«Dio, Patria e Famiglia», un filo nero…

dentro la globalizzazione

di Luca Kocci (*)

C’è un sottile filo nero, simile alla corona di un rosario, che unisce Trump, Bolsonaro, Le Pen, Salvini, Orban e Putin: l’ossimoro di un cristianesimo integralista svuotato dal Vangelo e trasformato in una religione civile nazionalista, che non proclama la fraternità e la liberazione annunciate da Gesù di Nazareth, ma urla le parole d’ordine «Dio, Patria e Famiglia», come cemento identitario in tempi di globalizzazione, migrazioni e multiculturalismo.

Un programma politico-culturale, con un armamentario di simboli (crocefissi, rosari, statue mariane), che accomuna i leader della destra populista, in un progetto di reconquista all’odore di incenso ma privo di fede. Una strategia transnazionale figlia dello spirito del tempo più che di un reale coordinamento, sebbene ci siano ideologi itineranti fra l’Atlantico e l’Europa e gerarchi ecclesiastici che però devono fare i conti con un pontefice il cui magistero sociale e la cui prassi pastorale remano di direzione opposta.

È la tesi illustrata in «Dio? In fondo a destra. Perche i populisti sfruttano il cristianesimo» (Emi: pp. 144, euro 13) di Iacopo Scaramuzzi, vaticanista di Askanews. Un viaggio che comincia nel 1917, anno delle apparizioni di Fatima, negli anni trenta trasformata in Madonna anticomunista (la Russia sovietica «si convertirà»), vittoriosa grazie alla consacrazione al suo «Cuore immacolato». E in questa veste è utilizzata ancora oggi.

Da Salvini – ma il suggeritore è l’ultracattolico senatore Lorenzo Fontana, ex ministro della Famiglia nel governo gialloverde di Conte – che non si separa mai, perlomeno a favore di telecamere, dal proprio rosario tascabile e più volte ha affidato se stesso e l’Italia tutta al «Cuore immacolato di Maria».

Da Bolsonaro, che un anno fa ha consacrato, pure lui, il Brasile al «Cuore immacolato di Maria», ma non la Madonna nera di Aparecida (patrona nazionale) bensì quella di Fatima, bianca e soprattutto anticomunista. Anche se poi, lo stesso Bolsonaro, partecipa pure ai riti degli evangelicali, sempre più numerosi e influenti in Brasile, portatori di un programma rigidamente conservatore (no aborto, no nozze gay, no gender).

Da Orban, che insieme ad altri leader della destra internazionale e al cardinale Joseph Zen (acerrimo nemico degli accordi Cina-Vaticano) nel settembre 2019 si è recato proprio a Fatima per un pellegrinaggio organizzato dall’International catholic legislator network, una sorta di «Internazionale integralista».

Al di là dell’Atlantico, lato nord, c’è Trump e, perlomeno fino al suo allontanamento dalla Casa Bianca, il suo ideologo teocon di fiducia, Steve Bannon, il «patrono» dell’operazione che punta a installare nella certosa di Trisulti l’Accademia dell’Occidente giudaico-cristiano, «una scuola di gladiatori di destra, i soldati delle prossime guerre culturali che dovranno difendere l’Occidente», secondo la definizione dello stesso Bannon, amico anche di Salvini, Orban e delle Le Pen. Trump intercetta le ansie della destra cristiana, che prima sosteneva il Tea party e ora lo vota in blocco, considerandolo l’ultima possibilità di invertire la tendenza del cambiamento culturale ed economico del Paese dopo gli anni di Obama. L’unico capace di ricostruire quella America bianca e cristiana, cara a parte dell’episcopato cattolico Usa ma anche a molti pastori protestanti, in una sorta di «ecumenismo dell’odio», come hanno ben sintetizzato sulla Civiltà Cattolica il gesuita Antonio Spadaro e il presbiteriano Marcelo Figueroa.

L’amico-nemico Putin non è da meno. A Mosca l’ideologo di fiducia si chiama Alexander Dugin (due anni fa ospite romano dei fascisti di CasaPound per parlare dello scontro apocalittico fra globalismo e populismo) e la Chiesa non è quella cattolica ma quella ortodossa del patriarca Kirill, informatore del Kgb ai tempi in cui Putin lo guidava, e oggi, insieme al presidente russo, difensore dei valori tradizionali contro i nuovi diritti civili, a cominciare da quelli rivendicati dai gay.

«Da Roma a Washington, da Mosca a Parigi, da Budapest a Brasilia… il modus operandi è lo stesso, la narrativa è la stessa, ricorrono gli stessi nemici, le stesse contrapposizioni» scrive Scaramuzzi. E i nuovi populisti di destra, insieme ai loro sacerdoti, «attingendo nel gran calderone della storia della Chiesa, dove abbondano guerre di religione e crociate, condanne agli infedeli e scomuniche agli eretici, controllo sociale e conservatorismo, usano il sacro per marcare territori, distinguere nemici, sradicare le diversità».

(*) recensione uscta anche sul quotidiano «il manifesto»

 

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