Ecuador: il tradimento di Lenín Moreno

Da baluardo contro le destre che vincono in buona parte del continente latinoamericano, il presidente del paese andino si avvicina agli Stati uniti, alle multinazionali e agli industriali. La sua traiettoria ricorda quella di Lucio Gutiérrez.

di David Lifodi

“Siamo in un momento favorevole per far avanzare l’Ecuador sotto molti aspetti politici, economici e militari. Il paese è pronto a progredire”. Basta questa dichiarazione, pronunciata dall’ambasciatore Usa in Ecuador, Todd Chapman, a far capire l’enorme passo indietro compiuto dal paese andino da quando Lenín Moreno si è insediato a Palacio de Carondelet.

La traiettoria di Moreno sembra molto simile a quella di Lucio Gutiérrez. Il primo, eletto tra il giubilo delle sinistre latinoamericane, già allora in  un momento di grande difficoltà, nel ballottaggio del 2 aprile 2017 contro il banchiere neoliberista Guillermo Lasso, avrebbe dovuto proseguire nel percorso della Revolución Ciudadana intrapreso da Rafael Correa, di cui era stato vice per sei anni, dal 2007 al 2013. Il secondo, presidente del paese dal gennaio 2003 al 20 aprile 2005, aveva vinto le elezioni contro l’imprenditore del settore bananiero Álvaro Noboa, grazie al sostegno della sinistra, della Conaie (una delle più potenti confederazioni indigene dell’Ecuador) e del movimento Pachakutik. Entrambi, però, subito dopo le rispettive affermazioni elettorali, hanno finito per avvicinarsi fin troppo agli Stati uniti, ma soprattutto al neoliberismo e alle destre nazionali e regionali. Gutiérrez fu destituito a seguito della rivolta dei forajidos e si guadagnò l’eterno disprezzo delle organizzazioni popolari indigene, che inizialmente lo avevano appoggiato fino a guadagnare due ministeri nel suo governo, quanto a Moreno, di certo si può dire che abbia tradito gli ideali degli elettori che lo avevano preferito a Lasso nelle urne.

Tra le mosse che lasciano più perplessi, per il momento, l’intenzione del presidente di negoziare quel trattato di libero commercio con gli Stati uniti che già era stato fortemente contestato nelle piazze e bocciato da Rafael Correa tra il 2004 e il 2006. Lo scorso giugno Moreno, insediatosi alla presidenza da meno di un mese, garantì al vice presidente Usa Mike Pence che avrebbe gettato le basi per ratificare un nuovo trattato di libero commercio, su cui le due parti hanno iniziato a lavorare a partire da novembre.

Anche a livello di sicurezza, rispetto a Rafael Correa, che si era guardato bene sia dall’intervenire nella complessa situazione della Colombia (paese confinante con l’Ecuador) sia dal dare corda ai propositi belligeranti degli Usa, infuriati per gli sconfinamenti aldilà del confine dei guerriglieri delle Farc, Lenín Moreno ha deciso di accettare le offerte statunitensi per una strategia comune volta, almeno ufficialmente, a combattere il narcotraffico. In realtà, lo scopo della collaborazione nasconde il vero interesse degli Stati uniti, cioè quello di tenere sotto controllo la frontiera tra Colombia ed Ecuador ed imporre la presenza di un’unità investigativa transnazionale i cui compiti restano tuttora assai dubbi.

Preoccupano, inoltre, anche gli stretti legami di Lenín Moreno con esponenti dell’American Society – Council of the Americas, di cui fanno parte imprese come Exxon Mobil, Chevron, Cargill, Barrick Gold e Goldman Sachs, fino a partecipare, nel settembre scorso, ad un evento privato organizzato a New York dalla stessa As/Coa.  Tutto ciò è molto grave, soprattutto se pensiamo al contenzioso tra l’Ecuador e Chevron, il gigante petrolifero condannato nel 2011 a pagare al paese andino 9.500 milioni di dollari per l’inquinamento delle fonti d’acqua nella regione  del Lago Agrio. Tuttavia, lo scorso 7 settembre, a L’Aja, è stato emesso un verdetto a favore di Chevron poiché la precedente sentenza, emanata dalla giustizia ecuadoriana, sarebbe stata conseguita a seguito di attività di frode e corruzione. Secondo l’ex ministro Aráuz, invece, la sentenza è stata ribaltata grazie alle modifiche della Ley de Fomento Productivo richiesta dalla stessa Chevron all’attuale ministro del Commercio estero Pablo Campana e con il sostegno significativo dell’onnipresente Todd Chapman.

La questione ambientale continua a rivestire un ruolo di primo piano in Ecuador, ma anche in questo caso Lenín Moreno ha completamente modificato la sua strategia rispetto alle attese nominando, il 3 dicembre scorso, Marcelo Mata in qualità di ministro dell’Ambiente. Mata non è una persona qualunque, ma è stato il responsabile della multinazionale petrolifera Repsol per l’ambiente. Repsol è una delle imprese presenti nel Bloque 16 del parco nazionale Yasuní, dove spesso si sono verificati episodi di violenza contro tribù di indios incontattate, tra cui i Waorani. Inoltre, Mata ha rivestito un ruolo di primo piano nel sostenere l’estrazione mineraria in aree del paese particolarmente fragili dal punto di vista ambientale.

In un articolo pubblicato sull’edizione italiana di Le monde diplomatique (dicembre 2018), dal titolo “In Ecuador, il neoliberismo a sorpresa”, il professore di Scienze politiche Franklin Ramírez Gallegos ha scritto che “i primi passi di Moreno hanno stupito la sinistra locale ed entusiasmato la destra”. Moreno ha fatto incarcerare il suo ex vicepresidente Jorge Glas, con l’accusa di associazione per delinquere, proposto che l’Ecuador entrasse nella filo statunitense Alleanza del Pacifico e, con il pretesto di lottare contro la corruzione, ha in pratica legittimato il neoliberismo, nominando Richard Martínez, presidente degli industriali ecuadoriani, a ministro dell’Economia. Contemporaneamente, nota ancora Gallegos, la sinistra si è divisa tra coloro che hanno fortemente contestato Correa, soprattutto durante il suo ultimo mandato (per via dello sfruttamento petrolifero nello Yasuní, per i suoi attriti con la Conaie e per l’estrattivismo minerario) e quelli che invece ancora lo sostengono, ma sono rimasti spiazzati dal repulisti anticorreista di Moreno.

La conclusione di Franklin Ramírez Gallegos è a tinte fosche, ma rischia di non essere sbagliata: “Come è accaduto all’ex presidente brasiliano Temer, Moreno sarebbe riuscito a danneggiare sia quelli che lo hanno portato al governo sia quelli che hanno sostenuto la sua crociata antipopolare. Tutti conoscono il seguito della storia in Brasile”. E in Ecuador i tempi in cui le organizzazioni popolari cacciavano i presidenti da Palacio de Carondelet, come accaduto più volte in passato, sembrano essere ormai svaniti.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *