Faber, aria per respirare

Una recensione – in ritardo – a «De André che bella compagnia» di Romano Giuffrida (*)

DeAndrè-copertina

Quanti libri escono ancora sul “Faber”, Fabrizio De André. In parte è business purtroppo, con il paradosso di sentire o leggere noti forcaioli – di ieri e di oggi – fingere di commuoversi per «Il pescatore». In parte è un bisogno vero di condivisione e memoria come per questo «De André che bella compagnia» – sottotitolo «Con l’anima in spalle tra memoria e presente» – di Romano Giuffrida, pubblicato a dicembre 2014 dalle edizioni Piagge (www.edizionipiagge.it) dell’omonima comunità fiorentina: 240 pagine per 11 euri. E’ una ristampa ma non lo è. Recupera infatti le 168 pagine del precedente «De André: gli occhi della memoria» (Elèuthera 2002) ma aggiunge una lunga chiacchierata fra l’autore e Alessandro Santoro, «prete di frontiera», dove il cantautore-poeta genovese torna a essere il filo conduttore per narrare vite controcorrente come era nelle intenzioni di Romano Giuffrida.

Infatti quel che Giuffrida ha fatto è raccontare la sua “crescita” incrociandola con le canzoni-poesie del Faber. Pensate che sia una idea graziosa ma che non può reggere per più di 10 pagine? Errore, funziona benissimo: merito di De Andrè certo ma anche del giovane (e poi meno) Romano che sa fare della sua «educazione sentimentale e politica», delle sue scelte e dei suoi dubbi il giusto materiale per coinvolgere tutte/i o almeno chi in questa società ama Faber.

Nel libro Giuffrida ha raccolto – e saputo incrociare – anche 8 testimonianze tanto diverse quanto appassionanti: Giorgio Bezzecchi, Carla Corso, Andrea Gallo, Claudio Lolli, Massimo, Alda Merini, Tonino Paroli e Stefano Raspa. Se questi nomi non vi risultano noti… saranno belle scoperte. Come la citatissima “Anna di Francia” che è una donna reale sgorgata da una canzone di Claudio Lolli. I miracoli dell’evoluzione.

A completare il libro una breve prefazione di Dori Ghezzi, il «quasi come una lettera» di Giovanna Panigadi e i disegni, molto belli, di Massimo Caroldi.

Visto che sono appassionato di fantascienza e curioso di omonimie devo aggiungere che ho sobbalzato nello scoprire – a pagina 190 – la poesia di un grande poeta brasiliano quasi omonimo del Faber, ovvero Carlos De Andrade, intitolata «Science Fiction». Dove leggo: «Il marziano mi ha incontrato per strada / e ha avuto paura della mia impossibilità umana. / Come può esistere, ha pensato tra sé, un essere / che nell’esistere mette un così grande annullamento dell’esistenza?». E su quelle parole, «impossibilità umana», dialogano Giuffrida e Santoro in un paragrafo intitolato «La felicità e gli atti d’amore»… che arriva subito prima del «Tempi di nuvole nere e di corvi», i nostri tempi ai quali arrendersi non bisogna. E la chiacchierata fra un anarchico “faberista” e un prete scomodissimo si conclude (o quasi) con questo scambio che mi sento di condividere appieno.

«Come fa questa pietas a convivere con una società che pietas non ha e anzi è per tanti aspetti fascista, razzista, violenta? Come si costruisce una strada in un mondo che invece alza sempre più muri?» chiede Giuffrida.

«Non lo so, so solo che la pietas permette al nostro mondo di continuare a vivere, è ciò che permette che ci sia ancora aria da respirare».

(*) Questa sorta di recensione va a collocarsi nella rubrica «Chiedo venia», nel senso che mi è capitato, mi capita e probabilmente continuerà a capitarmi di non parlare tempestivamente in blog di alcuni bei libri pur letti e apprezzati. (db)

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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