Donata Frigerio: «Di donne e di Afriche»

Ascoltando la congolese Mathilde Muhindo Mwamini

Il meglio del blog-bottega /124…. andando a ritroso nel tempo (*)

l’entrata del Centro Olame

La scorsa settimana ho avuto il privilegio di incontrare ed ascoltare Mathilde, una donna straordinaria.

Mathilde Muhindo Mwamini ha quasi raggiunto l’età della pensione, è congolese, si batte per i diritti delle donne in Congo RD.

Conosce bene gli europei e il loro/nostro “linguaggio”, ha studiato in Europa, ci comunica con veemenza gravi scandali, con l’obiettivo, dichiarato apertamente, di spingerci a reagire e prendere posizione. Un caro amico, amante del Congo, scriverebbe che ci spinge a restare umani. Terminati gli studi, giovane, rientrata in Congo dall’Europa, Mathilde è parte di una famiglia non ricca ma neppure miserabile. La scoperta che nel suo paese la mortalità infantile e materna è altissima la turba profondamente. Decide di dedicare la sua vita alla prevenzione delle morti precoci e da parto. Comincia a lavorare per il Centro Olame, centro diocesano di promozione della donna, a Bukavu (sud Kivu, Congo RD), usufruendo della sua qualifica di ostetrica. Con l’avvento della prima guerra mondiale d’Africa (questa è un’altra storia interessante, ma ve la racconto un’altra volta) la condizione delle donne peggiora. I diversi eserciti, che si contendono il territorio, iniziano ad utilizzare lo stupro come arma di guerra. Mathilde diventa la direttrice del Centro, abbandona la professione di ostetrica e viene spinta dalle circostanze ad occuparsi di politica e relazioni pubbliche, di diritti dell’uomo e della donna; diventa un personaggio pubblico in città. Il Centro Olame apre un centro di ascolto per le donne violentate: ne hanno ascoltate più di 5000 in 5 anni, di età dagli 8 ai 75 anni. Donne violentate ripetutamente, di fronte ai familiari, costrette all’incesto con il padre (se ragazzine) o con il figlio (se madri). Donne stuprate con canne di fucili e bastoni, donne dai genitali devastati. Donne rapite ed ingravidate come bestie dai militari. Donne psicologicamente traumatizzate, cacciate dalla famiglia con il figlio nato dalla violenza, bambini scioccati, mariti in preda al senso di colpa per non aver difeso la moglie o la figlia, donne infettate dall’hiv o altre malattie sessualmente trasmissibili…

Donne con un coraggio tenace, una speranza esagerata, un attaccamento encomiabile alla vita e alla cura di quel che resta, quando resta, della loro famiglia.

Mathilde impara da queste donne, si fa carico delle loro sofferenze; il Centro predispone convenzioni con gli ospedali (in un luogo in cui l’assistenza dello Stato non esiste) per la cura dei gravi traumi fisici e delle gravidanze, organizza gruppi di aiuto, amplia il centro di ascolto, collabora con alcuni avvocati per la denuncia dei soprusi e la difesa delle donne accusate di complicità (ebbene sì, anche in queste circostanze le donne a volte vengono accusate di aver adescato un povero soldatino), per tentare di ottenere giustizia. Mathilde non si accontenta, vuole arrivare alle cause di tutto ciò, lo spergiudicato sfruttamento delle inimmaginabili ricchezze del territorio in cui vive. Queste donne, che si caricano sacchi da 50 chili di patate o carbone sulle spalle, si recano a piedi al mercato e venderli e ricavarne pochi spiccioli per le medicine per il bimbo malato o per le tasse scolastiche di suo fratello, camminano letteralmente sull’oro.

Le multinazionali l’hanno scoperto, prima tra tutte la Banro. Una prossima volta parleremo della ENI, la nostra, nel Kivu, e dei suoi progetti.

Non paga del suo lavoro, Mathilde viene scelta dalla società civile della Provincia (per capirci, una organizzazione trasversale non politica, come il nostro movimento per i referendum sull’acqua) per rappresentare le istanze degli abitanti del Kivu nel Parlamento di transizione, deputato a creare le condizioni perchè si possano organizzare, alla fine della guerra, le elezioni democratiche. Resiste due anni, poi si dimette: denuncia che il Parlamento non persegue gli obiettivi che si era dato, che nessuno ascolta il grido di dolore dell’Est del paese, che a questo punto, non potendo lavorare sul mandato per cui è stata eletta, preferisce tornare al suo lavoro a Bukavu. A Bukavu regna ancora l’instabilità, le donne continuano ad essere vittime di violenza, la gente ha paura, lei sceglie la sua gente. E’ minacciata di morte ma resta al suo posto.

Ora, in questi giorni, è venuta ad informarci che la sua denuncia e quella del Centro Olame non si limiteranno, d’ora in poi, alla richiesta di giustizia da parte delle vittime, le donne violentate, ma si estenderanno alle cause della violenza, le multinazionali e gli stranieri, che giocano un ruolo fondamentale in questa guerra, ufficialmente finita ma che lascia uno strascico di devastazione e di insicurezza ancora pesantissimo.

Mentre continuano ad assistere le vittime ed organizzano incontri per sensibilizzare i potenziali autori di violenze (i soldati e gli uomini in generale), le operatrici del Centro Olame, la loro direttrice in testa, chiedono a noi e al mondo di avere giustizia, di vedere condannati gli autori materiali ed i mandanti di tanta sofferenza.

Mathilde fa parte del gruppo di 100 donne scelte per rappresentare tutte le donne d’Africa in una campagna, la Noppaw Campaign, che chiede il conferimento del Nobel per la pace non ad un singolo ma ad una categoria, quella delle donne africane, che sostengono sulle loro spalle un continente intero, il continente da cui tutti proveniamo, una terra ricchissima e depredata.

Se volete incontrare altre donne d’Africa coraggiose, tenaci, preparate a tener testa ad ogni ingiustizia, vi invito a venire ad Ancona, il prossimo 21 e 22 maggio. Si terrà il convegno “L’Africa che cammina sui piedi delle donne”, interamente dedicato alle donne africane. Parleranno donne africane, e per una volta noi ci metteremo nei banchi ad ascoltare, ammirare, magari imparare da loro….

NOTA DELLA BOTTEGA

Se l’espressione – usata da Donata Frigerio – “prima guerra mondiale d’Africa” vi sorprende, vuol dire che (come la maggior parte degli occidentali) quasi nulla sapete di ciò che è accaduto in Congo negli ultimi 30 anni. Qui in “bottega” ne abbiamo parlato: per esempio, nel 2006, con Una speranza per il Congo?, un dossier/reportage di Gianni Boccardelli e da allora informando spesso – ma forse troppo poco – sul Congo insanguinato, sull’Occidente che continua a rapinare le sue risorse, sulla permanente censura dei media e su alcune iniziative internazionali solidali.

(*) Anche quest’anno ad agosto la “bottega” recupera alcuni vecchi post che a rileggerli, anni dopo, sono sembrati interessanti. Il motivo? Un po’ perché circa 12mila articoli (avete letto bene: 12 mila) sono taaaaaaaaaanti e si rischia di perdere la memoria dei più vecchi. E un po’ perché nel pieno dell’estate qualche collaborazione si liquefà: viva&viva il diritto alle vacanze che dovrebbe essere per tutte/i. Vecchi post dunque; recuperati con l’unico criterio di partire dalla coda ma valutando quali possono essere più attuali o spiazzanti. Il “meglio” è sempre soggettivo ma l’idea è soprattutto di ritrovare semi, ponti, pensieri perduti… in qualche caso accompagnati dalla bella scrittura, dall’inchiesta ben fatta, dalla riflessione intelligente: con le firme più varie, stili assai differenti e quel misto di serietà e ironia, di rabbia e speranza che – speriamo – caratterizza questa blottega, cioè blog-bottega. (db)

Donata Frigerio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *