Domenica è sempre domenica: «Una questione privata» (è il caso di dirlo)

di Fabio Troncarelli

 

La “bottega” si pregia di avvisarvi che molte parole o frasi sono in romanesco (dunque patrimonio dell’Unesco che fa pure rima):  le più insolite – cioè quasi sconosciute sopra l’Arno – sono state corsivate per “sviare” i correttori (coretori) automatici [db]

E’ domenica. Annamo ar cinema? Vedemo su Internet. Cinema a Roma… «Gli sdraiati» da un testo di Michele Serva, pardon Serra. Come ‘n fiore de serra.  Appunto. In 23 (dico: ventitre!!) cinema! De che parla? «Riflette sullo smarrimento di ogni senso di verticalità e ritrova lo scarto simbolico che distingue i figli dai genitori». Smarrimento? Verticalità? E’ un firme su le vertigini? No, no «è un film orizzontale». Un firme orizzontale o verticale? Boh! E se chiama «sdraiati»? Me sa che poi me sdraio pure io e m’addormento.

Cambiamo genere. «American assassin». Ammazza! Fico. Assassin. E uno pensa “mo’ me assàsinan” Senza la finale è più fico. Beh, che dice ‘sto firme? «Un tema coraggioso e bellissimo, narrativamente parlando, per un film modesto che preferisce spargere sangue a piene mani». Ah, sì? E allora come mai sta in 15 (dico: quindici!!) sale? Sarà perché affronta un tema coraggioso e bellissimo. Me ce gioco le palle. Ma che è ‘sto tema? «Mitch Rapp ha 25 anni e una fidanzata di cui è innamoratissimo. Ma il giorno in cui le chiede di sposarla, la ragazza rimane vittima di un attacco terroristico da parte di un gruppo di fondamentalisti islamici». Cazzo. Nun c’avevo mai pensato che se poteva parlà de ‘ste cose! Ma succedono davero? E’ troppo novo, troppo origginale. No, no. Nun vojo ‘na cosa d’avanguardia, vojo ‘na cosa più semplice.

Ecco guarda: «Nut job»… insomma lo scoiattolo Spocchia: 15 sale! Oppuramente ci sarebbe «Paddington 2. L’orsetto» . Un “film pop-up”. Questo qua in 17 (aoh: diciassette!!!) sale! E «Capitan Mutanda»? «Un raro caso di animazione americana per famiglie gioiosa»… In 12 sale! Uno se sbraca davanti a Capitan Mutanda e dice: «ma questo è gioioso». E allora perché m’appallo solo a penzacce? Me sa che è mejo cambià genere.

Questo fa ar caso mio. «Caccia al tesoro» de Carlo Vanzina. «Da anni Domenico non paga l’affitto. Che fare? Siamo a Napoli, dunque ci si rivolge a San Gennaro». Me sa che è come il vecchio «Operazzione San Gennaro» co’ Nino Manfredi…

E questo? «Flatliners». Certo io solo che sento ‘ste parole inglesi, me sturbo. Che è? robba de pannolini Liners? No, ecco, c’è puro la traduzzione: «Flatteliners. Linea mortale». Mortale… Me sento i brividi! «Quante volte ci interroghiamo sulla vita oltre la morte? Cinque studenti di medicina del Trinity Emmanuel Medical Center, nella speranza di trovare una risposta, si avventurano in un esperimento audace ma pericoloso. L’idea è dell’ambiziosa studentessa Courtney Hall che riunisce i suoi compagni in un laboratorio del seminterrato dell’università: ognuno di loro a turno si stende sul lettino lasciando che gli altri gli fermino il cuore». Ammazza oh! M’agghiaccia. In 13 (dico: tredici!!!) sale. Però… guarda che dicono: «L’equilibrio tra realtà e finzione sorretto dalla suspense del thriller finisce per spezzarsi nella monotonia di una sceneggiatura ripetitiva». Che sòla! Ma perché sempre sòle, orsetti, firme modestine e tutti come minimo in 13 sale? Dai, forza, nun se scoraggiamo.

Guarda questo: «Il libro di Henry». Ovvero: «Henry è un ragazzino prodigio, un piccolo genio che si prende cura di ogni aspetto della vita della madre single». Vabbè, sempre «Il mio piccolo genio» di Jodie Foster o «Vitus» di Murer o magari «I bambini sanno» de Water Weltroni. Però dai, se po’ vede, no? Ma che dice la presentazione? «Non bastano dei bravi interpreti per sostenere un film che zoppica fin dall’inizio, né una bella ambientazione per mascherare i vuoti». Vabbè ho capito. N’antra sòla.

Guarda questo, oh! 24 (ammazza oh: Ventiquattro!!!!) sale! E che è? «Justice League». Allora: «Dopo la morte di Superman, l’umanità è sola e impaurita…. Batman prova a radunare individui speciali, dotati di superpoteri». Che palle! Lo credo che poi dicono che è «esile sul piano narrativo e cinematografico». Artro che esile. E’ inesistente. Magari sarà pure fatto bene e pieno de effetti speciali… però è sempre la stessa sbobba.

Io mo’ quasi quasi faccio ‘na cosa. Me vado a vède questo qua, che lo fanno in una sala solamente. Voi vedè che quelli che te li fanno vède dappetutto nu’ li devi vède e che quelli che nun li vède mai nisuno li devi vède? Sì però nun è una sala soltanto: so’ tre. Tre? Guarda bene: una lo fa vede alle 14,30; n’antra alle quattro der pomeriggio; e ‘nantra la sera. De solito un firme lo fanno vède tre vorte ar giorno, no? Ecco che questo qua, puro si sta in tre sale, in pratica se vède come fosse in una sala. Vabbè, ma che è? Dice che è un firme sui partiggiani. Che palle! Ma è ‘na mania de fa i firme sempre su le stesse cose. Pure questo è ‘na sòla? Però aspetta. Leggemo bene. «I Taviani si confrontano con un “testo sacro” della letteratura e rivisitano il loro stesso cinema con grande rigore filologico». Testo sacro, rigore… Che parole poco comuni! E poi Taviani. Ma i fratelli Taviani non erano quelli che hanno fatto Giulio Cesare a Rebibbia? E poi chi è l’attore? Marinelli? Quello de Jeeg Robbotte. Un fenomeno! Me sa che er firme è forte. Sai che te dico? Mo’ cerco quarche critica. Ecco per esempio il quotidiano «La stampa». E’ de Torino, no? Ne capirà de partiggiani ne le Langhe. «In Una questione privata … niente campi di spighe dorate, ma un inverno maledetto dal gelo, da una pioggia penetrante, da una nebbia che è un “mare di latte” e dall’alito della morte. In questo plumbeo contesto all’universitario Milton, che milita fra i badogliani, capita di accendersi di violenta gelosia nei confronti dell’amico partigiano Giorgio, in sospetto di aver intrecciato una relazione con Fulvia, la fanciulla amata da entrambi. Noncurante di tutto e tutti, Milton pensa solo a scoprire la verità, ripescando Giorgio che è stato catturato… In Fenoglio avvertiamo l’influenza dei romantici inglesi… i Taviani prediligono un registro straniato non esente da tocchi di brechtiana ironia: tuttavia i tre hanno in comune l’imperativo morale e una dostoevskiana visione della natura umana. Così finisce che questo film di pura firma Taviani rispecchi la pura essenza Fenoglio». Anvedi, oh! come parla difficile questo. E poi me sa che siccome è torinese dève parlà bene dei piemontesi e dei firme sui romanzi scritti da piemontesi.

Pijamo un altro, che parla male der fime armeno famo er confronto. «Movieplayer», leggiamo: «Una storia ricca di suggestioni… Lecito nutrire delle aspettative… Peccato però che le perplessità alla fine della visione siano tante, troppe… I personaggi… rimangono fantasmi in superficie, privi di un approfondimento e un’identità propria, debole nella definizione della cornice storica che resta appena accennata, didascalica e spesso banale nell’adattamento dei dialoghi». ‘Nzomma è la solita sòla? Però, puro lui che critica, alla fine dice: «L’unico capace di caricarsi sulle spalle l’intero film e trascinarselo dietro in questo appassionato peregrinare d’amore è Luca Marinelli, che ci restituisce un Milton dai risvolti shakespeariani: accecato dalla gelosia al punto di dimenticare la lotta partigiana, gli amici di brigata e la stessa vita. La sua corsa matta e disperata in cerca di un qualcosa (che sia la ricerca rocambolesca di un prigioniero da scambiare o di una pallottola che ponga fine ai propri tormenti) assume i connotati di una ‘quête’ ariostesca e rimane uno degli elementi più originali e memorabili del film. Nella testa dello spettatore rimarranno il girovagare furioso di Milton, la forza della sua disperazione, le sigarette fumate e strafumate, l’abbraccio commosso e silente con i genitori incontrati per caso sotto i portici battuti dal vento, l’incipit delle lettere a Fulvia (“Fulvia, splendore”), la nostalgia, i ricordi. E poi l’immagine muta di una bambina che sorseggia un bicchiere d’acqua prima di tornare a giacere accanto al corpo della propria madre morta. È in questi momenti che il cinema dei Taviani ritorna vivo: irrompe sullo schermo e si impone con la forza di una sola scena, di un unico irripetibile istante catturato in tutto il proprio vigore». Beh senti, a parte che parleno tutti come oracoli o libbri stampati e io me sento un pizzico di fronte a tanta scienza, a ogni modo pare che quarche cosa de bono dentro a ‘sto firme alla fine c’è. Tajamo la testa ar toro. Me leggo er sito de ggente che de cinema ce capisce e come, «Sentieri servaggi». Ecco qua: «Sospeso in una dimensione allucinatoria e febbricitante, l’ultimo film dei fratelli Taviani (la regia è firmata in realtà dal solo Paolo, gli acciacchi dell’età rendono a Vittorio piuttosto difficile oramai l’esperienza del set) viaggia per i territori di quell’autorialità talmente scolpita dal tempo da potersi permettere di dettare le proprie leggi di gravità all’immagine, come fanno gli ultimi film di Ermanno Olmi (qui tra i produttori), Manoel de Oliveira, o Akira Kurosawa – e infatti le visioni di Una questione privata sembrano più di una volta venir fuori dalla stessa nebbia nave delle allegorie di Sogni, il testamento del grande cineasta giapponese che in più d’un episodio tornava sui fronti di guerra, tra i soldati vittime di sortilegi e legature come succede al Milton di Luca Marinelli, costretto dall’incantesimo d’amore di Fulvia, splendore, a vagare per gli avamposti partigiani alla ricerca di una smentita impossibile, dell’innocenza oramai perduta della sua giovinezza di letteratura inglese, Cime Tempestose e sigarette alle rose, prima della Resistenza (l’immagine-chiave della casa dell’amore violata dai fascisti…)… Il risultato è un’opera dal fascino stranissimo, sgangherato e sbilanciato per quanto carico di un magnetismo quasi astratto, che se ne frega dei visual effects grossolani e dei flashback un po’ troppo volatili (Valentina Bellé e Lorenzo Richelmy usati davvero come fantasmi evanescenti dal volere imperscrutabile e silente…) nello stesso momento in cui, chi lo sa quanto consapevolmente, infarcisce queste brigate di volti presi dalla rete, dalla compagine degli youtuber e simili. Andrebbe studiata, tutta questa istintività di messinscena, soprattutto dalle nuove generazioni ossessionate dalle tirannie del racconto e delle sue maglie strette: qui basterebbe davvero quel ponte, forse minato forse no, su cui Milton/Marinelli si mette a saltare su e giù ripetutamente, chiara visualizzazione del punto over the rainbow che il protagonista cerca senza posa da quando l’amata Fulvia, dannazione, glielo ha rivelato mettendo su il disco di Judy Garland. Il partigiano Oz». Er partigiano Oz! Che forza. Ma io ce vado subbito. E meno male che nu lo vo’ vedè nisuno così nun me rompeno li stivali coi commenti der cazzo e le facce da baccalà. Certo, uno se chiede ma com’è che le stronzate viste e riviste le fanno in 23 (dico ventitrè!!!) sale e questo qui solamente si fai parte de ‘na società segreta, che ne sò, hai da esse un massone, un clandestino, un vampiro tiè; ecco, giusto i vampiri e i zombi lo ponno vède.

Com’è? Boh! Ma tu de ‘sto monno de merda, pieno de stronzi che fanno er saluto ar duce come si era su’ cuggino, ma tu ce capisci un cazzo? Ce capisci un cazzo perché la ggente se sbrodola e se sviene pe’ un cazzone che è morto da 72 (dico: settantadue!!!!!) anni e che è nato 134 (dico: centotrentaquattro!!!!!!!!!!!) anni fa.

Centotrentaquattro? Sarebbe a dì quann’è nato Guido Gozzano e Franz Kafka, oppure  er Coco Chanele o Johnston McCulley, er creatore de Zòro! Ma allora perché nun se vestimo da Coco Chanel oppuramente da Signorina Felicita o magara da Scarafaggio come Gregory Samsa o direttamente da Zòro, co’ la maschera e la spada? Ma che è carnevale? Vabbè che i fasci cor Fez giusto a carnevale te fanno penzà, però sarvognuno ma come se po’ sbavà pe’ uno nato più de cent’anni fa? Ma nun lo famo manco pe’ Garibardi, manco pe’ quer poraccio de Allende che s’è fatto ammazzà come un cane invece di fuggire su un aeroplano che l’aspettava, figurate pe’ un verme che pensa solo a scappà travestito da tedesco, co’ la valiggetta piena de lettere che sputtanavano tutti, pronto a ricattà ammici e nemmici pe’ nun rimettece le bucce? Che eroe, eh? Che esempio… Però si vai allo stadio trovi diecimila deficienti pronti a fa er saluto romano e si giri de notte ecco ‘na manica de deficenti pronti a menà er primo fioraio egizziano cor permesso de soggiorno, perché seconno loro è un clandestino. ‘Ste stronzate da vermi fanno impazzì. Invece si fai un firme su un poraccio che diventa un eroe ma l’amore lo distrugge… questo nun je piace a nisuno?  Io lo so qual è er problema. Er titolo. Nun è in inglese. Si lo chiamaveno «A problem of privacy» o magari solo «Privacy», tutti penzavano che era ‘na cosa de intercettazioni, che magari se parlava de la nipote de Mubbarak a luci rosse e se fionnavano! E’ triste parlà ‘sta lingua de merda, ‘na lingua da sfigati, come Dante, Leopardi, Gramsci… Io pe’ questo preferisco er romanaccio. Così nun c’ho complessi… Vabbè. Consolamose co’ un ber firme. E mejo si lo vedemo in pochi. Come diceva Arbore? Meno siamo e meglio siamo.

Redazione
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2 commenti

  • domenico stimolo

    Scritto di rara efficacia. In maniera dolce-comico-satirico mette a nudo lo stato dell’arte della cinematografia in Italia. Ormai da tempo siamo diventati un paese colonizzato. Di fatto, sul piano culturale-cinematografico, siamo un’entità territoriale appartenente agli Stati Uniti. A parte altre fonti, la “fotografia” è rilevabile in maniera semplice su Televideo della Rai. A pag. 546 vengono costantemente riportati i dati ( fonte Agis –Cinetel) dei film più visti in 628 città: dall’inizio dell’anno, e dell’ultima settimana temporalmente rilevata ( dal 13 al 19 novembre).
    Ebbene, la sequenza dei 25 film più visti tra dal 1 gennaio è la seguente: USA 18, ITALIA 5, GBR 1, FRA 1.

    Il film “ Una questione privata” dei Fratelli Taviani, uscito giorno 1 novembre, non è compreso nell’elenco relativo alle prime 25 posizioni dei film più visti nella settimana tra il 13 e il 19 novembre. Era apparso nelle posizioni finali delle due settimane precedenti.

    Un gran peccato. Confidando che la sensibilizzazione cresca. Un film intenso, che con grande maestria del (i) registi e bravura degli attori principali, mette a fuoco le varie componenti dell’immagine umana, le tragedie, i sacrifici e il valore sociale-politico di un evento, quello della Lotta di Liberazione dal nazifascismo, pilastro fondamentale della nostra recente storia, che ha determinato la nascita dell’Italia repubblicana, le libertà, i diritti. Una “storia privata” nella grande storia, così come costruita con grande acume e sensibilità dal più brillante narratore della Resistenza italiana, Beppe Fenoglio –purtroppo morto giovane -, partigiano combattente dall’inizio del 1944.
    Eppure il film è fondamentale, specie per le nuove generazioni, per riportare alla memoria le nostre recenti radici. Speriamo che molti insegnanti democratici e antifascisti si allertino per organizzare proiezioni nelle scuole.

    L’asservimento visivo ( cinematografico) –culturale è già avvenuto (…..e sul resto lasciamo stare). Sapientemente fabbricato. E’ ormai difficilissimo costruire gli anticorpi necessari. Nel nostro paese la cinematografia europea è inesistente. Questa Unità europea è un disastro anche sul piano culturale. Le reti televisive, a partire dalla Rai, sono lo strumento complice principale. Gli italiani, giorno e notte, in tutte le reti, sono annegati dai film statunitensi

  • Giuseppe Lodoll

    Una critica cinematografica scrita molto bene … con parole in pura lingua fiorentina che danno vivacita’ al testo. Ottima!

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