Dopo 40 anni: 194, una legge di civiltà

Testi di Maria Antonietta D’Emilio, Savina Dolores Massa, Elena Ribet e Laiga (Libera associazione italiana ginecologi)

«Quando non si poteva contare fino a 194» di Savina Dolores Massa (*)

La casa clandestina era in palazzo

salimmo scale, obbligate a non leggere

cognomi veri ai campanelli

a non vedere

fiocchi rosa o azzurri sulle porte

a non sentire alcun suono

di parole verseggiate per insulto

 

Ognuna, dei mobili in salotto, e delle altre

non ne notò la forma, ma intatto

resterà a vita quel ricordo, di come

si cercassero tra loro

le punte

irrigidite di ogni scarpa

 

Ognuna, entrò sola nella cucina

il tavolo puzzava di cipolle

triturate per un sugo, raffinate

con la carne e le sue spezie

il giorno prima

 

Ognuna, su quel tavolo

si spogliò solo le gambe

 

Il lutto era rosso nella vasca

embrioni da lavare a candeggina

o polvere abrasiva

acqua calda per un prossimo turno

atteso a testa bassa

taciturno

 

Scendemmo scale

obbligandoci a non leggere

cognomi veri ai campanelli

a non rubare

fiocchi rosa o azzurri dalle porte

a non sentire alcun suono

di parole verseggiate per insulto

(*) La poesia era apparsa in “bottega” nel 2011.

SAVE194? Le ricorrenze sono a volte utili per fare il punto

di Maria Antonietta D’Emilio
Quaranta anni dopo, quanto e che cosa della legge italiana che regolamenta l’aborto rispondono ai cambiamenti che sono avvenuti in tutti questi anni? Possiamo definitivamente prendere atto dei “profondi limiti” che la legge incarna, non a caso, fin dalla sua promulgazione, e che sono ormai sotto gli occhi di tutte?
E’ possibile provare ad esercitare a tale proposito uno sguardo che parta da una posizione di forza, grazie anche alle pratiche e ai percorsi di autonomia che diversi collettivi femministi in tutto il mondo portano avanti con le pillole abortive, a prescindere dalle “leggi”?
E infine, l’aborto deve essere regolato dalla legge?
Su quest’ultima questione si può leggere qui di seguito un interessante contributo della femminista polacca Karolina Więckiewicz, avvocata, attivista di #AborcyjnyDreamTeamontour, che, pur partendo dalla legge vigente in Polonia, sviluppa un ragionamento a tutto tondo e offre spunti interessanti riguardo a quello che rappresenta la legislazione sull’aborto.
traduzione non integrale da qui: https://oko.press/czy-aborcja-w-ogole-powinna-byc-regulowa…/

L’aborto deve essere regolato dalla legge?
“Anche le migliori leggi sull’aborto sono in realtà anti-abortiste, escludono sempre qualcosa, perché il loro scopo e la ragione per cui esistono, è quello di limitare la libertà di aborto.”
di Karolina Więckiewicz

“L’anti-aborto” è il risultato, ma anche la genesi, delle leggi sull’aborto, perchè limitare la possibilità di interrompere una gravidanza e l’accesso a questa procedura derivano dal presupposto, e dalla volontà di mantenerlo, che l’aborto sia qualcosa di brutto, di negativo. Se non fosse per questa “convinzione”, tali leggi non ci sarebbero affatto. La questione è anche che le leggi sull’aborto si basano sulla ipotesi che l’aborto sia qualcosa di diverso da altri trattamenti medici e che pertanto debba essere regolato. Distorgono ciò che l’aborto realmente è, dandogli una nuova strutturazione. In questo modo l’aborto non è più trattato nei termini di una procedura medica semplice, universale, sicura per la salute fisica e mentale, ma come qualcosa di peggiore, di più difficile, che richiede precauzioni speciali, misure speciali, che garantiscano che la decisione sia davvero buona, etc. In breve, le leggi che disciplinano l’aborto hanno costruito un atteggiamento specifico nei confronti dell’aborto. L’idea di una particolare “specificità” della procedura (quali “difficoltà” implichi, quale “sofferenza”) insieme alla stigmatizzazione sono state prodotte proprio dalle leggi, a prescindere da quanto più o meno ampiamente consentano l’opportunità di abortire. Pertanto il loro effetto è “anti-aborto”, un effetto che produce una stigmatizzazione enorme ovunque, visto che ovunque (eccetto il Canada) esiste una legge sull’aborto.

Sono una sostenitrice della libertà di aborto, del riconoscimento che si tratti di una procedura medica comunemente eseguita che non deve avere una legge specifica. Questo approccio presuppone che ci si fidi delle donne e delle loro decisioni, che si abbia fiducia nelle persone che devono fornire i mezzi necessari per abortire, che si confidi sul fatto che i medici possano semplicemente contare sulle conoscenze mediche e sulla responsabilità nei confronti delle loro pazienti, come in altre situazioni.Tutte le leggi sull’aborto sono più o meno contro questa libertà. Sono anti-abortive. Contengono sempre e comunque restrizioni sulla possibilità di eseguirlo: per una specifica “ragione”, fino a una particolare settimana di gravidanza, per un particolare modo di eseguirlo, per il luogo dove va eseguito, per i tempi, per l’ età di chi lo richede,etc. Queste restrizioni influenzano i processi decisionali delle donne, accumulando difficoltà su difficoltà nell’ottenere i certificati necessari per arrivare alla procedura.

Certo, ci sono leggi migliori di altre. Soprattutto migliori di quella che è in vigore in Polonia da 25 anni. Alcune permettono di interrompere la gravidanza senza dare un motivo fino alla decima o alla dodicesima settimana, ma molte richiedono una consultazione obbligatoria o non permettono il trattamento nell’immediato e si dovrà aspettare per diversi giorni. Oppure escludono coloro che superano i limiti di tempo consentiti. O consentono al medico la possibilità dell’obiezione di coscienza. Ovviamente “migliore” è la legge e meno sarà “anti-aborto”. Migliore è la legge e meno donne non saranno in grado, a causa delle sue disposizioni, di porre fine legalmente alla gravidanza. Ma il fatto stesso che esistano, significa che ci sarà sempre un gruppo più piccolo o più grande di donne che, a causa di queste o di quelle restrizioni, non accederanno alla procedura o dovranno farlo illegalmente, esponendo spesso se stesse e gli altri soggetti coinvolti alle responsabilità penali.

Pertanto, il termine “legge contro l’aborto”, con particolare riferimento a quella vincolante in Polonia, è più che mai adeguato, per tutte le ragioni che ho descritto finora. L’attuale legge polacca è l’espressione della convinzione che l’aborto sia un male e che possa essere eseguito solo in casi estremi. Il 96% degli aborti (cioè quando si vuole interrompere una gravidanza) sono vietati dalla legge attuale, non so che altro dovrebbe accadere per fare in modo che questa legge non meriti a ragion veduta questa definizione.
Ogni legge sull’aborto è anti-aborto e questo legame in Polonia merita di essere denunciato in modo particolare. Ma nessuna legge, anche la più restrittiva, fermerà l’aborto. Succederà semplicemente che le donne utilizzeranno modalità diverse rispetto ad una procedura legale.
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_845_allegato.pdf
http://www.altalex.com/documents/news/2008/02/13/i-profili-penalistici-dell-aborto-tipologie-aborto-terapeutico-eugenetico-selettivo

(Il manifesto affisso sulla facciata di un palazzo a Roma)

Comunicato stampa Laiga  (Libera Associazione Italiana Ginecologi per Applicazione legge 194)

Recentemente sono stati tre gli attacchi nella Capitale a quello che è un diritto garantito alle donne dal 1978. Per i quarant’anni della 194, le “celebrazioni” sono state molteplici. Prima un manifesto illustrato di 7×11 metri sul fianco di un palazzo di Via Gregorio VII, poi uno striscione all’ingresso della Casa Internazionale delle Donne a Via della Lungara, affissi rispettivamente dalla Onlus ProVita e dal collettivo di estrema destra Forza Nuova. Inoltre al Senato (Palazzo Madama) è stato organizzata una conferenza stampa per promuovere una petizione contro la legge 194 (“Per la salute delle donne. Le gravi conseguenze dell’aborto sul piano fisico e psichico”) da parte del movimento ProVita insieme a Lega e Fratelli d’Italia.

E così ci viene offerta l’occasione imperdibile di parlare di aborto non solo in termini di salute, ma anche perché è rilevante analizzare come funzioni il servizio che permette l’applicazione di un diritto.
Ricordiamo infatti che sul territorio nazionale sono molte le problematiche legate all’alto tasso di obiezione di coscienza e al rischio che corrono le donne che incontrano obiettori di coscienza in sala parto (caso di Valentina Milluzzo).

Alla conferenza stampa organizzata a Palazzo Madama, è stato affermato che le donne che decidono di abortire non sono correttamente informate delle conseguenze che questa pratica comporta.  Questo non è solo falso da un punto di vista medico-legale, poiché sarebbe illegale appunto offrire un servizio sanitario che implica una procedura chirurgica o terapeutica senza far firmare al paziente il consenso informato, ma si tratta anche di un affronto alla donna, che non viene considerata in grado di cercare ed analizzare le informazioni necessarie per prendere una decisione consapevole.
Il movimento ProVita ha inoltre sottolineato che il Ministero della Salute ha sottostimato le complicanze legate all’aborto. Se si legge l’ultima “Relazione del Ministero della Salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza – legge 194/78”, si apprende in 131 pagine che l’analisi dei dati del 2016 è precisa, basata su dati scientifici e statistici e che tiene conto di tutti gli aspetti dell’IVG; viene esplicitamente riportato che “generalmente l’IVG effettuata in una struttura sanitaria da personale competente è una procedura sicura con un rischio di mortalità inferiore all’aborto spontaneo e al parto”.
Dire che i dati sull’aborto non sono completi e che vi è una sottostima delle sue conseguenze, equivale ad ammonire le fonti scientifico-statistiche del Ministero.
Ma, se da un lato sottolineiamo l’importanza di queste analisi, dall’altro vogliamo sollevare una critica. Ci si dovrebbe chiedere infatti quali siano i dati relativi agli aborti che non vengono praticati nelle strutture competenti (aborti clandestini), poiché in questa relazione il paragrafo sulla stima degli aborti clandestini include anche l’utilizzo della contraccezione d’emergenza. A questo proposito infatti l’ammonimento del movimento ProVita circa le conseguenze fisiche e psicologiche dell’aborto è stato accompagnato questa mattina dall’ennesimo attacco all’utilizzo della pillola del giorno dopo, che è stata paragonata a una pillola abortiva. Questa è una grave dichiarazione non scientifica: la funzione di questo farmaco è basata sul meccanismo di ritardo del processo ovulatorio, quindi non ha niente a che vedere con un’interruzione di gravidanza, poiché agisce prima che avvenga il concepimento.

Vogliamo inoltre ricordare che in Francia fare pressioni per convincere le donne a non abortire è un reato e riteniamo debba diventare tale anche in Italia.
Per rispondere alle gravi falsità che tentano di minacciare un diritto alla salute e libertà, invitiamo ogni categoria* capace di esprimersi basandosi su fonti scientifiche e tenendo conto di un diritto che difende la salute e la libertà, ad intervenire in questo dibattito bio-etico, politico, sociale e medico.
(*giornalismo, medicina, politica, intellettuali, università..)

 

Legge 194. Una quarantenne irrisolta

di Elena Ribet (***)

Problemi generazionali in ambito medico. La condivisione delle responsabilità

Il 22 maggio 2018 la legge 194 compie quarant’anni. Quarant’anni di successi, delusioni e ostacoli. I successi: fine dell’aborto clandestino e drastica diminuzione degli aborti legali. Delusioni e ostacoli hanno a che fare con la mancata applicazione della legge (prevenzione, consultori, contraccezione), con l’obiezione di coscienza e il revival integralista antiabortista, trasversale alle destre religiose e laiche. Con l’ingresso nella professione medica di tante donne, si è alzato il numero di obiettrici (7 su 10 gli obiettori di coscienza, secondo dati ministeriali). Ne parliamo con Marina Toschi, vice presidente di Agite (Associazione ginecologi territoriali).

«A praticare interruzioni di gravidanza sono i medici “vecchi”, uomini e donne. I giovani in genere non le fanno, si occupano di cose considerate più scientifiche e certo più remunerative, come la procreazione medicalmente assistita. L’IVG non porta soldi, non porta gloria, non si è obbligati, quindi la si lascia a poche/i veterane/i che ancora lavorano, spinti anche dal ricordo delle donne che morivano di aborto. Sono molte anche le farmaciste e le ostetriche che obiettano. Ai giovani medici non viene nemmeno fatto vedere come si fa una IVG; dopo 5 anni di specializzazione non hanno mai assistito a un colloquio per una IVG. Magari sono bravissimi ecografisti, ma se c’è qualcosa che nel feto è gravemente anomalo, a chi delegano l’eventuale IVG sopra i 90 giorni? Sono pochi gli Ospedali dove questa è offerta. In Italia, inoltre, c’è un problema sulla RU486. Qui possiamo usarla entro le 7 settimane di gravidanza, nel resto del mondo si somministra entro le 9 settimane. Se la maggioranza delle interruzioni avvenissero non per via chirurgica, ma per via medica, sarebbe molto più semplice sia per le donne sia per l’operatore; si potrebbe fare in consultori ben attrezzati, funzionanti e in contatto con gli Ospedali. Un’altra criticità riguarda la spinta culturale crescente contro le donne: abbiamo smesso di stare a casa a fare i bambini. E che le donne vogliano decidere sulla loro sessualità e riproduzione è una cosa che non piace ancora a nessuno. Poi c’è il messaggio sovranista che associa gli aborti all’invasione dei migranti».

A confermare questo accostamento, Francesca Koch, presidente del consorzio Casa Internazionale delle donne di Roma, che recentemente ha subito un pesante attacco con l’affissione di uno striscione contro la legge 194 e lancio di volantini. Fra gli slogan: non vogliamo immigrati, Italia agli italiani. Come a dire, se le italiane facessero più figli, niente più invasione etnica. «Il clima fascista si vede anche nello spazio dato ai “pro-vita”, addirittura invitati in Senato con diritto di parola a diffondere dati falsi. Anche a livello europeo vediamo preoccupanti iniziative su diritti che pensavamo acquisiti. Serve un rilancio della 194 e della convenzione di Istanbul, con uno sguardo all’aspetto globale dei movimenti delle donne; negli ultimi mesi abbiamo visto in Polonia, Argentina, Brasile il ritorno di politiche fanatiche, repressive, fondamentaliste e reazionarie, pensiamo a Marielle Franco, assassinata per il suo attivismo. Noi donne ci siamo, siamo già in movimento in tutto il mondo e in Italia. I maschi devono rispettare le scelte delle donne: c’è un momento di restaurazione, lo vediamo nelle vicende di cronaca, nella inenarrabile serie di violenze e femminicidi. Aldilà di pochi circoli illuminati non mi sembra che i maschi stiano scendendo in campo per i diritti delle donne, neanche per il loro diritto di non essere madri».

Per una voce maschile in merito, abbiamo chiesto a William Jourdan, pastore valdese e componente della Commissione bioetica delle chiese battiste, metodiste e valdesi in Italia: «Credo che il coinvolgimento da ambo i lati, maschile e femminile, debba essere nell’ottica della prevenzione. In caso di concepimento, si tratta di condividere una responsabilità che interpella entrambi. Paradossalmente, se da un lato è facile dire “decidi tu”, dall’altro è un modo subdolo di abdicare alla responsabilità del proprio corpo a discapito del corpo femminile. C’è il rischio che il soggetto maschile declini le sue responsabilità, abbandonando la propria compagna. Il primo documento della Commissione sottolineava con forza il principio di autodeterminazione della donna; ritengo che tale riferimento rimanga fondamentale, differenziandolo a seconda di situazioni specifiche ed evitando quindi di far apparire la questione come se si trattasse sempre della prevalenza di una vita sull’altra. Una chiesa che voglia testimoniare la propria posizione contro l’aborto, non partecipa a marce contro normative che garantiscono diritti e sicurezza, cercherà piuttosto di riflettere sui bisogni delle donne. Sui diritti acquisiti, invece, la chiesa non deve arretrare di un centimetro».

(***) ripreso dalla newsletter quotidiana di «Riforma» che è «l’organo di informazione delle Chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia».

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

NELLA SECONDA FOTOGRAFIA lo striscione provocatorio di “Forza Nuova” attaccato sul portone della Casa internazionale delle donne (di Roma). Chi conosce un po’ di storia italiana recente vedendo fascisri usare l’espressione “strage di Stato” dirà che è davvero… il colmo, visto che le stragi (per conto e d’intesa con lo Stato) dal 1969 in poi le hanno fatto loro o i loro “fratelli maggiori”. [db]

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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