discorso politicamente corretto, di veltroniana memoria, lanciato da donne che si saranno pure stufate, o che finalmente avranno aperto gli occhi, ma che non hanno nulla da dire a chi da anni cerca di cambiare l’immaginario e le culture che nutrono la nostra societa’ sessista. Donne che non sono disposte ad ascoltare percorsi diversi dai loro, curioso soprattutto per le piu’ grandi che dal femminismo provengono.

L’appello era scritto con una lingua di fatto conservatrice che non e’ nel mio orizzonte, che non vorrebbe esserlo piu’, altrimenti ci si accontenta, e non si gode, nel senso di gioire per un desiderio che si avvera o una rivoluzione che si mette in moto davvero.

Ascoltando e leggendo la distinzione fra donne perbene e donne permale – anche questa minimizzata – o a sentir parlare di soglia della decenza superata, mi e’ tornato in mente quando nel 2007 si cerco’ di mettere su la “cosa rossa”. Anche allora mi chiesero, come giovane femminista precaria, cosa ne pensassi. Risposi che non sapevo che farmene, non mi piaceva il contenitore e non ne capivo i contenuti. Mi e’ accaduta la stessa cosa leggendo l’appello di “Se non ora quando”, ma la delusione e’ stata maggiore.

Perche’ da anni con tante altre donne lavoriamo per far passare i contenuti radicali che il femminismo ha consegnato anche a noi piu’ piccole, perche’ se accettiamo sempre la logica del male minore non andiamo da nessuna parte, perche’ se non alziamo noi la posta in gioco, resteremo intrappolate negli stessi stereotipi e pregiudizi che vorremmo combattere, perche’ di fatto a catalizzare la grande partecipazione al 13 e’ stato il messaggio – lanciato chiaro e forte – che ci sono delle donne che si sacrificano per la loro vita e quella della loro famiglia e altre che vendono il loro corpo e basta.

La realta’ e’ molto piu’ complessa e lo sappiamo. Mi rifiuto di mettere sullo stesso piano Minetti o Ruby, che usano la loro bellezza e il loro corpo per avere potere e denaro, e le donne che liberamente e senza pretesa alcuna usano il loro corpo diversamente da come vorrebbe la morale cattolica, borghese o moderatamente di sinistra. La Minetti o chi per lei equivale, per quanto mi riguarda, a tante altre donne che senza necessariamente prostituirsi agiscono potere sulle altre donne, fanno della femminilita’ un abito ambiguo e spesso autoritario.

Accettare di annullare le differenze anche fra noi donne, per una presunta causa di forza maggiore fosse anche il berlusconismo, rischia di creare un pensiero unico femminile che e’ molto pericoloso oltre a fare il paio con il pensiero maschile dominante.

Questi sono i motivi per cui il 13 febbraio non mi restera’ nel cuore. Ma sono ottimista e voglio sperare che dopo l’8 marzo, che non sfugge a retoriche sulla presunta femminilita’ e improbabile sorellanza o su sante alleanze di ogni tipo, venga un 6 maggio in cui a dominare sia il rosso e non il bianco. Perche’ se le piazze del 13 aderiranno allo sciopero generale e lo riempiranno di contenuti femministi davvero faremo un passetto avanti. Perche’ se si fermano le donne, davvero si ferma il paese. E ne avremmo tanto bisogno, per riprendere in mano il futuro nostro e di chi ci sta accanto.

NOTA

Ringraziamo Barbara Romagnoli (per contatti: barbara0romagnoli@gmail.com) per averci messo a disposizione questo suo intevrento apparso nel sito de “Il paese delle donne” (www.womenews.net/spip3/) l’8 marzo 2011 col titolo “13 febbraio: un confronto sottovalutato” e il sommario “Dopo l’8 marzo… spero che venga un 6 maggio in cui a dominare sia il rosso”.

Dal sito www.barbararomagnoli.info riprendiamo il seguente breve profilo: “Barbara Romagnoli e’ nata a Roma nel 1974, giornalista professionista dal 2004, aspirante apicoltrice. Attualmente collabora con Editori Laterza e la Iowa State University – College of Design, Rome Program. E’ laureata in filosofia con una tesi su “Louise du Neant: esperienza mistica e linguaggio del corpo”, da allora si interessa di studi di genere e femminismi, ha partecipato a seminari, incontri, workshop e convegni sulla storia e i movimenti politici delle donne in Italia e all’estero. Da diversi anni docente per corsi di formazione, fra cui “Indipendent Radio and Media” presso Novi Sad (Serbia) nell’ambito del progetto Radio Radionica, promosso da Cie e Radio Popolare Network. Dal 1999 al 2004 ha lavorato presso la rivista “Carta”, ha collaborato come freelance con varie testate (fra cui “Marea”, “BCC Magazine”, “Liberazione”, “Peacereporter”, “Amisnet”, “Carta”, “Aprile”, “Nigrizia”, “Left”, “La nuova ecologia”, “Confronti”, “em mondialita’”, “Noi donne”). Fra il 2002 e il 2005 e’ stata coordinatrice del progetto Radio Carta (magazine radiofonico settimanale distribuito a circa 25 radio su territorio nazionale). Ha lavorato come ufficio stampa per convegni ed eventi culturali (fra cui Eurovisioni 2007 e 2008, Parole per cambiare, parole per piacere – Fiera della piccola editoria, 2005) e presso l’ufficio stampa della Sottosegretaria ai Diritti e Pari Opportunita’, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (2007-2008). Ha vissuto due anni in Olanda a Leiden, dove ha imparato a convivere con il vento. Ha fatto parte per diversi anni del collettivo A/matrix con cui ha condiviso la passione per la politica, il femminismo e la buona tavola”

Redazione
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