Edmond Jabès: parole e silenzi da non dimenticare

di Lella Di Marco

La redazione di “Officina”. Da sinistra, Angelo Romanò, Gianni Scalia, Franco Fortini, Pasolini, Francesco Leonetti, Roberto Roversi

Edmond Jabes nasce al Cairo il 16 aprile 1912 e muore a Parigi il 2 gennaio 1991. Figlio di genitori italiani ebrei nella capitale egiziana venne educato secondo i canoni della cultura coloniale . Fuggì con i suoi a Parigi quando con la crisi del Canale di Suez fu deciso di cacciar via tutti gli ebrei. In Francia strinse subito amicizia con i surrealisti , senza però fare mai parte di quel movimento. Ottenne la cittadinanza francese soltanto nel 1967. Intanto aveva cominciato a pubblicare ed essere riconosciuto fra i quattro intellettuali più famosi della Francia: con lui Albert Camus, Jean-Paul Sartre, Claude Levi-Strauss. Riceve riconoscimenti e premi internazionali di poesia. Diventa conosciuto al grande pubblico di intellettuali e di “addetti ai lavori” mentre una più vasta notorietà gli arriva soltanto negli anni ’80 a opera di Gianni Scalia brillante e versatile intellettuale bolognese, compagno di Roversi, Leonetti Volponi, Pasolini con lui fondatori della famosa rivista “Officina

Scalia pubblica nel 1982 nella sua collana “In forma di parole” – Marietti editore – quella che lui ritiene l’opera maggiore di Jabès cioè «Il libro delle interrogazioni» che è così tradotto in Italia per la prima volta.

Nel 1983 il poeta francese passa da Bologna per presentare il suo libro nella sede dell’Associazione culturale italo-francese, scatenando un vero e proprio fenomeno conoscitivo. Memoria di un ricordo ormai lontano che continua a fare eco fra chi a quell’evento ha partecipato .

I meno giovani ricorderanno la vivacità intellettuale, creativa, di aggregazione di movimenti giovanili , di lotte e speranza di rinnovamento, di quegli anni a Bologna. La produzione di riviste di riflessione sul movimento del ’77 come «Il cerchio di gesso» (pensata da Gianni Scalia con altri intellettuali e artisti) e come tutto ciò contribuisse a creare un “colorato” immaginario collettivo. A tale proposito è da segnalare che in questi giorni Michele Righini – un giovane intellettuale studioso di Pasolini che lavora in Archiginnasio a Bologna – ha messo in rete la digitalizzazione dei numeri «Il cerchio di gesso», facilmente reperibili al sito dell’archiginnasio: http://badigit.comune.bo.it/books/cerchio-di-gesso/

Scalia era irriverente verso la cultura istituzionale, fu docente atipico: lungi dall’essere accademico, praticava una sua forma di “corruzione dei giovani” di socratica memoria . In quegli anni anch’io incontravo spesso Scalia e mi affascinava il suo modo di essere, non porgendo la verità come “colui che sa” ma in modo maieutico spronando l’interlocutore a “partorire le idee” in modo autonomo. Nel dialogo. Nella parola parlata più che in quella scritta.

Tanto per Scalia era fondante la parola quanto per Jabès il silenzio. Quel silenzio che – secondo lui . fra due interlocutori è la parte più importante in chi ascolta e tace. Il silenzio che Jabès aveva conosciuto nel deserto, nella condizione di quattro secoli di esilio, della sua famiglia ebrea.

Lui si definì «ebreo e scrittore non scrittore ebreo». Praticando ASCOLTO E SCRITTURA.

Dunque scrivere rimanendo in ascolto… anche del proprio libro per centrarne la struttura. Un libro mal scritto è un libro mal letto.

E l’ascolto misto alla parola parlata è la metodologia della BIBLIOTECA «in forma di parole» a cura di Gianni Scalia. Libero luogo d’incontro di un gruppo di studiosi raccolti attorno al lavoro comune che si esprime nella rivista omonima fondata nel 1980. «Nella BIBLIOTECA si pubblicano testi di autori noti ancora nascosti alla circolazione nella lingua e nella cultura italiane o testi di autori poco noti con il desiderio di mostrare non dimostrare, far conoscere e comunicare , ciò che è inaudito e inascoltato dai dogmi e dalle mode del momento . Con l’intento di scoprire e trovare ciò che sembra bello , vero, giusto, opportunamente silenzioso . CON L’UNICO PIACERE DI DARE E RICEVERE PIACERE».

Scalia è Jabès. Pur essendo profondamente altro da lui. Agli antipodi. Per cultura, formazione, storia politica e personale. Ma è dentro l’essenza della sua scrittura , in quella traduzione che, mai come nella scrittura poetica di Jabès, significa cogliere il senso profondo di un’idea, del pensiero.

I suoi libri scritti sfuggono a ogni classificazione letteraria, sono filosofia dei maggiori drammi della vita umana: dal dolore alla sofferenza, dalla solitudine alla morte, dall’isolamento all’essere errante. Anche da se stesso. Scrittura per una narrazione esistenzial-filosofica come piace ai critici moderni. Non credo che Jabès abbia epigoni. E’ lo scrittore del dopo Auschwitz che ha sottoscritto la morte della cultura occidentale.

Per non scordare meglio l’autore… preferisco citare qualche altro pensiero di Gianni Scalia che definisce «Il libro delle interrogazioni» (uno della trilogia da lui pubblicata) «un libro di ricerca fatto di rotture . Per questo sconcertante , un libro aperto “plurale” a più piani stratificati e intrecciati “a voci” che richiamano qualcosa di solenne e familiare, di prossimo e di remoto… Un libro non fondato su una storia romanzesca perché la storia individuale è parte della storia universale del dolore e della coscienza ebraica. Jabès sovverte i generi e il Libro delle interrogazioni può appartenere al poema e al racconto, alla lirica e alla meditazione, al dramma e al dialogo, alla profezia e alla riflessione, alla dimostrazione e alla conversazione, alla poesia e al salmo (nel senso ebraico di modulazione ininterrotta della parola). Jabès è della famiglia degli spiriti “trasgressivi” e “ sovversivi” ( se entrambi i termini ormai non fossero suscettibili di inflazione)… non c’è in lui una teoria per cui si proclami la morte della letteratura o la ribellione contro la letteratura. La sovversione consiste nella ricerca: non è distruzione del senso ma preservazione per aprirlo ad altro senso. Leggere Jabès determina una forte implicazione nella sua parola, nella pluralità dei registri e delle voci, nella sperimentazione di un linguaggio multiplo; narrativo, discorsivo, aforistico, lirico. E il linguaggio della poesia, della parola poetica e pensante è forse l’unica speranza di essere ancora capaci di “verità”: la verità dell’ascoltare della comunione con le cose, del dialogo con l’altro,non attraverso la lingua delle merci, dei feticci, dei conflitti, nell’epoca della Metafisica, compiuta nella tecnica, nell’erranza ma nichilista del mondo attuale. Non nell’illusione ma nel bisogno dell’interrogazione. Come ricerca e libertà si custodiscono il mistero del senso e del fine, e il riconoscimento dell’alterità delle cose e d’altrui, dell’unica uguaglianza possibile per cui l’uomo è altro all’altro uomo»

E quale obiettivo aveva Socrate – quindi Gianni Scalia – se non turbare e confondere l’interlocutore nei suoi lunghi ed estenuanti dialoghi? Se non la ricerca del vero o della verità possibile?

E Jabès, quasi in continuazione, ci dice:

«Non penso che i miei libri siano illeggibili, oscuri, diventano tali solo se vi si cerca una certezza . Il lettore ideale è colui che attraverso i miei libri sappia assumere le sue personali contraddizioni, la sua propria vertigine e impari, a poco a poco, a non lasciarsi spaventare.

i miei libri sono fatti per essere letti, poi per essere detti

Perciò li chiamo racconti

Le parole muovono tutto, vogliono, a turno, convincere.

Hai visto vivere una parola?

Hai visto vivere due parole?

Allora, ascolta.

Ti dono le parole dei miei libri

Guarda vivere le parole

Dopo ascolta

Ti dono il destino dei miei libri».

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

La redazione – abbastanza ballerina – della bottega

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • lella di marco

    mi scuso per l’imprecisione relativa alla citazione della rivista IL CERCHIO DI GESSO
    e alla recente digitalizzazione di tutti i numeri pubblicati, a cura della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna .

    La rivista, non nasce come tale ma fa seguito ad un convegno contro la repressione del 77 a Bo.
    la messa in rete fa parte di
    un progetto curato da Maurizio Avanzolini e Michele Righini
    facilmente reperibile al sito dell’Archiginnasio :http//badigit.comune.bo.it/books/cerchio-di-gesso/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *