Debray, Fédorovski, Luciani, Naspini, e i duetti Carofiglio-Rosatelli e Tertrais-Papin

6 recensioni di Valerio Calzolaio

Gianrico Carofiglio (con Jacopo Rosatelli)

«Con i piedi nel fango. Conversazioni su politica e verità»

Edizioni GruppoAbele

110 pagine, 11 euro

Italia. Discorsi pubblici. Fra l’estate e l’autunno del 2017 l’insegnante e ricercatore politico Jacopo Rosatelli (Torino, 1981) ha conversato con Gianrico Carofiglio, sollecitando risposte e riflessioni su argomenti connessi al fare politica. Carofiglio ha suggerito di iniziare da Gramsci, dall’invettiva lanciata esattamente un secolo prima dalle pagine del periodico socialista “La città futura” (era il febbraio 1917, l’Italia era in guerra), contestando sia chi rifiuta ogni impegno (allora come ora) sia chi pratica con attivismo vuoto e nevrotico solo il rancore (oggi patologicamente). Si susseguono continue rapide domande e risposte argomentate ma concise, appunti scintille pizzicotti, che molto spesso prendono spunto dalla citazione del passo rilevante o della parola-chiave di una singola personalità, acquisita da un romanzo o saggio o intervento che sia. Non si tratta di un saggio organico o di un trattato sistematico, piuttosto di un breviario con al centro la comunicazione politica, più o meno fattiva e chiara, articolato in quattro parti: indifferenza e rancore; menzogna e manipolazione; verità, sostantivo plurale; le parole e le storie. Il titolo deriva da un noto aforisma di Orwell (connesso pure alla frase di don Mazzolari e don Milani) sulla distinzione fra politici utopisti e politici realisti e sul camminare nel fango (o sullo sporcarsi le mani) per raggiungere l’obiettivo enunciato. L’intento non è informativo o filologico; in fondo al testo appare un’esauriente bibliografia con le fonti dei volumi citati, capitolo per capitolo, in ordine di apparizione. Le conversazioni sono state rielaborate e curate prima delle elezioni politiche italiane del 2018, il volume è tuttavia uscito subito il loro svolgimento. Come “tradurlo” per commentare gli sconvolgenti (non sorprendenti) risultati elettorali del 4 marzo spetterà dunque ai lettori, in particolare a quelli impegnati a gestire o fronteggiare il quadro politico assolutamente inedito e complesso della nuova fase.

Nel settembre 2015 Carofiglio (Bari, 1961) – da quindici anni uno dei migliori scrittori italiani, ex magistrato ed ex senatore – pubblicò con meritato successo “Con parole precise. Breviario di scrittura civile” (Laterza). Riprende e approfondisce ora gli stessi argomenti in un piccolo volume (non a caso edito dal Gruppo Abele) chiarendo che chi «guarda il mondo da sinistra» non può che arricchirsi di tanti altri punti di vista. Si dice convinto «che la storia si muova verso il progresso e che rispetto a questo progresso l’azione consapevole degli individui e delle collettività sia fondamentale, e dunque doverosa». Critica perciò chi si astiene (anche dal voto) e chi aborrisce il compromesso («pratica sana e… imprescindibile»). E fa ruotare tutto intorno al concetto di verità, pure rispetto agli errori che inevitabilmente si fanno. Spiega i quattro rigorosi precetti toltechi, per poi poter vivere la politica «con la giusta dose di distacco e anche di allegria»; in sostanza, essere seri ma non prendersi sul serio (richiamando implicitamente il pensiero ironico) e combattere di continuo l’ipertrofia dell’ego per cui ci si immedesima con la funzione, la carica, il ruolo. Molto spazio è dedicato alle notizie false (sempre esistite), ma anche al troppo “latinorum”, al principio isomorfico (non così definito) nella relazione fra il dire e il fare, alla distinzione fra privilegi ingiusti e legittime prerogative, al principio di responsabilità, all’ecologia del dialogo gentile, sempre con uso accorto e meditato delle parole perché la verità è plurale. Nel lessico necessario inserisce simbolicamente giustizia ribellione bellezza scelta speranza, e insiste molto sul declinare i propri (radicali) valori con storie ed emozioni, capaci di parlare a tutti i sensi e a quante più possibili motivazioni di individui e collettivi.

 

Vladimir Fédorovski

«Putin segreto»

traduzione di Barbara Sancin

Edizioni del Capricorno

224 pagine, 18 euro

Russia e Urss. Putin è stato rieletto nel marzo 2018. Dopo Gorbaciov (1985-1991), dopo la fine dell’URSS, dopo Eltsin (1991-2000), in Russia e nella grande zona d’influenza russa il capo è lui da vent’anni e forse molto ancora. Vladimir Fédorovski (Mosca, 1950) è stato un diplomatico sovietico (nella perestroika) e vive da tempo in Francia, avendo confermato lì doti di narrazione geopolitica. Il suo recente saggio “Putin segreto” non è una vera e propria biografia, l’autore ha conosciuto il leader russo, ricostruisce infanzia (a Leningrado) famiglia studi interessi carriera, intrecciando informazioni e contesto. L’idea è che Putin riabiliti i retaggi storici, russo zarista (di oltre due secoli) e sovietico stalinista (di oltre settanta anni), valendosi della polizia segreta (come nei regimi totalitari), il KGB, e del controllo dell’informazione. Ne vien fuori un dettagliato realistico resoconto diplomatico (con note bio dei personaggi, cronologia e bibliografia finali).

 

Massimo Luciani

«Lo sguardo profondo. Leopardi, la politica, l’Italia»

Mucchi

132 pagine, 13 euro

Recanati e Italia. 1798-1837. Ormai conosciamo abbastanza bene vita e opere di Giacomo Leopardi. Quel che continua a stupire è la vitalità contemporanea dei suoi testi letterari e delle sue riflessioni culturali, anche rispetto a discipline e argomenti meno indagati, come il diritto e le forme di governo (non solo la politica). Il crivello leopardiano ha saputo separare attentamente la liquidità contingente dalla permanente solidità dei processi storici, in particolare guardando a fondo nella psicologia degli italiani e cogliendo con lucidità e freschezza le correnti carsiche che percorrono la storia del nostro Paese. Leopardi mette sempre in guardia contro l’illusione che i governi possano dare agli uomini la felicità, pur consapevole che l’inutilità della politica non è maggiore né diversa dall’inutilità della vita e di tutte le cose umane in generale. Al centro del suo pensiero si colloca il concetto dell’illusione, delle illusioni, maggiori e più fertili (foriere di immaginazione) nello stato di fanciullezza, del singolo e della comunità politica, sempre e comunque essenziali per la sopravvivenza individuale e per la tenuta dei legami sociali. Essendo materialismo, empirismo, scetticismo, non cognitivismo, relativismo i tratti fondamentali della sua “filosofia”, per il poeta recanatese è il sistema delle illusioni che aiuta a farci sopportare il destino umano e a conservare le comunità politiche. Molto si è discusso se qualche spunto innovativo degli ultimi anni (di contro alla “natura” unicamente il sodalizio degli uomini può servire di difesa, per tutti e per ciascuno) contrasti le opinioni precedenti; più probabilmente le completa, problematizzandole ulteriormente. Ciò riguarda anche l’apprezzamento per le forme di governo segnate dall’appartenenza del potere alla nazione, una (meno imperfetta) società “mezzana” che asseconda la brama umana di felicità e assicura la massima varietà delle personalità (una uguaglianza almeno di mezzi e di opportunità).

Il grande costituzionalista Massimo Luciani (Roma, 1952) quasi una decina di anni fa introdusse un seminario a porte chiuse su Leopardi politico, poi apparso fra il 2010 e il 2012 in varie riviste e volumi collettanei. Il bel testo esce ora in modo autonomo (formato snello e tascabile) con ampia ricca prefazione e titolo nuovo. I paragrafi centrali erano sei, i primi tre sulle premesse antropologiche e le cruciali illusioni nel pensiero leopardiano, i successivi più specifici su argomenti giuridici (la dottrina delle forme di governo, la critica all’universalismo e al cosmopolitismo e la figura del nemico, la questione dell’Italia), tutti di non semplice (ma molto interessante) lettura per virgolettati, rimandi, parentesi. Le considerazioni supplementari riflettono ancora sulla capacità leopardiana di indagine storica stratigrafica (oltre gli eventi individuali) e approfondiscono due aspetti: universalismo e linguaggio. L’avversione al cosmopolitismo non era ideologica o aprioristica, ma logica e razionale, espressa col tradizionale angosciato disincanto. Il nesso di causalità va dalla società e dalla politica alla letteratura e all’espressione linguistica. Luciani offre continue frequenti citazioni di Leopardi sui vari temi trattati, prima di esaminare con acume e coerenza una parte delle interpretazioni critiche che già li avevano valutati. Denso è l’apparato di note, dal quale emerge una bibliografia selezionata ed essenziale. Interessanti i riferimenti al nesso fra parole e cose e alla xenofobia. Forse è un poco sottovalutato il retroterra scientifico nella filosofia e nella poesia di un piccolo gobbo sommo pensante, che molto amò la scienza e la laica coscienza della propria finitezza, per arrivare a definire uno scientifico poetico relativismo, contro la pretesa assolutezza di qualsiasi dottrina, anche religiosa.

 

Régis Debray

«Elogio delle frontiere»

traduzione e postfazione di Gian Luca Favetto

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94 pagine, 12 euro

1991-2010. 27.000 km di nuove frontiere. Il futuro resterà loro, disse controcorrente il noto intellettuale francese Régis Debray (Parigi, 1940) in una conferenza del 2010 a Tokio. La frontiera è «un’assurdità necessaria e inevitabile», inutile illudersi di poterne fare a meno. Il testo erudito e stimolante (per quanto provocatorio e talora discutibile) fu pubblicato in volume come “Elogio delle frontiere”: visto che non si poteva (almeno dal neolitico), può e potrà eliminare “frontiere” tanto vale approfondire perché ed evitarne significati e funzioni di definitiva separazione fra umani sapienti. Opportunamente l’autore segnala che le barriere naturali diventano “frontiera” attraverso un atto di registrazione solenne, serve il diritto, sia interno che internazionale. E riconoscerla significa conoscere pure chi sta di fronte. Anche per chi difende diritti universali e intende la priorità degli equilibri ecologici non può prescindere dall’affrontare gli argomenti illustrati.

 

Sacha Naspini

«Le case del malcontento»

Edizioni E/O

462 pagine per 18,50 euro

Entroterra maremmano, Le Case. Lenti decenni contemporanei. È un borgo millenario, piccolo, scavato nella roccia, una ventina di case a destra e sinistra della via di mezzo, tra la Piazza del mercato e la Torre dell’Orologio, una chiesa, un paio di bar, una bottega, la tabaccheria, l’albergo. Una 25ina degli uomini e donne che vi vivono si trovano a raccontare (ciascuno in prima persona) parte di sé e degli altri, solo Adele Centini più volte, nata nel 1941, padre sparito nella campagna di Grecia, radiosa e bellissima, prima illibata fidanzata del vecchio vedovo possidente colonnello Isastia (il sesso si scopre con l’autista), dopo “vedova”. Ma è terra di scosse terremoti, geomorfologici ed emotivi. Una svolta per tutti avviene con il ritorno del bel Samuele Radi, che vi era nato e cresciuto, per poi fuggire. Trame, segreti, disgrazie, disastri, amori, crimini si accavallano e intrecciano in tutte “Le case del malcontento”, nuovo bel romanzo corale di Sacha Naspini (Grosseto, 1976).

 

Bruno Tertrais e Delphine Papin

«Atlante delle frontiere. Muri, conflitti, migrazioni»

traduzione e postfazione Marco Aime

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144 pagine, 25 euro

Al confine di ogni luogo. Oggi e domani. Da sempre un limite geografico – linea o spazio – riflette le relazioni tra due gruppi umani, uno di qua, uno (almeno uno) di là, noi e gli altri, divisi e vicini. Nel corso della loro storia i gruppi umani geograficamente distribuiti sono divenuti popoli e civiltà, infine (finora) Stati, separati da frontiere. Oggi tutto il mondo umano è diviso per Stati (193). A creare le frontiere terrestri sono state guerre (in più di cento casi), annessioni e secessioni. Soltanto una cinquantina sono gli Stati nati da una secessione (indipendenza) pacifica, divisioni consensuali o relazioni di buon vicinato o arbitrati internazionali. Circa nel 55% dei casi sono state scelte frontiere un poco anche “naturali” (montagne, supporti idrografici o orografici), le altre sono tutte “artificiali”, il 25% come linee dritte, mentre talvolta seguono meridiani o parallele. Più “fluido” è il discorso sulle frontiere marittime. Fra naturali e artificiali non c’è significativa differenza di complessità, arbitrarietà, ingiustizia, contestazioni; comunque all’interno non rimane praticamente mai solo un’etnia e solo un gruppo linguistico (esistono inevitabilmente sempre meticciati genetici e culturali). Nel complesso, le frontiere terrestri esistenti sono 323 su circa 250.000 km, cento in Europa per 37.000 km. Il passaggio non è proibito (anzi, l’articolo 13 della Dichiarazione Universale dice che andrebbe considerato “libero” per ogni individuo), passare il confine è e deve essere regolamentato da entrambi gli Stati, pure in modo differente, senza obbligatoria reciprocità. I muri servono a impedirlo, trasformano la frontiera in dogana nei pochi interstizi; a seconda delle definizioni e dei metodi di calcolo rappresentano fra il 3% e il 18% delle frontiere; molti altri se ne stanno costruendo. Resta in sospeso il rapporto fra frontiere umane ed ecosistemi (anche) umani: lo stesso inevitabile antropocentrismo ha qualche limite!

Attenzione, ecco un libro “documentario” da sfogliare, leggere, consultare, garantendone una copia alle biblioteche pubbliche! Solo gli ecosistemi umani hanno confini o frontiere (quasi sinonimi). Da un certo momento in poi la nostra specie ha delimitato i luoghi, ha concepito (tracciato) una convenzione mentale, con molte funzioni pratiche e sociali: difesa del territorio, riscossione delle imposte, amministrazione, condizionamento per uscite e entrate, anti-immigrazione. In un bellissimo libro due bravi studiosi francesi, i geopolitologi Bruno Tertrais e Delphine Papin, fanno un meticoloso punto sulle frontiere. Traduzione e prefazione (colta) sono dell’antropologo Marco Aime (Torino, 1956) che ben sottolinea altre efficaci frontiere meno visibili: culturali, religiose, etniche, linguistiche, quasi mai coincidenti con quelle internazionali; e offre spunti e riferimenti per affrontare la domanda cruciale: è il confine a creare la diversità o, al contrario, è quest’ultima a far nascere un confine? Comunque sia (nel tempo e nello spazio), le frontiere sono fatte per essere superate, la storia dell’umanità è una storia di contrabbando. L’atlante è distinto in sei capitoli di argomenti: parte dalle frontiere ereditate (storiche) e invisibili (non fisiche, a esempio quelle culturali e marittime), ragiona su muri e migrazioni, indica casi specifici di sorprendente curiosità (Guantanamo, Cooch Behar, Baerle, Nagorno Karabakh) e di brucianti controversie (Gerusalemme e molto altro), conclude indicando “il roseo futuro delle frontiere”, non un auspicio, piuttosto un dato di fatto. Il bello è la splendida cartografia tematizzata che impreziosisce i sei concisi testi giornalistici, in modo di visualizzare la lettura: 41 tavole o mappe, precise e dettagliate, ciascuna con ulteriori disegni, dati, comparazioni, tabelle, definizioni, per una comprensione aiutata dal grande formato e da un eccelso lavoro grafico. Adeguata selezionata bibliografia.

 

Redazione
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