Ecuador: resistenza al femminile per l’Amazzonia

di David Lifodi

L’Ecuador è uno dei paesi latinoamericani dove gli effetti dell’estrazione mineraria a cielo aperto hanno provocato i danni più gravi a livello umano, sociale, ambientale. Di più: il presidente Rafael Correa è un convinto sostenitore del business minerario, per questo i movimenti sociali, indigeni e ambientalisti da tempo hanno rotto con il suo governo. In questo caso, però, l’aspetto più interessante e originale di questa vicenda sta nelle organizzazioni che si oppongono all’estrazione mineraria: in prima fila troviamo infatti il Frente de Mujeres Guardianas de la Amazonia, composto in larga maggioranza dalle contadine della provincia di Morona Santiago.

Situata nel sud dell’Amazzonia ecuadoriana, la provincia di Morona Santiago si appresta ad ospitare la costruzione di due miniere a cielo aperto dedite all’estrazione del rame: Pananza San Carlos e Mirador. Entrambe appartengono alla multinazionale cino-canadese Corriente Resources che, tramite l’accordo firmato il 5 Marzo scorso tra Correa e la filiale locale Ecuacorriente, intende fare di Morona Santiago la provincia capofila del paese per l’estrazione mineraria. E’ da queste premesse che è sorto il Frente de Mujeres Guardianas de la Amazonia, una delle esperienze di lotta al femminile ad oggi più innovative nel continente latinoamericano: non solo militanza e impegno nella difesa dei boschi, dei fiumi e dei beni comuni che le multinazionali vogliono rapinare, ma anche lotta per la sopravvivenza delle loro famiglie. L’impegno ambientalista, spiegano le donne del directorio del Frente, è necessariamente coniugato con il lavoro quotidiano per le famiglie della comunità. E, talvolta, non è semplice portare avanti il ruolo di defensoras de derechos insieme a quello di madri che devono occuparsi dei figli: capita che sorgano dei conflitti intrafamiliari a causa del loro impegno in prima fila nelle lotte sociali. E ancora, spiegano, è assai temuto il rischio di farsi degli anni di carcere: non solo per essere sottoposte a giudizio con poche possibilità di difesa da buoni avvocati, ma perché sarebbero costrette a lasciare da soli mariti e figli. Eppure le donne del Frente sono indomite, lo si vede dall’attenzione che pongono ai rischi derivanti dalla miniera, in cui intravedono rischi per la sopravvivenza dei loro stessi figli e delle future generazioni. L’ecosistema amazzonico è fragile e l’estrazione mineraria rappresenta un vero e proprio progetto di morte, sia per l’avvelenamento dei fiumi e l’inquinamento dell’aria (in cui sono sprigionate sostanza tossiche) sia per la distruzione dell’economia familiare fondata sulla piccola agricoltura e sull’allevamento di bestiame. Una delegazione di attiviste anti-miniera si è recata a Cajamarca, la zona dove il governo del presidente peruviano Ollanta Humala vuol imporre il Proyecto Conga: già in quel caso il Frente de Mujeres Guardianas de la Amazonia ha notato che i più deboli e indifesi sono i bambini, quelli che pagheranno a caro prezzo l’estrazione mineraria. La mobilitazione femminile, spiegano le donne di Santiago Morona, ha segnato un cambiamento importante nella vita di molte di loro. Fino all’esplosione dei conflitti minerari molte di loro non avevano voce, tante erano analfabete, e non in grado di difendere i propri diritti. L’arroganza con cui il governo centrale ha imposto l’estrazione mineraria è servita da stimolo per l’auto-organizzazione: non più, e non solo, madri di famiglia e lavoratrici nelle campagne, ma lottatrici sociali in grado di comprendere che veniva rubato loro il futuro: da qui hanno cominciato a combattere per veder riconosciuti i propri diritti. Di qui la scelta di portare il Frente all’interno della Coordinadora Nacional por la Defensa de la Vida y la Soberanía de Ecuador e, a livello regionale, della Unión Latinoamericana de Mujeres. Le chiamano terroriste, ma il loro unico “delitto” è quello di mobilitarsi per difendere la vita e la sovranità di un paese che Correa, nonostante i suoi discorsi da duro nei consessi internazionali, ha venduto alle multinazionali. Si tratta della cosiddetta politica neosviluppista, quella che ha portato il viceministro delle miniere Federico Auquilla, con un sorriso a trentadue denti, a dichiarare all’agenzia di stampa Reuters che il governo ecuadoriano è già pronto a firmare un altro contratto, stavolta tra l’impresa statale Enami e la cilena Codelco (chiedere ai mapuche, che l’hanno già denunciata per danni ambientali) per lavorare congiuntamente all’estrazione di oro e rame. Lo stesso viceministro ha proseguito, entusiasta, comunicando che in Ecuador c’è la fila di imprese minerarie canadesi, australiane, sudafricane e cilene interessate a lavorare nell’estrazione a cielo aperto. Di fronte a queste dichiarazioni le donne del Frente temono una vera e propria moltiplicazione dell’estrazione mineraria, da cui deriverà un’altra serie di problemi. Il primo tra tutti riguarda l’arrivo nei territori indigeni di cercatori d’oro autonomi, che solcheranno i fiumi in maniera illegale ed il cui contatto con alcune tribù isolate potrebbe modificare i già fragili equilibri ed alterare legami sociali tessuti pazientemente. Inoltre, una sciagura non viene mai da sola: all’estrazione mineraria si sommerà la conseguente costruzione delle centrali idroelettriche, necessarie per rifornire le miniere di energia elettrica, da cui deriveranno danni pesantissimi all’ecosistema fluviale. Sul progetto Pananza-San Carlos le comunità indigene non sono state nemmeno consultate, nonostante negli anni scorsi proprio il presidente Correa, di fronte alla gente di Santiago Morona, avesse garantito che il parere delle comunità sarebbe stato preso in considerazione, così come non sarebbero stati violati i diritti ancestrali degli abitanti del luogo.

“Correa vuol distruggere la biodiversità amazzonica”, ha sentenziato senza mezzi termini la Conaie (la Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador) che, insieme al Frente de Mujeres Guardianas ha garantito che “siamo uomini e donne di lotta, sappiamo combattere e vincere”. Correa è avvisato: per lui sarà dura.

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