Donne di Standing Rock: lavorare insieme come esseri umani, condividere il pianeta e il futuro

(Foto da https://www.facebook.com/Sacred-Stone-Camp-255672288125349/?pnref=story)

interviste di Evelyn Rottengatter (tratto da Pressenza)

Standing Rock è diventato un simbolo mondiale di resistenza nonviolenta contro progetti estrattivi altamente dannosi.  Questi progetti non solo contribuiscono al riscaldamento globale continuando a bruciare combustibili fossili e a rilasciare nell’atmosfera emissioni nocive, ma violano anche i diritti umani, in particolare quelli dei popoli indigeni, la cui terra e il cui ambiente subiscono conseguenze nefaste.

Pressenza ha seguito da vicino la lotta di Standing Rock, che negli Stati Uniti ha ricevuto il sostegno di altre tribù native, di movimenti per i diritti umani e l’ambiente, di politici come Bernie Sanders, di personaggi famosi e di milioni di persone via Facebook e anche di molte organizzazioni, gruppi e individui in tutto il mondo. Gente preoccupata della minaccia per il futuro del pianeta rappresentata da potenti multinazionali interessate solo al profitto.

Questo movimento in espansione si può sintetizzare con il termine “Disinvestimento”, che si è dimostrato l’unico modo per cercare di fermare megaprogetti dannosi come l’oleodotto Dakota Access. L’anno scorso un numero crescente di banche e investitori ha ritirato il suo denaro dai progetti estrattivi per via della pressione pubblica, che mirava a ricordare come gli standard elevati volti a proteggere i diritti umani e i diritti dei popoli indigeni esistono spesso sulla carta, ma non nella realtà.

Il mese scorso una delegazione composta da leaders indigene di Standing Rock e dai loro alleati ha girato l’Europa alla ricerca di appoggio nella richiesta di giustizia riguardo all’ambiente e alle violazioni dei diritti dei nativi. Durante la loro tappa a Monaco abbiamo parlato con la dottoressa Sarah Jumping Eagle (pediatra Oglala Lakota e Mdewakantonwan Dakota, che vive e lavora nella riserva  Sioux di Standing Rock), con Michelle Cook (Diné/Navajo, avvocato dei diritti umani e membro fondatore del collettivo legale dei Protettori dell’Acqua di Standing Rock) e con Tara Houska (Anishinaabe, avvocato tribale, direttore della campagna nazionale “Honor the Earth”, ex consigliere sugli affari dei nativi americani di Bernie Sanders), insieme a Osprey Orielle Lake, direttore esecutivo di WECAN (Women’s Earth and Climate Action Network), che ha organizzato il giro e il cui obiettivo è quello di dare forza alle donne per sviluppare soluzioni nonviolente e inclusive ai problemi che l’umanità deve affrontare.  

* * *

Esiste ormai una tendenza a livello mondiale verso l’abbandono dei combustibili fossili, dovuta tra l’altro alla lotta di Standing Rock. A vostro parere le banche europee sono più sensibili alla pressione pubblica di quelle americane?

Michelle: Sì, assolutamente. Per esempio siamo state in Norvegia, Svizzera e Germania e la ragione per cui abbiamo scelto in particolare la Norvegia è che ha inserito i diritti umani internazionali nel suo sistema legale. Dunque come paese stanno facendo passi avanti riguardo all’implementazione di standard sui diritti umani. Non è così negli Stati Uniti. L’ex relatore speciale dell’ONU sui diritti dei popoli indigeni

James Anaya, così come quello più recente, Victoria Tauli-Corpuz, hanno affermato che il sistema legale degli Stati Uniti non è allineato con i diritti umani dei popoli nativi.  Stiamo subendo molti attacchi dall’attuale amministrazione e dunque è necessario viaggiare al di fuori del paese per ottenere l’appoggio di nazioni alleate e di organizzazioni, al fine di proteggere la sopravvivenza culturale e l’esistenza fisica dei popoli indigeni.

E’ sorprendente che questo sia ancora necessario: in Europa la versione ufficiale sostiene che le ingiustizie commesse in passato contro i popoli nativi sono state riparate e i loro diritti recuperati…

Michelle: C’è una grande differenza tra la retorica e la realtà, tra quello che si dice sulla carta e il vissuto dei popoli e delle donne indigene. Inoltre se osserviamo le decisioni della Corte Suprema dall’Ottocento a oggi, risulta evidente come i popoli indigeni siano considerati una razza inferiore, che gli Stati Uniti devono proteggere come un tutore.

Tara: Molti pensano che Obama sia stato un grande presidente, ma il movimento di Standing Rock si è sviluppato proprio durante la sua amministrazione. Dunque il cambio di amministrazione non ha influito davvero sui popoli indigeni degli Stati Uniti. E’ solo persona dopo l’altra che dice una cosa e poi non la fa.

Michelle: La difficoltà negli Stati Uniti sta nel fatto che l’unico modo per cambiare la legge è l’azione a livello del Congresso o l’annullamento di una precedente decisione della Corte Suprema. E se abbiamo una corte che si basa ancora su stereotipi razziali, questo influisce sulle sue opinioni. Per esempio, quando ci siamo incontrate con il Credit Suisse, ci hanno detto: “Vogliamo solo accertarci che non portiate con voi armi, tomahawks o lance; è per questo che vi abbiamo scritto quella mail.” Questo è lo stereotipo razziale ancora presente in chi è dotato di potere decisionale.

Negli Stati Uniti la discriminazione razziale è un problema anche per la comunità nera. Il movimento di Black Lives Matter ha sostenuto Standing Rock. L’appoggio reciproco e la collaborazione continuano ancora adesso?

Tara: Sì, assolutamente. Lavoro con loro su temi come le mascotte delle squadre sportive, il modo disumanizzato in cui i media rappresentano i nativi americani e gli stereotipi delle squadre di football. So che qui in Germania tutto questo ha una notevole importanza, che l’immagine del “buon selvaggio” è ancora diffusa. Abbiamo una stretta collaborazione con Black Lives Matter perché i neri sono presi di mira dalla polizia e i nativi americani anche. Relativamente alla popolazione negli Stati Uniti siamo quelli con più probabilità di essere uccisi dalla polizia, anche se siamo meno del 2% degli abitanti. Quando abbiamo a che fare con agenti di polizia, il risultato è spesso mortale. Loro lo capiscono. La collaborazione e il sostegno di Black Lives Matter e di tanti altri movimenti in tutto il paese, di immigrati e di tanti posti diversi sono stati incredibili. E sono ancora al nostro fianco.

Nel vostro giro europeo avete in programma incontri con banche e assicurazioni come UBS, Credit Suisse, Zürich Insurance, Swiss Re, Bayern LB, Allianz, Deutsche Bank e altri ancora coinvolti nel finanziamento dell’oleodotto Dakota Access. Alcuni però hanno già rinunciato ai loro investimenti, come la francese  BNP Paribas.

Tara: BNP Paribas ha fatto un’importante dichiarazione spiegando la sua decisione di interrompere i rapporti d’affari con chiunque finanzi le sabbie bituminose o l’olio di scisto e di porre fine alle trivellazioni nell’Artico.

BankTrack, che monitora e stimola le campagne di disinvestimento, sta chiedendo ad altre banche di seguire l’esempio di BNP Paribas, a cominciare da quelle che hanno sottoscritto gli Equator Principles. Che cosa sono gli Equator Principles? Forniscono davvero una protezione adeguata all’ambiente e ai diritti dei popoli indigeni?

Sara: Dovrebbero essere gli standard internazionali di livello più elevato per regolare il finanziamento dei progetti, con indicazioni per il contenimento dei rischi sociali e ambientali. In realtà lasciano che i paesi facciano quello che vogliono con i popoli indigeni. In questo momento negli Stati Uniti la regola è consultare, non chiedere il consenso, ossia il permesso. Consultare significa scambiare informazioni, non chiedere permessi. Gli Equator Principles sono un fallimento totale.  Quando si tratta di progetti reali non vengono nemmeno rispettati. L’oleodotto Dakota Access era conforme agli Equator Principles, ma non va certo a vantaggio dell’ambiente e viola gli standard riconosciuti a livello internazionale di quelli che sta cercando di rappresentare.

Michelle: Chiediamo a queste banche di escludere dai loro investimenti i clienti che violano i diritti umani o usano la violenza contro i popoli indigeni. Nel caso di Standing Rock, ci sono state chiare violazioni da parte della compagnia Energy Transfer Partners. Vogliamo che questo cliente venga escluso dagli investimenti delle banche che dobbiamo incontrare in Norvegia, Germania e Svizzera.

A vostro parere cosa possiamo fare in Europa per sostenere il movimento di Standing Rock, la campagna per il disinvestimento e in generale i diritti degli indigeni?

Tara: Quando noi indigeni facciamo un viaggio di 5.000 miglia per incontrare queste banche, loro ci guardano e dicono: “Non ci sono abbastanza prove”. Gli stiamo davanti, abbiamo documenti legali, rapporti dell’ONU e tutte queste cose e loro continuano a ripetere: “Stiamo esaminando le prove.” Abbiamo bisogno che i cittadini dicano: “Ehi, queste sono le nostre banche, sono i nostri soldi che vengono investiti. Possiamo fare qualcosa per questo!”

Dunque si può dire che ritirare il proprio denaro da una banca è la cosa più efficace da fare?

Sara: Sì. Energy Transfer sta continuamente citando in giudizio Greenpeace, BankTrack e altre organizzazioni con cui lavoriamo. Lo fa perché in seguito ai disinvestimenti incontra grandi difficoltà a finanziare altri progetti.

Michelle: Vorrei aggiungere che dobbiamo trovare il modo di controllare banche e corporazioni. Dev’esserci un sistema per metterle davanti alle loro responsabilità. Il fatto che non possiamo costringerle a rispondere delle violazioni dei diritti non è solo un problema dei popoli nativi, ma di ogni cittadino del mondo, visto che queste banche hanno un’influenza su chiunque. Dunque è un problema globale, anche se noi lo guardiamo dal nostro punto di vista.  Abbiamo bisogno di leggi che chiedano conto delle loro azioni quando infrangono la legge. In questo momento non ci sono molte possibilità in questo senso per chi è stato brutalizzato dalle multinazionali o dall’azione fraudolenta delle banche.

Tara: Il mondo sta cambiando. Sta cambiando molto rapidamente e non può aspettare mentre le multinazionali continuano a controllare il modo in cui vengono presentate le cose e tutto il denaro. Dunque tocca a noi –  gente organizzata, cittadini, persone che vogliono sopravvivere e arrivare alla prossima generazione – fare qualcosa. Dobbiamo fare qualcosa.

Gli indigeni sono tra le persone più povere e oppresse degli Stati Uniti. Abbiamo poco, molto poco. E questa gente sta lottando per il futuro di tutti. Hanno successo perché i disinvestimenti fanno perdere miliardi di dollari alle compagnie. Sono i gruppi impegnati, che tengono davvero a una causa, quelli che possono operare grandi cambiamenti.

Michelle: Chiediamo che ogni compagnia intenzionata a proporre progetti energetici nei territori indigeni debba attuare una consultazione efficace, con l’obiettivo di ottenere un consenso libero, informato e preventivo. Questa dovrebbe essere la regola in tutto il mondo per ogni progetto che riguardi le terre tradizionali dei popoli indigeni. Dovrebbe essere la regola e noi stiamo lavorando per arrivarci.

Molti consigli comunali americani si sono già ritirati da questo tipo di investimenti?

Sara: Sì. Seattle, San Francisco, Salt Lake City, Los Angeles lo hanno già fatto. Il sindaco di New York ha diffuso una dichiarazione e varie città ci stanno pensando: Washington D.C. e altre quattro. E anche Santa Fe.

La lotta di Standing Rock ha aggiunto un forte elemento spirituale alla resistenza nonviolenta, sintetizzato nel meraviglioso slogan “Difendere il Sacro”. Come si può mantenere questo spirito e come si può instillare nelle nostre società la spiritualità di cui c’è tanto bisogno?

Michelle: Questo sistema despiritualizza gli esseri umani per controllarli, per renderli docili e privarli del loro vero potere. Io spero che arriveremo a capire come con la civiltà occidentale, nel corso di 500 anni di guerra contro il tribalismo, compresa l’Europa e le donne bruciate sul rogo, questo territorio sia stato privato dei suoi guaritori, secoli fa con l’Inquisizione spagnola. Dunque questa sconnessione ha un motivo, non è accaduta in modo naturale, ma è stata attuata di proposito, con la forza, per privare le donne e i popoli di quel potere. Penso però che ora sia il momento di guarire quel ciclo della vita. Parte di quello che facciamo è proprio questo, tentare di guarire e affermare che non possiamo continuare ad abusare della Terra e delle sue risorse. Dobbiamo imparare a vivere con la Terra. Dobbiamo imparare a comportarci come parenti. Siamo tutti collegati in una rete di vita. Se osservi una ragnatela vedrai che muovendone una parte l’effetto si propaga dappertutto. La ragnatela è delicata e lo è anche la vita. Molto delicata. Dunque dobbiamo stare molto attenti  al modo in cui ci trattiamo, a quello che facciamo e diciamo, perché influenziamo il mondo che ci circonda. Dobbiamo capire che viviamo in relazione tra noi, che quello che fai tu ha un effetto su di me.

Un vecchio detto afferma: “Quando io sono nella mia canoa e tu nella tua barca, condividiamo il fiume della vita. Quello che succede a te, succederà anche a me.” Condividiamo questo pianeta, condividiamo queste risorse, condividiamo un futuro e dunque dobbiamo lavorare insieme. Dobbiamo vederci come parenti, come esseri umani e dobbiamo lavorare insieme per la settima generazione. Spero che tutto il mondo, soprattutto chi è stato decimato dalla colonizzazione, riesca a riaccendere quello spirito e a connettersi al proprio potere.

Per maggiori informazioni sulla delegazione: http://wecaninternational.org/pages/autumn17-divestment-spokeswomen

da qui

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *