Dal 20 agosto 1946: «Gli ammutinati di Santa Libera»

tratto dal libro di Marco Rossi «Ribelli senza congedo: rivolte partigiane dopo la Liberazione 1945-1947» (*)

RibeliSenzaCongedo-MarcoRossi

   Nessuno ebbe il presagio di che cosa potesse significare lo scatenarsi della guerra irregolare. Nessuno ha ben riflettuto sulle ripercussioni della vittoria del civile sul militare se un giorno il cittadino indossa l’uniforme, mentre il partigiano se la toglie, per continuare a combattere senza di essa. (Carl Schmitt, Teoria del partigiano)

Il ritorno in montagna era stata, dopo la Liberazione, una prospettiva più volte minacciata dal partigianato nei momenti di crisi attraversati dal movimento antifascista e divenuta una realtà occasionale per gruppi di partigiani, rimasti o tornati alla macchia più per disperazione che per scelta politica; come nel caso di una residuale formazione composta da una ventina di partigiani di Castelfranco Emilia. Questo gruppo, comprendente anche iscritti al Pci, aveva continuato ad operare pure dopo la Liberazione, colpendo collaborazionisti e possidenti. A seguito dell’isolamento politico e alla mancanza di prospettive rivoluzionarie, la piccola banda era passata al ribellismo sociale, praticando espropri per autofinanziarsi, facilmente derubricati come fenomeno di delinquenza comune. Nonostante qualche simile circoscritto precedente, fu nell’estate del 1946 che la protesta contro la mancata epurazione, la perdurante prigionia di partigiani incriminati per azioni compiute sotto l’occupazione nazifascista, ma anche per la non-concessione di provvedimenti legislativi ed economici in favore degli ex-internati nei campi di concentramento, giunse a trasformarsi in rivolta armata.

Il governo De Gasperi, peraltro, aveva accettato i massicci licenziamenti voluti dagli industriali, tanto che nelle settimane precedenti si erano verificati forti scioperi operai per adeguati aumenti salariali e tumulti contro il carovita e la disoccupazione, da Genova a San Severo.

La prima ribellione partigiana si verificò il 21 agosto 1946, nell’astigiano, non lontano dal territorio che durante la resistenza aveva visto la repubblica partigiana di Alba. A innescarla fu la destituzione del capitano della polizia ausiliaria, Carlo Lavagnino, dalla biografia alquanto movimentata, e in breve si sarebbe allargata in altre località del Piemonte, la regione che aveva conosciuto il più forte movimento partigiano (nota 61).

Dopo aver esercitato il mestiere di meccanico, Lavagnino era entrato nell’arma dei carabinieri nel 1936 e vi aveva militato col grado di vicebrigadiere a Trieste. Trasferito ad Asti, era entrato in contatto con la resistenza durante il periodo di Salò e per questo era stato arrestato dai fascisti e deportato in un campo di con- centramento a Lipsia. Evaso dalla prigionia era rientrato ad Asti e, dopo la Liberazione, si era arruolato nella polizia assieme ad altri partigiani, divenendo il comandante della Compagnia agenti della questura (nota 62).

Il prefetto di Asti aveva inizialmente proposto il trasferimento di Lavagnino, ma la direzione generale della Ps aveva deciso la sua destituzione da comandante della polizia della città, sostituendolo con un ex ufficiale della Polizia dell’Africa orientale, sulla base di motivazioni non univocamente accertate (nota 63).

Nel pomeriggio del 20 agosto, una trentina di poliziotti ex “garibaldini”, rifiutandosi di obbedire a un ufficiale con un passato fascista, iniziarono la sedizione in caserma contro tale misura.

Nei suoi Diari, Pietro Nenni annotò: «So che Lavagnino ha preso una jeep e un camion, ha caricato armi, munizioni e viveri, ha preso con sé ventisette dei suoi uomini e si è dato alla macchia».

Gli uomini facenti capo a Lavagnino – fotografato con indosso l’uniforme di poliziotto – dopo aver requisito tre camion a una ditta privata si diressero, con le armi individuali e di reparto, verso la montagna unendosi a una quarantina di partigiani già tornati operativi, senza clamore. Alcuni di loro facevano parte di un piccolo nucleo clandestino già organizzato da qualche mese con l’intenzione di “fare giustizia” dei fascisti di nuovo in circolazione, altri facevano capo al Circolo della Torretta, guidati da Aldo Sappa.

Sotto il comando di Armando Valpreda, già partigiano di Giustizia e Libertà in Valle Stura ed ex segretario dell’Anpi astigiano, nella notte tra il 20 e il 21 agosto i rivoltosi occuparono in armi il paese di Santa Libera, impervia frazione nel comune di Santo Stefano Belbo, situato tra le province di Cuneo e Asti, e in breve accorsero altri duecento tra partigiani, reduci ed ex internati, fra i quali anche una quarantina dalla Liguria.

Ai rivoltosi si aggregò anche il pluridecorato comandante garibaldino Giovanni Rocca, Primo, che avrebbe assunto un ruolo di primo piano nelle turbolente trattative con gli emissari dei partiti governativi (nota 64).

Il gruppo stabilì il suo quartier generale presso una torre diroccata in cima ad una collina da cui era possibile controllare il paese e tutta la vallata, mentre gli insorti si stabilivano in sette accampamenti. I partigiani disponevano di armi mai riconsegnate alle autorità e predisposero posti di blocco difesi da mitragliatrici.

Nel cuore della notte, giunto a Cuneo, il comandante Armando informò il questore che «né lui né i suoi uomini, pur essendo armati, avevano intenzioni offensive, ma che non avrebbero desistito dal loro atteggiamento fino a quando le rivendicazioni partigiane non fossero state esaudite».

L’autorganizzazione logistica seguiva le modalità sperimentate in tempo di guerra; i viveri vennero prelevati da magazzini militari o regolarmente acquistati presso gli agricoltori della zona. In occasione di un rifornimento di 100 litri di benzina, pagata a prezzo di assegnazione, il Comando del 1° Gruppo partigiani insorti rilasciò al proprietario dichiarazione sottoscritta da Armando.

Attraverso l’affissione di un manifesto murale, si rivolsero alla popolazione per spiegare la decisione di riprendere le armi, mentre il neonato Comitato generale partigiani rivoluzionari rese noti alla stampa gli obiettivi della ribellione che, pur andando ben oltre l’ambito della vertenza Lavagnino, certo non potevano essere considerati come rivoluzionari (nota 65):

  1. sia costituito un corpo unico di polizia;
  2. siano destituiti i funzionari compromessi col passato regime;
  3. siano assunti al lavoro i reduci ex partigiani ed internati, senza limiti di percentuali;
  4. sia mantenuto il blocco dei licenziamenti;
  5. sia abrogata la legge sull’amnistia.

Altre rivendicazioni, più marcatamente politiche, erano la soppressione del partito dell’Uomo Qualunque, la messa fuorilegge dei fascisti e il controllo dal basso dell’operato dei prefetti.

In pochi giorni la sollevazione partita dalle Langhe risultava in rapida estensione, a partire dal Piemonte, dove mantenevano una certa rilevanza le presenze fortemente antagoniste e classiste dei gruppi partigiani di Stella Rossa in Val Susa e in Val di Lanzo; degli anarchici che avevano partecipato alla resistenza oltre che nel capoluogo, anche nelle Langhe, in Val d’Ossola e in Val Pellice; dei comunisti internazionalisti che si richiamavano alle posizioni di Amadeo Bordiga, ad Asti, Casale Monferrato e Torino (nota 66).

Anche lo stesso Pci astigiano, nel periodo resistenziale, aveva assunto e veicolato posizioni fortemente classiste, come avvalora quanto leggibile su un’edizione locale de «l’Unità» (nota 67):

Nessun parassita deve più pretendere, com’è sempre avvenuto e avviene tutt’oggi, che altri lavorino per lui. Lo scandaloso sistema borghese di trattare i lavoratori a pedate e la mostruosa pretesa fascista che impone agli operai di lavorare e tacere devono essere cancellati dalla faccia della terra.

Sui monti di Asti si raccolsero alcune centinaia di partigiani, provenienti anche dalla Liguria, mentre a partire da Cuneo altre bande stavano ridandosi alla macchia con le armi mai riconsegnate alle autorità, oltre che in Piemonte, anche in Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana.

Inizialmente, la reazione ufficiale del Pci sembrò dimostrare una certa comprensione, ben conoscendo la larga condivisione anche tra i suoi militanti delle ragioni della sommossa. Come corrispondente dell’organo del partito «l’Unità» venne inviato sul posto Raffaele Vallone (poi noto come attore col nome di Raf Vallone) e, sull’edizione del 24 agosto, comparve un articolo del seguente tenore:

la loro disperazione nasce da una metodica distruzione delle loro speranze e degli ideali per i quali hanno, dopo l’8 settembre, impugnato le armi. Sono i primi a compiere questo gesto: ma quel gesto ha dei rapporti profondi con la realtà generale. E’ quindi inutile voler limitare la sua portata a un atteggiamento inconsiderato e arbitrario di un gruppo isolato. A quel gesto ieri hanno idealmente sottoscritto milioni di lavoratori, migliaia di partigiani.

Analogo il tenore delle corrispondenze firmate da Gino Apostolo per la testata socialista «Sempre Avanti».

Fin dal primo giorno della sedizione, il Ministro dell’interno ordinò l’invio sul posto di un battaglione di fanteria, con mortai e cannoni, alle direttive del colonnello Quaranta, comandante della Divisione di Ps in Piemonte; mentre il prefetto di Cuneo, su indicazione del governo, avviava una trattativa con gli insorti.

Il governo De Gasperi, dopo aver fatto circondare la zona, scelse infatti una linea improntata alla cautela, raccomandando ai prefetti di Asti e Cuneo di evitare conflitti a fuoco con i partigiani, la cui forza intanto era nel frattempo salita a 400 unità, tutti in qualche modo armati.

Per mediare con gli insorti, a Santa Libera giunsero in processione numerose personalità socialiste, comuniste e della resistenza, tra cui Felice Platone, sindaco di Asti di stretta osservanza togliattiana; Davide Lajolo, redattore capo de «l’Unità», col vicesegretario nazionale del Pci Pietro Secchia; l’ex prefetto Rossoni e vari esponenti partigiani, tra i quali Cino Moscatelli, leggendario comandante della Val Sesia (nota 68). Salì a Santa Libera anche Enzo Giacchero, esponente della Dc di Asti, che riportò «la netta impressione che il caso Lavagnino non fosse altro che una parte occasionale di un movimento decisamente politico».

L’eventualità di una rapida estensione dell’insorgenza partigiana era peraltro fondata e appoggiata dai settori più radicali della resistenza. Delegazioni di gruppi partigiani avevano già incontrato gli insorti e numerose sezioni della stessa Anpi, seppur con toni diversi, stavano attestando la loro solidarietà agli insorti attraverso comunicati, telegrammi e manifesti (nota 69).

Pietro Nenni, vice-presidente del Consiglio, infatti osservava «la vicenda si è complicata perché con gli ammutinati hanno fatto causa comune partigiani della Liguria, del Piemonte, della Lombardia».

A Santa Libera la trattativa conseguì un primo risultato dato che il 23 agosto i poliziotti solidali con Lavagnino rientrarono in caserma, consegnando il loro armamento con l’assicurazione di non subire procedimenti penali o disciplinari; allo stesso Lavagnino, in seguito, sarebbero stati assicurati la difesa legale e un posto di lavoro in un ufficio pubblico.

La maggioranza dei partigiani confermava però la sua determinazione. Il 24 agosto, una delegazione guidata dal comandante Rocca s’incontrò a Roma con Nenni che assicurò l’accoglimento delle rivendicazioni da parte del governo, ormai preoccupato dai rapporti dei prefetti che segnalavano una rapida propagazione della rivolta. Ancor prima che il governo deliberasse in proposito, il 27 seguente il presidio di Santa Libera avviò lo scioglimento, anche nella convinzione di una promessa impunità (nota 70).

Mentre, come è possibile intuire, i ribelli liguri si trattennero ancora alcuni giorni, gli astigiani consegnarono le armi al maggiore della polizia ausiliaria Romiti e, dopo aver ripassato il Tanaro, fecero rientro in città tra le festose dimostrazioni popolari e salutati dai discorsi di Rocca, Moscatelli e del socialista Passoni, ex prefetto di Torino.

NOTE

  1. Sulla rivolta presso l’Archivio dell’Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea in provincia di Asti esiste un Fondo Santa Libera con numerosi documenti.
  2. Secondo alcune fonti, Lavagnino avrebbe pure preso parte direttamente alla lotta partigiana, con un ruolo di comando, all’interno di una brigata Garibaldi; ma la ricostruzione cronologica della sua biografia sembra escludere tale circostanza.
  3. Secondo un rapporto della Prefettura di Cuneo il provvedimento era stato emesso a seguito della partecipazione di Lavagnino ad un linciaggio avvenuto ad Asti ai danni di un fascista scarcerato per effetto dell’amnistia; secondo altre fonti alcuni ausiliari di polizia erano risultati coinvolti in una rapina, mentre altre riferiscono di una presunta irregolarità amministrativa riguardante il titolo di studio dichiarato da Lavagnino a sostegno della sua nomina a capitano.
  1. Cfr. Giovanni ROCCA (Primo), Un esercito di straccioni al servizio della Libertà, S. Stefano Belbo (CN), 1984, e G. ROCCA, I ribelli di Santa Libera, su «l’Unità» del 31 agosto 1996. L’intransigente figura di Rocca sarà in seguito tratteggiata, non benevolmente, da Davide LAJOLO in Il “voltagabbana”, Milano, 1963.
  2. Da articolo di cronaca pubblicato su «La Nuova Stampa» del 23 agosto 1946.
  3. Cfr. Arturo PEREGALLI, L’altra resistenza, Genova, 1991.
  4. Dall’articolo Linee programmatiche generali del Partito Comunista, su «l’Unità» del 15 ottobre 1944.
  5. «Togliatti mi ha spedito su con un aereo militare, in prefettura. Lì mi sono trovato con Rocca e di lì in macchina fino a Canelli e Alessandria e Asti. Poi a Santa Libera. Volevano pestarmi. […] Alla fine sono riuscito a portarli giù con la garanzia della polizia di Alessandria e Asti […]. Ma c’era tensione: Rocca aveva una patacca sul petto, e io indicandola per fare una battuta ho allungato la mano verso di lui: ha tirato immediatamente fuori la pistola e me l’ha puntata» (Testimonianza di Vincenzo Moscatelli, in Liliana LANZARDO, Personalità operaia e coscienza di classe. Cattolici e comunisti nelle fabbriche torinesi del dopoguerra, Milano, 1989).
  6. Dimostrazioni di solidarietà dell’associazionismo partigiano, oltre che dall’astigiano, giunsero da: Biella (Vc), Valle Mosso (Vc), Novara, Domodossola (No), Briga (No), Ivrea (To), Sanremo (Im), Savona, Mantova, Pavia, Vigevano (Pv), Piacenza, Alta Valle Camonica (Bs), Trento, Bolzano, Verona, Padova, Treviso, Chioggia (Ve), Buia (Ud), Ferrara, Poggio Renatico (Fe), Bologna, Parma, Borgo Val di Taro (Pr), Viareggio (Lu), Perugia, Serra San Quirico (An), Macerata, Foggia, Roccella Ionica (Rc). Da segnalare anche un telegramma inviato dall’Anpi, sezione di Rossano, ma la cui provincia potrebbe essere sia Vicenza, Massa-Carrara o Cosenza.
  7. In realtà, in seguito, la repressione poliziesca avrebbe portato in carcere Giovanni Rocca, Battista Reggio e Armando Valpreda, poi espatriato in Cecoslovacchia.

(*) «Ribelli senza congedo: rivolte partigiane dopo la Liberazione 1945-1947» è stato edito da Zero in condotta (www.zeroincondotta.org). Un gran bel libro che si chiude con «Senza congedo», una poesia di Dante Strona, partigiano biellese: «Resistenza non fu soltanto / vent’anni e un fucile: / i compagni di scuola appesi / ai pali della via / e le troppe croci / senza sudario di bandiere. / Resistenza è rimanere / negli anni con il cuore / di allora: è gettare / un ponte sull’abisso / del livore, credere nell’uomo / libero, con atto d’amore. / E’ dare, senza nulla chiedere: / anche la vita/ perché un bimbo non abbia fame».

Come sa chi frequenta il blog/bottega per due anni ogni giorno – dall’11 gennaio 2013 all’11 gennaio 2015 – la piccola redazione ha offerto (salvo un paio di volte per contrattempi quasi catastrofici) una «scor-data» che in alcune occasioni raddoppiava o triplicava: appariva dopo la mezzanotte, postata con 24 ore di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; ma qualche volta i temi erano più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi.
Tanti i temi. Molte le firme (non abbastanza probabilmente per un simile impegno quotidiano). Assai diversi gli stili e le scelte; a volte post brevi e magari solo una citazione, una foto, un disegno… Ovviamente non sempre siamo stati soddisfatti a pieno del nostro lavoro. Se non si vuole copiare Wikipedia – e noi lo abbiamo evitato 99 volte su 100 – c’è un lavoro (duro pur se piacevole) da fare e talora ci sono mancate le competenze, le fantasie o le ore necessarie.

Abbiamo deciso – dall’11 gennaio 2015 che coincide con altri cambiamenti del blog, ora “bottega” – di prenderci un anno sabbatico, insomma un poco di riposo, per le «scor-date». Se però qualche “stakanovista” (fra noi o all’esterno) sentirà il bisogno di proporre una nuova «scor-data» ovviamente troverà posto in blog; la redazione però non le programmerà.

Nell’anno di intervallo magari cercheremo di realizzare il primo libro (sia e-book che cartaceo?) delle nostre «scor-date», un progetto al quale abbiamo lavorato fra parecchie difficoltà che per ora non siamo riusciti a superare. Ma su questa impresa vi aggiorneremo.

Però…

(c’è quasi sempre un però)

visto il “buco” e viste le proteste (la più bella: «e io che faccio a mezzanotte e dintorni?» simpaticamente firmata Thelonius Monk) abbiamo deciso di offrire comunque un piccolo servizio, cioè di linkare le due – o più – «scor-date» del giorno, già apparse in blog.

Speriamo siano di gradimento a chi passa di qui: buone letture o riletture

La redazione (in ordine alfabetico): Alessandro, Alexik, Andrea, Barbara, Clelia, Daniela, Daniele, David, Donata, Energu, Fabio 1 e Fabio 2, Fabrizio, Francesco, Franco, Gianluca, Giorgio, Giulia, Ignazio, Karim, Luca, Marco, Mariuccia, Massimo, Mauro Antonio, Pabuda, Remo, “Rom Vunner”, Santa, Valentina e ora anche Riccardo e Pietro.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • ASEGLIO GIANLUIGI

    La storia e un po falsata chi entro nella questura di asti disarmando i polizziotti fu mio padre ASEGLIO SECONDO none di battaglia Fulmine con altei 3 partigiani tra cui VALPREDA.Lavagnino si astenne per non esporsi con altei polizziotti che lo seguirono. Per quanto riguarda PRIMO ROCCA pluridecorato si dovrebbe apporofondire il merito delle decorazioni altri meritavano decorazioni che non hanno avuto perchè nonComunisti. Poi la figura di ROCCA ERA ABBASTANZA AMBIGUA fate ricerche approfondite. Ma ormai i testimoni saranno tutti morti visto l’eta.Mio padre e stato ferito in conbattimento e era vice comandanre del famoso partigiani delle LANGHE LULU’ poi nelle firmazioni GL E STATO UN EROE NELL’OMBRA COME TANTI MA LA STORIA CA SCRITTA BENE…..IERI COME OGGI NON E CAMBIATO NIENTE LA MERITROCAZIA SOLO OER POCHI RACCOMANDATI E NULLA PER I MOLTI EROI. A DISPOSIZIONE. ISPETTORE SUPERIORE DELLA POLIZIA DI STATO ASEGLIO GIANLUIGI COMANDANTE POSTO POLIZIA FERROVIARIA DI ASTI ‘ GRAZIE A MIO PADRE E A TUTTI I PARTIGIANI NON DECORATI E CADUTI Per QUESTA REPUBBLICA ormai non piu DEMOCRAZIA.

  • La storia di Lavagnino e’ molto diversa. Nonostante il suo trasferimento fu l’innesco ad una situazione gia’ incandescente tra gli ex partigiani che deploravano l’amnistia di Togliatti e le mancate promesse del dopoguerra, Lavagnino ebbe il trasferimento perche’ aveva falsificato il diploma per ottenere l’incarico nella questura di Asti. Innanzitutto era un fascista repubblichino, aveva ucciso a Trieste il suo comandante, e dal 44-45 opera con l’Ovra in provincia di Asti. Nell’ultima fase della guerra di liberazione venne catturato dal Comandante Rocca e in cambio della vita decise di fare il doppio gioco. Tutto questo è riportato nel libro della Lajolo e in quello di Alice Diacono “S. Libera storia di un insurrezione armata” 2018.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *