Eutanasia e libertà di scelta

I falconi della settimana (ogni mercoledì). 16esimo appuntamento. Pensieri di libertà in libertà con Sergio Falcone

Apro il vocabolario Treccani e leggo:
eutanaṡìa s. f. [dal gr. εὐϑανασία, comp. di εὖ «bene1» e tema di ϑάνατος «morte»]. – 1.Nel pensiero filosofico antico, la morte bella, tranquilla e naturale, accettata con spirito sereno e intesa come il perfetto compimento della vita. 2. Morte non dolorosa, ossia il porre deliberatamente termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia; può essere ottenuta o con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente il paziente in vita (epassiva), o attraverso la somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte (eattiva); si definisce volontaria se richiesta o autorizzata dal paziente. •

L’eutanasia è un dramma. Mi auguro di non dover decidere della vita altrui. Non lo sopporterei.

L’eutanasia è una tragedia che nessuna presa di posizione ideologica può alleviare. Favorevoli e contrari, radicali e cattolici. Tutti fanno ideologia, cioè ragionano in maniera astratta e si accaniscono pur di avere ragione.

Credo che la libertà di scelta sia una buona cosa. La libertà è anche quella di sbagliare, eventualmente.

Per evitare che altri debbano scegliere in mia vece e sfidando il senso del ridicolo, consapevole di quella che è l’odiata realtà e delle leggi che la governano, ho provveduto a stendere un testamento biologico e a depositarlo presso un notaio. Vi invito a fare altrettanto.

Testamento biologico

Il Grand Jeu è irrimediabile; si gioca una volta sola. Noi vogliamo giocarlo in ogni attimo della nostra vita. E per di più a “chi perde vince”. Perché si tratta di perdersi. Noi vogliamo vincere. Ora, il Grand Jeu è un gioco d’azzardo, cioè di destrezza, meglio, di “grazia”: la grazia di Dio, e la grazia dei gesti.

Avere la grazia è un problema di atteggiamento e di talismano. Nostro scopo è ricercare l’atteggiamento favorevole e il segno che forza i mondi. Perché crediamo a tutti i miracoli. Atteggiamento: bisogna porsi in uno stato di intera ricettività, quindi essere puri, avere fatto il vuoto in se stessi. Per cui la nostra tendenza ideale a rimettere tutto in questione in ogni attimo. Una certa abitudine di questo vuoto plasma i nostri spiriti giorno per giorno. Una immensa spinta d’innocenza ha fatto cedere per noi tutti i quadri degli obblighi che un essere sociale è abituato ad accettare. Noi non accettiamo perché non capiamo più. Non i diritti né i doveri e le loro pretese necessità vitali. Di fronte a questi cadaveri, presagiamo a poco a poco una nuova etica che si costruirà in queste pagine. Sul piano della morale degli uomini i cambiamenti perpetui del nostro divenire non rivendicano che il diritto a ciò che loro chiamano viltà. E non soltanto per servircene. Questa viltà non è fatta che della nostra buona fede; siamo commedianti sinceri. Quando camminiamo, vi sono in noi uomini che si guardano, si seguono passo passo, sotto strisciano, sopra volano, si superano, si sfuggono, si acclamano, schiamazzano e si guardano impassibili. Ma allora noi non vogliamo essere che l’azione di camminare. E in questo siamo commedianti sinceri. I cattivi sono coloro che non si dedicano completamente alla loro scelta. Noi abbiamo semplicemente il senso dell’azione.

Perché scriviamo? Non vogliamo scrivere, ci lasciamo scrivere. Ed è anche per riconoscerci noi stessi e gli uni gli altri: ogni mattina mi guardo in uno specchio per compormi una figura umana dotata di una identità nella durata. In mancanza di specchi avrei le facce delle bestie mutevoli dei miei desideri e, in certi giorni in cui mi sfiora il miracolo, non avrei più faccia. Perché, liberati, siamo e bruti che brandiscono gli amuleti dei loro istinti di sesso e di sangue, e dèi che con la loro confusione cercano di formare un totale infinito. Il compromesso “homo sapiens” tra i due si cancella. La conoscenza discorsiva, le scienze umane ci interessano solo in quanto servono ai nostri bisogni immediati. Tutti i grandi mistici di tutte le religioni sarebbero dei nostri se avessero spezzato le gogne delle loro religioni che noi non possiamo subire.

Ci dedicheremo sempre con tutte le forze a ogni nuova rivoluzione. Ci importa poco dei cambiamenti di ministero o di regime. Noi attribuiamo all’atto stesso della rivolta una potenza capace di tanti miracoli.

Pertanto non siamo individualisti: invece di ripiegarci sul nostro passato, camminiamo uniti, tutti insieme, ognuno portando con sé il proprio cadavere sulla schiena.

Perché non formiamo un gruppo letterario, ma una unione d’uomini legati alla medesima ricerca.

Questo è il nostro ultimo atto in comune; arte, letteratura non sono per noi che mezzi.

La grazia unita all’atteggiamento ha bisogno, come abbiamo detto, di talismani che le comunichino la loro potenza, di alimenti che nutrano la sua vita. Uno di noi diceva recentemente che il suo spirito prima di tutto cercava di mangiare. Tra le sue sensazioni egli cerca ciò che può nutrirlo. Invano la sua fame si trascina dai musei alle biblioteche. Ma uno spettacolo, in apparenza insignificante, improvvisamente gli dà il cibo (uno steccato, un’ostrica viva). La sensazione sconvolgente di un attimo ha restituito in una volta forze incalcolabili alla sua vita inquieta.

Sono questi attimi eterni che cerchiamo ovunque, che i nostri testi, i nostri disegni forse faranno nascere in qualcuno, dati spesso ai loro creatori nello choc delle loro scoperte e di cui i nostri tentativi cercano la ricetta.

In simili attimi assorbiremo tutto, inghiottiremo Dio per diventare trasparenti fino a scomparire.

Roger Gilbert-Lecomte

In completo accordo: Hendrik Cramer – René Daumal – Artur Harfaux – Maurice Henry – Pierre Minet – André Rolland de Renéville – Joseph Sima – Roger Vailland.

(“Le Grand Jeu”, rivista diretta da Roger Gilbert-Lecomte, numero 1, inverno 1928: Premessa)

Le Grand Jeu est irrémédiable; il ne se joue qu’une fois. Nous voulons le jouer à tous les instants de notre vie. Mi chiamo Sergio Falcone, e sono nato a Nocera Inferiore Salerno il 13 di luglio del 1952. Ho sessantadue anni. Non posso sapere quando e come morirò. Non posso sapere in che condizioni sarò a quel punto, in questa epoca in cui si è in grado di dilatare enormemente stati di non-vita e di non-morte. Non posso neppure sapere se avrò gli anni e le forze sufficienti per portare a termine la mia opera, e realizzare gli obiettivi che forse immodestamente mi sono prefissato, cioè inseguire un’idea di libertà e di giustizia sociale, fare il bene e per quanto possibile ricercare la Verità. Ne parlo qui perché sono un visionario della Setta dei poeti estinti, un beautiful loser, uno spirito inquieto, tormentato e desiderante, ammalato di sogni e di freschi crepuscoli d’aprile e perché questo è indistinguibile dalla mia vita e dalla mia morte. Non posso sapere se, quando mi troverò nell’anticamera della morte, sarò ancora in grado di attuare di persona o perlomeno di comunicare agli altri le mie volontà. Per questo lo faccio ora.

Nel caso mi venissi a trovare in una condizione di vita esclusivamente indotta dalle macchine, in una situazione irreversibile e senza speranze, chiedo che non venga attuato su quanto resterà di me alcun accanimento terapeutico. Non voglio morire crocefisso a una macchina, non voglio immolarmi sull’altare della tecnologia divenuta idolo. Io vorrei per me, da parte delle persone che amo e che mi saranno vicine in quei momenti, il gesto umano dei compagni legati tra di loro da uno stesso sentimento e da uno stesso destino che finiscono pietosamente coloro che sono mortalmente feriti. Ma se, per l’ipocrisia e il cinismo dominanti, questo non sarà possibile e per non esporre le persone amate a un prezzo troppo grande, chiedo di non venire più alimentato e curato.

Figlio di madre natura, io non disconosco il valore misterioso e segreto del dolore, né ho una concezione utilitaristica della vita e della morte. Ma che questa decisione cruciale venga imposta alle singole vite da un’istituzione religiosa (secolare, per i non credenti) o dalla cieca e inarrestabile autosufficienza delle macchine – quando non dalle due cose strettamente abbracciate – mi sembra un inaccettabile spossessamento e uno scandalo, sia per i non credenti che per i credenti.

Se qualcosa di me fosse ancora utile a qualcun altro vivente, do il mio consenso all’espianto. Desidero, infine, che i miei resti mortali vengano cremati e le ceneri affidate alla compassione del vento.

Avrei preferito che questo scritto rimanesse privato. Ma la situazione di degrado morale e culturale e sociale è tale – e tale l’attacco alle libertà individuali e collettive – che ho sentito il bisogno di renderlo pubblico. Il resto delle mie volontà sono invece private e conosciute soltanto dalle persone a me care.

Roma, 29 ottobre 2014, Sergio Falcone

 

In “bottega” abbiamo scritto più volte di eutanasia, con differenti punti di vista; a esempio qui: Eutanasia legale, Eutanasia? Sì, ma solo per gli animali… e Quanto è bella democrazia quando è in ballo l’eutanasia

LE IMMAGINI – scelte dalla “bottega” – sono riprese dalla rete.

 

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