Ecuador: la traiettoria neoliberista di Lenín Moreno

Nella sua battaglia per distruggere il correísmo ci rimette l’intero paese, ormai nelle mani di multinazionali e grandi imprenditori

di David Lifodi

 

Lo scorso 29 maggio, il quotidiano spagnolo Abc, legato alla destra, titolava: “Lenín Moreno si allontana dal socialismo tradizionale in Ecuador”. Certo, l’articolo intendeva mettere il dito nella piaga delle contraddizioni di un presidente che, per certi versi insieme al suo predecessore Rafael Correa, ha finito per mettere in discussione tutti quei concetti legati al buen vivir che sembravano far intravedere un futuro ben più luminoso al paese andino. Inoltre, Thalía Flores, la corrispondente di Abc da Quito, quasi si compiaceva per la sterzata a destra del nuovo inquilino di Palacio de Carondelet.

A quasi un anno e tre mesi dal successo elettorale di Lenín Moreno, non si può far a meno di constatare che non solo il presidente ha scelto di allinearsi alle politiche economiche della destra, ma che la sua battaglia per la cosiddetta descorreización dell’Ecuador rischia di trasformarsi in un’attività destabilizzante per tutto il paese.

In primo luogo, a fine maggio, Moreno ha nominato come ministro dell’Economia e delle finanze Richard Martínez, uomo di spicco del Comité Empresarial Ecuatoriano, con buona pace del socialismo nuevo, inclusivo e incluyente sbandierato dallo stesso presidente. Se il periodo 2007-2017, quello del correísmo, al netto della testardaggine e dell’ego smisurato di un presidente che ha scelto di mettere in discussione l’attivismo della Conaie, una delle più grandi e influenti sconfederazioni indigene dell’Ecuador e varato una delle Costituzioni più all’avanguardia in quanto a tutela dei diritti, anche degli indios, mettendola però in pratica solo in maniera minima, aveva rrappresentato certamente un decennio di progresso per il paese, oggi sembra che la preoccupazione principale di Moreno sia quella di cancellare tutto ciò che aveva fatto l’ex presidente. Alcuni storici hanno sottolineato che con Lenín Moreno è iniziato un nuovo periodo storico all’insegna del “modello imprenditoriale del XXI secolo”, in sostituzione del “socialismo del XXI secolo”.

Di fatto, in un contesto economico assai difficile, a partire dalla crescita del debito estero, la disputa tra correísmo e morenismo (quest’ultimo sostenuto da una confusa alleanza progressista-neoliberale, un vero e proprio ossimoro), rischia di essere nociva per il paese. I tempi della Revolución Ciudadana sembrano essere lontani, soprattutto per l’inedita quanto inquietante unione tra partiti di destra, imprenditoria, elites economiche favorevoli al neoliberismo e una parte del progressismo morenista, tutti volti a sostenere e ad incentivare le privatizzazioni. Per quanto riguarda l’estrattivismo minerario, che ha giocato un ruolo di primo piano nella rottura di gran parte delle organizzazioni sociali, indigene, contadine e ambientaliste con Correa, anche Moreno, almeno in questo, sembra paradossalmente interessato a seguire la strada del suo predecessore: l’estrattivismo minerario sembra essere l’unico elemento di continuità tra Lenín Moreno e Rafael Correa.

L’incertezza politica dell’Ecuador è tangibile, in un paese che non è lo stesso che nel 2007 votò con entusiasmo per Correa, dopo le esperienze fallimentari, tra le altre, di Jamil Mahuad (1998-2000), Gustavo Noboa (2000-2003), che per un triennio impose la dollarizzazione al paese e Lucio Gutiérrez (2003-2005), presentatosi come il presidente delle comunità indigene per poi tradirle e, optando per un clamoroso voltafaccia, andò a braccetto con il Fondo monetario internazionale. Tuttavia, quella che sembrava la década ganada del decennio 2007-2017, oggi appare come un’occasione persa da entrambi. Se Correa ha utilizzato una retorica rivoluzionaria senza però trasformare le parole in fatti, limitandosi a far entrare il paese nell’Alba, ma intestardendosi in una guerra inutile e dannosa con i movimenti popolari, ben peggio potrebbe fare Moreno.

L’attuale sistema di alianzas público-privadas, che Moreno ha mutuato dall’ex presidente del Paraguay Horacio Cartes per privatizzare trasporti, idrocarburi, telecomunicazioni e opere pubbliche e la scommessa sulla flessibilizzazione dei contratti di lavoro rappresenteranno probabilmente solo i primi passi del morenismo, che nonostante tutto aveva proposto un primo piano economico ritenuto comunque insufficiente dalle grandi imprese. Le elites sono state soddisfatte solo dalla nomina di Richard Martínez a ministro dell’Economia.

Di fronte a questo scenario, sinistre e movimenti hanno il compito di riorganizzarsi prima che il paese torni ad essere completamente ostaggio del neoliberismo.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *