Emergenza carceri in America Latina: tante ombre e qualche luce

di David Lifodi

I dati del Registro Nacional de Casos de Tortura y/o Malos Tratos sono impietosi: nell’ultimo anno, nelle carceri argentine, sono stati segnalati oltre 3500 casi di violenza e maltrattamenti commessi a danno dei detenuti. Le aggressioni fisiche, la mancanza di attenzioni mediche e le fatiscenti condizioni dei penitenziari del paese, unite agli abusi della polizia all’interno degli istituti di reclusione, sono comuni a tutti i paesi dell’America Latina. Drammatica anche la situazione dei minori e, più in generale, dei giovani detenuti, mentre all’orizzonte si va fa profilando un sistema di privatizzazione delle prigioni che, se da un lato presenta infrastrutture migliori, dall’altro non è necessariamente garanzia di istituti di pena più umani e vivibili.

In Argentina, i dati di cui è in possesso il Registro Nacional de Casos de Tortura y/o Malos Tratos sono stati raccolti in 26 unità penali, 4 istituti per minori, 8 unità del servizio penitenziario federale e un commissariato di polizia. Ne è emerso un quadro in cui lo stato non è in grado di far fronte all’impunità imperante nelle carceri. A questo proposito, segnala l’Asociación Civil de Familiares  de Detenidos en las Prisiones Federales, detenuti e familiari percepiscono di essere considerati come “indesiderati”. Un concetto simile è espresso anche da Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace e presidente della Comisión por la Memoria (Cpm) della provincia di Buenos Aires: “Lo stato non può utilizzare le carceri del paese come deposito di essere umani”. L’emergenza carceri non è, purtroppo, una prerogativa dell’Argentina. In Brasile, il rapporto diffuso di recente dalla Pastorale Carceraria traccia un quadro preoccupante e segnala che non è stato facile entrare in possesso dei dati sulle prigioni del paese. Il lavoro condotto dalla Pastorale Carceraria, che di solito opera nei penitenziari statali, stavolta si è basato su un’indagine svolta in merito alle prigioni costruite dalle imprese private. Ne è emerso che, a fronte di strutture migliori, gli istituti penitenziari non garantiscono comunque le necessarie attenzioni richieste dalla popolazione carceraria: ad esempio, mancano completamente le attività ricreative e culturali all’interno degli istituti di pena, né sono mai stati programmati dei corsi professionalizzanti per i detenuti. E ancora: non c’è alcuna trasparenza per quanto riguarda l’amministrazione delle carceri private, a partire dai contratti stipulati dalle amministrazioni carcerarie con i governi dei singoli stati. Dal 1999, l’anno in cui in Brasile fu costruito il primo carcere privato, nel Paraná, attualmente sono presenti nel paese trenta penitenziari gestiti da imprese private negli stati di Santa Catarina, Espírito Santo, Minas Gerais, Bahía, Sergipe, Alagoas e Amazonas. Secondo i dati in possesso della Pastorale Carceraria, nelle carceri private sono recluse circa ventimila persone: il periodo di tempo per il quale un’impresa privata può gestire una prigione non può superare i trenta anni. Nelle carceri private non c’è il problema del sovraffollamento, né reclusi difficili da gestire sotto il punto di vista dell’ordine pubblico, ma la mancanza delle attività ricreative è dovuta al fatto che ciò comporterebbe ulteriori spese per le singole amministrazioni, il cui scopo è invece quello di gestire i detenuti, per quanto possibile, a costo zero. In realtà, sostiene la Pastorale Carceraria, lo stato dovrebbe occuparsi di migliorare le strutture e la qualità della vita dei penitenziari pubblici, a partire da un maggiore controllo nei confronti degli agenti penitenziari. In Bolivia, invece, l’emergenza carceri va di pari passo con la questione della giustizia minorile e la violazione dei diritti umani. La detenzione preventiva dei minori nel paese andino raggiunge la percentuale più alta dell’intero continente latinoamericano: l’83% di loro sconta in carcere il periodo che li separa dal giudizio. L’organizzazione non governativa italiana ProgettoMondo Mlal ha partecipato alla presentazione di un dossier a Washington, di fronte alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, sull’abuso della detenzione preventiva in Bolivia nei confronti dei minori. Da almeno dieci anni ProgettoMondo Mlal si occupa dei minori detenuti, in particolare di coloro che sono rinchiusi in penitenziari dove sono obbligati a convivere con gli adulti. Inoltre, la ong italiana è riuscita a dare impulso, ad El Alto, al centro Qalauma, la prima prigione boliviana dedicata esclusivamente ai minori, proponendo al tempo stesso delle misure alternative al carcere per i casi meno gravi e percorsi di reintegro sociale per i giovani che hanno subito una condanna, una rarità nel continente latinoamericano e non solo. A questo proposito, i percorsi riabilitativi sperimentati da ProgettoMondo Mlal nel penitenziario di Qalauma, dedicati a favorire i processi di risocializzazione dei giovani, saranno sperimentati in altri centri di detenzione per minori del paese, tra cui quello di Santa Cruz, con l’autorizzazione del governo boliviano. Palacio Quemado e ProgettoMondo Mlal hanno collaborato anche per l’applicazione del Codice del bambino, bambina e adolescente, promulgato dal governo boliviano.

In definitiva, in un continente dove i diritti dei detenuti spesso sono calpestati, restano molte ombre, ma anche qualche luce, determinata in questo caso dall’attenzione  del governo boliviano alla questione carceraria e, in particolare, alla detenzione dei minori.

 

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