Femminicidio: intervista a Barbara Spinelli

Se in Italia gli omicidi, compresi quelli di donne, sono in diminuzione però aumentano gli uomini che uccidono mogli, compagne, fidanzate o ex. Se la vittima è donna nella maggior parte dei casi il carnefice è marito, fidanzato, amico o parente. Nel mondo gli uomini vengono uccisi soprattutto per criminalità comune o organizzata, ma la morte è data alle donne da persone ben note. Questi dati spiegano la definizione di femminicidio.

C’è da aggiungere un terzo e desolante elemento: se gli omicidi riscuotono (salvo che in ristretti ambienti criminali) il biasimo generalizzato invece nei casi delle violenze e persino dei delitti contro le donne esiste una fetta abbastanza estesa della società maschile che giustifica, sottovaluta e talvolta si fa complice. O nega l’evidenza. A dimostrazione che è anche, forse soprattutto, un problema culturale e non solo di ordine pubblico. Rispetto agli altri reati si registra un alto tasso di tolleranza istituzionale e di impunità degli aggressori. Gli ultimi dati confermano un 2012 da incubo: in Italia da gennaio a ottobre i femminicidi erano oltre 100, in media uno ogni 3-4 giorni.

L’Italia ha ricevuto a giugno un severo richiamo dalle Nazioni Unite perché non adotta adeguati strumenti nella difesa delle donne. Vuol dire che i centri anti-violenza sono pochi e mal finanziati, che il fenomeno non si conosce e che le forze di polizia, i giudici, i servizi sociali spesso sottovalutano le denunce delle donne. In Italia il 70 dei femminicidi non è improvvisato o imprevedibile – il “raptus” come ripetono i media – ma viene preceduto da minacce, violenze e richieste di aiuto (ai servizi sociali) sottovalutate o ignorate. Il classico iceberg: ragazze o adulte, in molte non denunciano perché vivono in un contesto patriarcale e/o non conoscono i loro diritti e/o non si sentono protette dallo Stato. Non poche (mancano però indagini statistiche attendibili) le donne che si suicidano per sfuggire alle persecuzioni.

Barbara Spinelli, avvocata, da tempo si occupa di violenza di genere, matrimoni forzati, riconoscimento dei diritti delle donne a livello nazionale, comunitario e internazionale. Gestisce femminicidio.blogspot.com ed è autrice di «Femminicidio: dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale» (Franco Angeli, 2008). Nel 2011 ha presentato «Femmicidio e femminicidio in Europa» per il primo rapporto dell’Onu sugli omicidi basati sul genere.


Quali sono le urgenze in Italia? Più legislative oppure più organizzative e socio-culturali?

«L’urgenza è almeno riuscire a proteggere le donne che chiedono aiuto, evitando che chiudano quelle poche case rifugio esistenti per mancanza di fondi e formando gli operatori alla valutazione del rischio, a saper riconoscere le situazioni di violenza e adottare tutte le misure necessarie per la protezione della donna e dei suoi figli, anche quando lei non è pronta a denunciare. Poi viene il resto: la raccolta dei dati, lavorare sui pregiudizi di genere, accrescere la consapevolezza collettiva, raggiungere tutte le donne a qualsiasi titolo presenti sul territorio e informarle sui luoghi dove possono trovare aiuto».

L’Italia è purtroppo in numerosa compagnia ma questo non deve consolarci, anche perché dai Paesi dove la violenza contro le donne è affrontata seriamente ci arrivano buone notizie. Quali?

«Ci sono buone prassi sparse per l’Europa e per il mondo, sia per quanto riguarda la lotta agli stereotipi sessisti (la legge integrale spagnola, a esempio), sia per quanto riguarda la raccolta dei dati, sia per quanto riguarda la vitalità e l’efficacia delle reti istituzionali, sia per quanto riguarda il supporto psicologico ai maltrattanti.

Senza fare grandi speculazioni, basterebbe riconoscere che bisogna lavorare sulla prevenzione e sulla protezione. Invece, anche dopo le raccomandazioni del comitato Cedaw (gdcedaw.blogspot.com/ ) e della relatrice speciale dell’ONU contro la violenza sulle donne, continuiamo a sentire politici ed ex ministre che speculano a fini di propaganda elettorale sui cadaveri delle donne, proponendo come panacea di tutti i mali l’ergastolo per il femminicidio. E’ una vergogna».

Questo 25 novembre sembra diverso dai precedenti. Crescono la mobilitazione e forse la consapevolezza eppure colpisce l’indifferenza di molti uomini e della società politica (a stragrande maggioranza maschile). D’accordo sull’analisi?

«Per fortuna le raccomandazioni dell’Onu, pur non avendo avuto una totale copertura mediatica, sono state prese in considerazione dai media. Penso che il merito di questo sia attribuibile al lavoro fatto dall’interno dalla rete di GIULIA (facebook.com/pages/GIULIAGIornaliste) – che è la sigla per GIornaliste Unite LIbere Autonome) e per questo dovremmo ringraziarle. Ma molto resta da fare. Va di moda dichiararsi contro la violenza sulle donne, aderire ad appelli a destra e a manca. In campagna elettorale porta dei voti. Però noi vorremmo sapere dai candidati premier chi si impegna a fare cosa di preciso, rispetto a quanto indicato dall’Onu. E di sicuro da tutti i politici che hanno aderito alla Convenzione «NO MORE!» (vedi a esempio blog.ilmanifesto.it/…/tag/convenzionenomore-piattaforma-cedaw/ ) ci aspettiamo un impegno concreto per l’attuazione delle misure suggerite dalla società civile, e cioè una scelta delle misure più urgenti tra quelle indicate dall’Onu, quelle improrogabili da realizzare, alcune delle quali a costo zero. Noi non siamo disposte a tollerare oltre nè la strumentalizzazione di questi temi, nè il silenzio istituzionale. E’ ora che tutti e tutte, istituzioni e società civile, ognuno nel proprio ruolo, inizino a comportarsi con responsabilità. Evitare comportamenti sessisti o discriminatori è un po’ come fare la raccolta differenziata dei rifiuti: se non lo fai è perché non ne hai voglia, ma sai che va fatto, rappresenta una scelta di civiltà. Noi vogliamo che sempre più persone facciano questa scelta di civiltà. Pessimo paragone, ma rende brutalmente l’idea di quale sia il problema di fondo».

SOLITA NOTA

Questa mia intervista è stata pubblicata – in una versione più breve – ieri sul quotidiano «L’unione sarda». Per allargare il discorso rimando anche al post di ieri a firma Maria G. Di Rienzo. E anche del Cedaw si è già scritto qui. Del resto questo blog ha una sezione intitolata «Otto marzo sempre» e dunque l’invito – a chi scrive e a chi legge e magari commenta – è di continuare ogni giorno… (db)

 

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