Esproprio del tempo e ora “legale”

di Mario Agostinelli (*)

Durò secoli il tentativo di uniformare orari e calcolare longitudini in modo che su tutto il pianeta si potesse stabilire l’ora di riferimento, meridiano per meridiano. All’inizio furono gli orologi delle grandi città ad essere coordinati. Parigi lo fece con tubi sotterranei che collegavano pneumaticamente i quadranti sulle sue torri e nei suoi quartieri. Ben presto però, non bastò più la sincronizzazione dell’ora di una singola regione: i viaggi e le conquiste coloniali richiedevano precisione di calcolo dell’orario in punti di partenza ed arrivo sempre più distanti, sia per i mezzi di trasporto, sia per le comunicazioni commerciali sia per le spedizioni militari che raggiungevano continenti separati dagli oceani. Furono il telegrafo prima e le onde radio poi a stabilire con ottima approssimazione quale ora e minuto diversi scoccassero “contemporaneamente” in tutte le parti del mondo, tenuto conto della rotazione della terra e stabilito una volta per tutte il meridiano zero di riferimento (Greenwich, a testimoniare la centralità dell’impero inglese)). Nel pieno dell’era industriale si era giunti a sincronizzare pendole, orologi, sirene, rintocchi, ma a nessuno era ancora venuto in mente di “anticipare o ritardare” per legge il levare del sole.

A Benjamin Franklin è spesso attribuita l’idea di ora legale, da quando, in una lettera satirica del 1784 agli autori di The Journal of Paris, suggeriva alla società francese di approfittare di “usare il sole al posto delle candele”. A questa proposta, ritenuta una provocazione, replicarono stizziti i mungitori dell’Oregon, constatando che le loro mucche non erano pronte per essere munte fino alla fine naturale della giornata. Ribadivano, lavorando in campagna e lontano dal suono delle sirene, che non era né agevole né tantomeno indifferente allineare per convenzione le cadenze biofisiche del vivente ad uno spostamento delle lancette dell’orologio ordinato per legge. E comodo e senza qualche fastidio non lo è nemmeno oggi, nell’era digitale. Tanto è vero che, solo un lustro fa, il Journal of Applied Psychology rivelava che con l’ora legale si riscontrava un “drammatico” aumento della quantità di tempo che le persone appena entrate in ufficio dopo aver anticipato l’ora del risveglio, dedicavano a navigare su siti che niente avevano a che fare con il loro lavoro. Probabilmente, in attesa che il loro tempo fisiologico trovasse un allineamento accettabile con l’orologio del cartellino appena timbrato, ma spostato di un’ora nella loro testa. Il fatto stesso che ci si interroghi ogni volta, all’annuncio del cambio d’ora, se spostare in avanti o indietro la posizione degli orologi, denuncia l’estraneità di una prescrizione, considerata dai più sconclusionata ma ormai di prammatica, rispetto a quel tempo proprio di cui si è sempre più spesso spogliati. La diffusione ampia dell’ora legale fu affare di guerra, introdotta per la prima volta nel 1916 in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale e negli Stati Uniti ad inizio 1918 come sforzo bellico per risparmiare un’ora di carburante: in Italia durò dal 1940 al 1942 e quando, dal ’43 al ’45, fu divisa tra Repubblica Sociale al Nord (occupata dai tedeschi) e Regno d’Italia (liberato dagli alleati) il Paese ebbe due regimi diversi anche nell’orario giornaliero.

Da questa introduzione corredata da aneddoti, si può già arguire che non sono i ritmi naturali, ma una loro sottomissione al mondo artificiale della produzione e del consumo nonché alle convenenze dell’economia, ad aver suggerito e a suggerire l’adozione o meno del cambio d’ora per legge. Anche se il provvedimento si presentava come una medicina per meglio adeguare i corpi all’estensione della luce nei mesi estivi, non è mai stato molto popolare ed è stato fonte di noiose disfunzioni quasi in ogni casa e in ogni ambiente. Quando naturale e artificiale si pongono in conflitto, emergono inaspettati inconvenienti, perfino bizzarri, come mostra uno studio dell’Università dello Utah in cui si valuta che il semplice atto di cambiare gli orologi costa agli americani 1,7 miliardi di dollari in opportunità perse basate su retribuzioni orarie medie: il che significa che una decina di minuti passavano a spostare orologi e dispositivi in avanti e indietro. Secondo l’indice economico Lost-Hour, spostare gli orologi in avanti ha un costo totale per l’economia degli Stati Uniti di $ 434 milioni a livello nazionale, tenendo conto di problemi di salute, diminuzione della produttività e infortuni sul lavoro.

A prima vista si direbbe che le motivazioni stiano nel risparmio di energia e, come detto sopra, nel prolungamento della luce fruibile a sera nel periodo estivo. Ma, allora, perché l’Europa prevede dal 2021 un’ora legale continua per tutti i 365 giorni e perché la Russia invece non ha preso in considerazione modificazioni stagionali e rimane ancorata all’ora solare? Si dice che nell’ora di sole in più godremmo di più tempo libero da trascorrere all’aria aperta, con relativo assorbimento di serotonina e produzione di vitamina D che fanno bene al sonno e alla salute – e questo è un bene. Ma si parla anche di maggior presenza al lavoro e di più lunga permanenza tra gli scaffali dei grandi magazzini dove i condizionatori funzionano più a lungo. Insomma: tirate le somme, si scopre che l’ora legale è nata e si trasformerà in un regime permanente in base ad una logica industriale ed economicistica, oltre che per una spinta ai consumi. E’ nel conflitto tra sistema artificiale da cui siamo circondati e biosfera con cui conviviamo e che consumiamo, tra economia e vita se non addirittura tra ricchezza e povertà, che possiamo trovare spiegazioni più convincenti. La digitalizzazione, la produzione e il consumo 24 ore su sette giorni, la velocità della luce che rende pressoché istantanee operazioni distanti, la connessione di miliardi di computer che elaborano milioni di operazioni ad ogni nostro clic, la diffusione e lo stoccaggio delle energie rinnovabili pienamente fungibili ai fossili, hanno anche reso meno percettibile la differenza tra buio della notte e illuminazione del giorno, sparigliando molte cose e mettendoci di fronte a contraddizioni impreviste. Il cambio d’ora non serve più, perché l’obbiettivo del sistema neoliberista è quello di abolire il sonno pur di accelerare e saturare il tempo di produzione e di consumo. Questa è la frontiera che si vorrebbe occupare e valicare, annullando la differenza tra giorno e notte, chiaro e buio, luce solare e illuminazione artificiale. Le ragionevoli esigenze umane sono state sostituite in modo onnipervasivo e irreversibile dalle procedure informatiche delle reti inarrestabili e dalla trasmissione “all’infinita” velocità della luce negli intricati circuiti delle fibre ottiche. Quando si comincerà finalmente a riflettere con profondità sulla coesistenza più o meno possibile tra giorno, notte, lavoro, consumo, veglia, festività, riposo ed eccesso di capacità trasformativa del lavoro, sopportazione del carico naturale, distruzione degli equilibri climatici, obsolescenza degli investimenti ad alta tecnologia, concentrazione e proprietà privata della conoscenza, allora ci si renderà conto che la cura della Terra richiede una società diversa, più giusta, più lenta, per armonizzare il tempo delle nostre esistenze e delimitare gli spazi che attraversiamo a velocità innaturali senza abitarli mai.

Anticipare, modificare, annullare addirittura i cicli naturali con cui convivere, fa parte forse di una insopprimibile e deprecabile propensione della specie umana: l’economista Georgescu Roegen lamenta che l’umanità sia propensa a vivere creando con il suo comportamento il massimo di entropia, di disordine nell’ambiente. Dopo esserci resi autonomi dalla natura e dai suoi ritmi, ci dovrebbe far riflettere quello che sta succedendo al clima e come le nuove generazioni – quella di Greta per capirci – contino il tempo all’indietro, convinti di non averne più avanti a sufficienza. Oggi discutiamo ancora sull’ora solare o legale, ma non ci accorgiamo che ormai ci si sta togliendo il senso della durata del tempo e della sua successione. Esagerazioni? Forse, ma non ignoriamo che, per fare un esempio, dopo Facebook e Google anche Instagram ha annunciato che in futuro la pubblicazione dei contenuti e delle immagini nelle loro liste non avverrà più seguendo un criterio cronologico (quello in uso in famiglia – col calendario – per dire). Non si userà nemmeno l’ora di riferimento di Greenwich: la conservazione e la restituzione su richiesta di immagini o notizie avverrà in base a criteri di associazione logica e ricorrendo ad un algoritmo che ha imparato dai clic del nostro mouse quali siano le nostre preferenze. Ovvero, come debba mantenersi la nostra memoria: in base gli interessi del momento, indipendentemente da quando si è formata.

(*) pubblicato sul quotidiano «il manifesto» del 25 aprile.

In “bottega” trovate su questi temi un vecchio speciale (dedicato a Riccardo Mancini): Un dossier sul tempo sulla cui base è stata poi costruita (da db) la narrazione «Prima che il tempo finisca».

NELL’IMMAGINE: Balboutet in Piemonte che è nota come «borgata del sole, delle rondini e delle meridiane»

 

Redazione
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Un commento

  • Pierre Alexis Pastre

    A scuola, per obbligo ministeriale, alcuni miei colleghi docenti sono incaricati del conteggio del numero delle ore dell’anno scolastico affinche’ sia valido, quando sappiamo tutti benissimo che la percentuale utile di queste ore, cioe’ il tempo in cui gli studenti fin dall’asilo nido posteggiati quasi a tempo pieno a scuola si interessano effettivamente di qualcosa, e’ molto bassa. Nei casi piu’ estremi un impegno di 15gg due volte l’anno in prossimita’ del termine del quadrimestre e’ piu’ che adeguato. Ma l’importante sono le apparenze, contare il tempo in cui li abbiamo tenuti a scuola. I miei colleghi finiscono, mentendo a se stessi, a crederci persino loro.

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