«Dopo 15 anni in una prigione israeliana…»

Le parole di Marwan Barghouthi dalla prigione di Hadarim, pubblicate dal «New York Times» il 16 aprile. Continua lo sciopero della fame di mille prigionieri palestinesi. Iniziativa di solidarietà il 19 a Roma.

Dopo aver trascorso gli ultimi 15 anni in una prigione israeliana, sono stato sia un testimone, sia vittima, del sistema illegale di Israele di arresti arbitrari di massa e maltrattamenti di prigionieri palestinesi. Dopo aver esaurito tutte le altre opzioni, ho deciso che non c’era altra scelta che resistere a questi abusi cominciando uno sciopero della fame.

Circa 1.000 prigionieri palestinesi hanno deciso di prendere parte a questo sciopero, che inizia oggi, giorno che qui celebriamo come Giorno dei prigionieri. Lo sciopero della fame è la forma più pacifica di resistenza a disposizione. Esso infligge dolore esclusivamente a coloro che vi partecipano e ai loro cari, nella speranza che gli stomaci vuoti e il sacrificio aiutino il messaggio a risuonare al di là dei confini delle buie celle.

Decenni di esperienza hanno dimostrato che il sistema inumano di occupazione coloniale e militare israeliana punta a sfibrare lo spirito dei prigionieri e della nazione a cui appartengono, infliggendo sofferenze sui loro corpi, separandoli dalle loro famiglie e comunità, utilizzando misure umilianti per costringere alla sottomissione. A dispetto di tale trattamento, non ci arrenderemo ad esso.

Israele, la potenza occupante, ha violato il diritto internazionale in molti modi per quasi 70 anni, ma gli è stata garantita impunità per le proprie azioni. Ha commesso gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra contro il popolo palestinese; i prigionieri, tra cui uomini, donne e bambini, non fanno eccezione.

Avevo solo 15 anni quando sono stato imprigionato per la prima volta. Avevo appena 18 anni quando un ufficiale israeliano mi ha costretto a divaricare le gambe mentre mi trovavo nudo nella stanza degli interrogatori, prima di colpire i miei genitali. Sono svenuto dal dolore, e la caduta conseguente ha lasciato una grande cicatrice che da allora segna la mia fronte. L’ufficiale mi prese in giro, dicendo che non avrei mai potuto procreare, perché dalla gente come me nascono solo terroristi e assassini.

Pochi anni dopo, ero di nuovo in una prigione israeliana, conducendo uno sciopero della fame, quando nacque il mio primo figlio. Invece dei dolci che di solito distribuiamo per celebrare simili eventi, ho distribuito agli altri prigionieri del sale. Quando aveva appena 18 anni, mio figlio a sua volta è stato arrestato e ha trascorso quattro anni nelle prigioni israeliane.

Il più anziano dei miei quattro figli è ora un uomo di 31. Eppure, io sono ancora qui, continuando questa lotta per la libertà insieme a migliaia di prigionieri, milioni di palestinesi e il sostegno di così tanti in tutto il mondo. L’arroganza dell‘occupante oppressore e dei suoi sostenitori li rende sordi a questa semplice verità: prima che riescano a spezzare noi, saranno le nostre catene ad essere spezzate, perché è nella natura umana rispondere al richiamo della libertà a qualsiasi costo.

Israele ha costruito quasi tutte le sue carceri all’interno dei propri confini, piuttosto che nel territorio occupato. In tal modo, ha illegalmente e forzatamente trasferito civili palestinesi in cattività, usando questa situazione per limitare le visite dei familiari e per infliggere sofferenze attraverso lunghi trasferimenti in condizioni crudeli. I diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti dal diritto internazionale – tra cui alcuni dolorosamente guadagnati attraverso precedenti scioperi della fame – sono stati trasformati in privilegi che l’amministrazione penitenziaria può decidere di concedere o sottrarre.

I prigionieri e detenuti palestinesi hanno subìto torture, trattamenti inumani e degradanti e negligenza medica. Alcuni sono stati uccisi durante la detenzione. Secondo gli ultimi dati, circa 200 prigionieri palestinesi sono morti dal 1967 a causa di tali azioni. I prigionieri palestinesi e le loro famiglie rimangono anche un obiettivo primario della politica di Israele di imposizione di punizioni collettive.

Nel corso degli ultimi cinque decenni, secondo l’organizzazione per i diritti umani Addameer, più di 800.000 palestinesi sono stati imprigionati da Israele – pari a circa il 40 per cento della popolazione maschile del territorio palestinese. Oggi, circa 6.500 sono ancora in carcere, tra i quali alcuni che detengono il triste primato dei più lunghi periodi di detenzione dei prigionieri politici al mondo. È difficile trovare una sola famiglia in Palestina che non abbia patito la detenzione di uno o più dei suoi componenti.

Come dar conto di questo assurdo stato di cose?

Israele ha stabilito un regime giuridico duale, una forma di apartheid giudiziaria, che garantisce potenziale impunità per gli israeliani che commettono crimini contro i palestinesi, mentre criminalizza la presenza e la resistenza palestinese. I tribunali di Israele sono una parodia della giustizia, palesi strumenti di occupazione coloniale e militare. Secondo il Dipartimento di Stato, il tasso di condanna per i palestinesi nei tribunali militari è del 90 per cento circa.

Tra le centinaia di migliaia di palestinesi che Israele ha arrestato, ci sono bambini, donne, parlamentari, attivisti, giornalisti, difensori dei diritti umani, accademici, esponenti politici, militanti e familiari dei detenuti. Tutto con un unico obiettivo: seppellire le legittime aspirazioni di un’intera nazione.

Al contrario, le prigioni di Israele sono diventate la culla di un duraturo movimento per l’autodeterminazione palestinese. Questo nuovo sciopero della fame dimostrerà ancora una volta che il movimento dei prigionieri è la bussola che guida la nostra lotta, la lotta per la Libertà e la Dignità, il nome che abbiamo scelto per questo nuovo passo nel nostro lungo cammino verso la libertà.

Le autorità israeliane e il servizio carcerario hanno trasformato i diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti dal diritto internazionale in privilegi da concedere o sottrarre discrezionalmente. Israele ha provato ad etichettare tutti noi come terroristi per legittimare le sue violazioni, tra cui gli arresti di massa arbitrari, le torture, le misure punitive e le rigide restrizioni. Come parte dello sforzo di Israele di minare la lotta palestinese per la libertà, un tribunale israeliano mi ha condannato a cinque ergastoli e 40 anni di carcere in un processo farsa che è stato denunciato dagli osservatori internazionali.

Israele non è la prima potenza occupante o coloniale a ricorrere a tali espedienti. Ogni movimento di liberazione nazionale nella storia ricorda pratiche simili. Questo è il motivo per cui così tante persone che hanno lottato contro l’oppressione, il colonialismo e l’apartheid sono dalla nostra parte. La campagna internazionale per “la liberazione di Marwan Barghouti e di tutti i prigionieri palestinesi” che l’icona anti-apartheid Ahmed Kathrada e mia moglie, Fadwa, hanno lanciato nel 2013 dalla ex cella di Nelson Mandela a Robben Island ha avuto il sostegno di otto vincitori del Premio Nobel per la Pace, 120 governi e centinaia di dirigenti, parlamentari, artisti e accademici di tutto il mondo.

La loro solidarietà smaschera il fallimento morale e politico di Israele. I diritti non sono elargiti da un oppressore. La libertà e la dignità sono diritti universali che sono connaturali all’umanità e devono essere goduti da ogni nazione e da tutti gli esseri umani. I Palestinesi non saranno un’eccezione. Solo porre fine all’occupazione potrà cessare questa ingiustizia e segnare la nascita della pace.

Marwan Barghouti, 16 aprile 2017 
(da https://www.nytimes.com – Grazie a Luigi Daniele  per la traduzione)

FRA LE INIZIATIVE SOLIDALI c’è anche un appuntamento domani 19 aprile, dalle 17 alle 19, a Roma in Largo Argentina: «Con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame per la dignità e la libertà»

 

LA VIGNETTA QUI SOPRA – scelta della redazione della “bottega” – è di Vincenzo Apicella

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Francesco Masala

    a Roma, per il prigionieri politici palestinesi in sciopero della fame:

    *ReteRomana Palestina* (reteromanapalestina@gmail.com)

    Date: 28 aprile 2017 16:43
    Oggetto: COMUNICATO STAMPA costituito un Coordinamento di Associazioni a
    sostegno dei prigionieri politici palestinesi in sciopero della fame

    Che 1500 persone decidano ed attuino tutte insieme uno sciopero della
    fame ad oltranza dovrebbe essere una “notizia”.Ma si tratta di
    Palestinesi. Per di più prigionieri politici e, ancora peggio, ristretti
    nelle carceri israeliane. Essi chiedano solo “Libertà e Dignità” edun
    trattamento umano, come prescritto dal Diritto Internazionale,ma la
    notizia non c’è sui grandi mezzi di informazione, anzi non è mai
    comparsa, sebbene lo sciopero sia iniziato il 17 aprile, giornata
    internazionale dei prigionieri. Non se ne parla e non se ne scrive
    sicché l’opinione pubblica ne è all’oscuro.

    Per sopperire a questa carenza, si è costituito a Roma un Coordinamento
    a sostegno dei prigionieri palestinesi in sciopero della fame .

    Lo scopo è di portare a conoscenza dell’opinione pubblica la richiesta
    dei prigionieri palestinesi, di vedere rispettati i loro diritti
    fondamentali: poter ricevere visite dai parenti; la fine
    dell’isolamento; la finedella detenzione senza accusa e senza processo;
    la fine degli arresti arbitrari di massa, delle torture, dei
    maltrattamenti e delle misure punitive, che non escludono donne e
    minori; assistenza e cure mediche; il diritto all’istruzione; la fine
    della disumanità cui sono sottoposti nei vari trasporti. Per maggiori
    informazioni/azioni e link utili: http://bit.ly/2ofHswI

    Di questo ha scritto il parlamentare palestinese Marwan Barghouthi in
    una lettera pubblicata sul NY Times il 16 aprile
    2017http://bit.ly/2pCMLKT, il giorno prima dell’inizio dello sciopero, e
    in una successiva, indirizzata ai parlamentari di tutto il mondo, che è
    riuscito a far filtrare dalla prigione.

    La risposta del Governo di Israele e del sistema carcerario israeliano è
    stata durissima: rifiuto diprendere in considerazione le richieste,
    trasferimento dei prigionieri in altre carceri, isolamento dei
    leader,inasprimento delle condizioni di detenzione, minaccia di
    ricorrere alla alimentazione forzata.

    Il Coordinamentointendeanchefare pressioni sulle Istituzioni
    Italianeperché in virtù delle convenzioni internazionali che tutelano i
    diritti dei prigionieri e stabiliscono l’inalienabilità dei diritti
    umani, che anche lo Stato Italiano ha sottoscritto, prendano posizione
    nei confronti del Governo Israeliano perché cessi di violare le norme
    del Diritto Internazionale e chiedano l’intervento dell’ONU.

    A questo fine, come prima iniziativa, il Coordinamento ha chiesto ed
    ottenuto che una sua delegazione venga ricevuta mercoledì 3 maggio dalla
    Presidente del Comitato Diritti Umani della Camera dei Deputati, on. Pia
    Locatelli, ed indice dalle 10 alle 12.30 dello stesso giorno un
    presidio in piazza Montecitorio al quale invita alla più ampia
    partecipazione.

    Il Coordinamento, che è aperto a tutte le associazioni e persone,che,
    consapevoli che la lesione del Diritto costituisce una minaccia per
    tutti,vorranno parteciparvi, è al momento costituito dalle associazioni
    firmatarie di questo comunicato.

    Roma 28 aprile 2017.

    *Coordinamento a sostegno dei prigionieri palestinesi in sciopero della
    fame*

    *c/o Un Ponte per… Roma piazza Vittorio 132*

    coordinamentoprigionieri@gmail.com

    *info 333 8312194; 339 3310021 *

    /Comunità Palestinese di Roma e del Lazio, Amici della Mezzaluna Rossa
    Palestinese,Assopace Palestina, Associazione prigionieri Palestinesi,
    Associazione Oltre il Mare, BDS Roma,Centro Italo-Palestinese di scambi
    Culturali di Gaza VIK, Con la Palestina nel cuore, Donne in nero Italia,
    Ebrei Contro l’Occupazione, Modena incontra Jenin, Per non dimenticare
    Gaza, Per non dimenticare Sabra e Chatila, ProAfricaOnlus, ISM Italia,
    Rete RadièResh, Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese, Un
    Ponte per,U.S. Citizens for Peace&Justice – Rome /

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