Ecuador: la protesta non si arresta

Nonostante la morte di alcuni dirigenti della Conaie. E i movimenti sociali definiscono il governo di Lenín Moreno come “neofascista”.

di David Lifodi (*)

Il neoliberismo si è manifestato in Ecuador sotto forma della violenza e della repressisone di Lenín Moreno, ma, per il decimo giorno consecutivo, le strade di Quito e delle altre città del paese sono state attraversate da enormi manifestazioni di protesta. La parola d’ordine è resistere. Fino a quando il paquetazo non sarà ritirato, le piazze resteranno sulle barricate.

L’unico scopo di Lenín Moreno, già nei mesi successivi alla sua elezione, è stato quello di smantellare il correismo, pur non esente da contraddizioni. Soprattutto a livello economico, il presidente si è adoperato per preparare il terreno all’intervento del Fondo monetario internazionale. Ora, assediato dalle marce di ripudio e costretto ad inviare la polizia per sedare i cortei contro di lui e il suo governo, Lenín Moreno prova a calmare gli animi, giurando di aver raggiunto un primo passo verso il dialogo con i popoli indigeni. A smentirlo ha pensato subito la Conaie – Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador – che ha incolpato il governo della morte di alcuni suoi dirigenti, tra cui Inocencio Tucumbi, José Rodrigo Chaluisa, Marco Oto e Raúl Chilpe. Secondo il Defensor del Pueblo, Freddy Carrión Intriago, dallo scorso 3 ottobre sono state arrestate 864 persone, la maggior parte delle quali maltrattata dalla polizia.

La posizione del movimento contro Moreno è chiara: “Non negozierà né dialogherà con il governo fintanto che: non rimuoverà le riforme politiche che innalzano il prezzo della benzina e riformano l’economia, non rimuoverà lo stato di emergenza, non si dimettono la ministra Maria Paola Romo incaricata della polizia e Osvaldo Jarrín incaricato delle forze armate. Se queste condizioni non si accettano, il movimento sociale dice chiaramente che non dialogherà con il governo dato che queste sono le uniche condizioni mediante le quali aprire un dialogo”. Questo è ciò che ha ha scritto Edoardo Meneses, esponente del movimento di educazione popolare e il cui messaggio integrale è stato ripreso sul giornale on line la Città futura.

Sempre presente, fin dalla sua nascita, nelle organizzazioni antineoliberiste del paese, la Conaie a partire da fine settembre, e quindi prima del paquetazo, aveva promosso la Jornada progresiva de lucha, condannando fermamente la matrice estrattivista del governo, la flessibilizzazione e la precarizzazione del lavoro, l’aumento del prezzo del trasporto pubblico. Lo sciopero a tempo indefinito lanciato dalle organizzazioni sociali contro il presidente Moreno intende denunciare inoltre la criminalizzazione di tutti i diritti fondamentali. La Conaie, parlando apertamente di neofascismo di governo, chiede di revocare l’accordo con il Fondo monetario internazionale e propone un piano plurinazionale in difesa della sovranità dei popoli indigeni, per la tutela dell’economia contadina, dei diritti del lavoro, in difesa della sanità pubblica, dei diritti delle donne e per la salvaguardia della libertà di stampa. A questo proposito, Mariano Quiroga e i giornalisti del programma di Pressenza “En La Oreja”, in onda sulla Radio Pichincha Universal, denunciano la censura di governo. 

Lenín Moreno e i suoi ministri, lo scorso 10 ottobre, pur affermando che non avrebbero mai revocato il paquetazo, hanno cercato di riannodare il dialogo con la Conaie pensando di comprarla tramite l’offerta di sussidi ai piccoli agricoltori, ma la proposta è stata rimandata al mittente. Non solo. Nel frattempo, mentre il governo fingeva di cercare un dialogo con i movimenti sociali, scateneva una nuova, violenta repressione contro gli indigeni giunti al parque El Arbolito, non lontano dal palazzo presidenziale di Carondelet, dove il presidente era stato costretto a tornare, in seguito alla breve fuga verso Guayaquil, poiché era stato abbandonato anche dal dirigente del Partido Social Cristiano Jaime Nebot, esponente di primo piano dell’oligarchia costeña dell’Ecuador.

Il ripudio nei confronti di Lenín Moreno è tale che la risposta al paquetazo non è venuta soltanto dai popoli indigeni, ma anche dagli studenti, dalle donne e da un intero popolo che è andato via via impoverendosi a causa delle misure economiche prese dal governo. Tuttavia, la restaurazione neoliberista, manifestatasi sempre sotto le spoglie della violenza, della repressione e dell’imposizione di paquetazos, ha molte frecce al suo arco, a partire da quella di un rimpasto di governo per fingere di venire incontro alla protesta fino all’utilizzo del bastone e della carota. Da un lato il governo giustifica il paquetazo come misura necessaria per “il bene del paese”, dall’altro utilizza la forza per ridurre al silenzio le opposizioni.

Una cosa è certa: le mani del governo sono macchiate di sangue, ma verso l’Ecuador non c’è lo stesso interesse mediatico per il Venezuela e nessuno sembra essere interessato a denunciare la situazione sempre più drammatica di un paese nelle mani di un manipolo di repressori screditati anche da una parte della stessa oligarchia.

(*) Fonte: Peacelink – 14 ottobre 2019

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David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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