Filippine: lotta antimperialista e blocco delle trattative

di Luciano Seller *, Ana Brusola Buendia**, Belarmino Dabalos Saguing *** –

tratto da Rifondazione.it

La realtà sociale delle Filippine è molto simile a quella dell’America latina.

I problemi comuni sono:

L’essere stata una colonia spagnola e poi una vittima dell’imperialismo USA.

L’espropriazione delle terre dei contadini da parte dei grandi latifondisti filippini e di multinazionali che distruggono l’agricoltura locale ed impiantano monoculture destinate alla esportazione.

L’inquinamento dell’ambiente da parte delle multinazionali minerarie, che usano sistemi di lavorazione che inammissibili in Europa o negli Stati Uniti.

Il taglio delle foreste, l’avvelenamento della natura, la distruzione delle fonti di vita, la cacciata degli indigeni da parte delle multinazionali minerarie.

Le ricchezze della terra che non vanno al popolo filippino; i Filippini sono costretti ad emigrare. Attualmente su 100 milioni di abitanti delle Filippine 10 milioni sono emigrati.

La grande povertà che favorisce una enorme diffusione delle droghe.

Questa situazione insostenibile è tenuta in piedi dall’esercito e da bande paramilitari che uccidono impunemente chi si oppone. L’esercito filippino è appoggiato nelle sue azioni di repressione dagli USA, che mantengono basi militari Filippine.

Il Partito Comunista e le organizzazioni di sinistra sono fuori legge.

Colonialismo, Imperialismo e lotta rivoluzionaria

Causa fondamentale della povertà delle Filippine è l’imperialismo americano.

Le Filippine furono occupate dagli spagnoli nella seconda metà del 1.500. I Filippini lottarono per secoli contro gli spagnoli. Li sconfissero nel 1898 e proclamarono la Repubblica delle Filippine, la prima repubblica nella storia dell’Asia.

Tuttavia, con il trattato di Parigi del 1898, la Spagna cedette le Filippine agli Stati Uniti per un importo di 20 milioni di dollari.

La guerra di aggressione degli USA durò dal 1899 fino al 1913. Il risultato fu la morte di 1,5 milioni di Filippini, su una popolazione totale di sette milioni.

Dopo aver concesso l’indipendenza nominale nel 1946, gli Stati Uniti mantennero il controllo dell’economia, della politica e della struttura militare delle Filippine. Costruirono basi militari in vaste aree del paese, utilizzando queste come piattaforme di lancio di aggressioni contro il Vietnam e altri paesi.

Il 26 dicembre 1968 dei giovani rivoluzionari ricostituirono il Comunist Party of Philipines (CPP), dichiarato illegale. Tre mesi dopo, il 29 Marzo 1969, il CPP diede vita al Nuovo Esercito del Popolo (New People’s Army) (NPA).

Le forze rivoluzionarie hanno costituito strutture democratiche in 71 province su un totale 81. Queste strutture svolgono programmi per la riforma agraria, la salute, l’alfabetizzazione, la cultura, la giustizia rivoluzionaria e l’ auto-difesa.

L’azione convergente dei movimenti di massa e del NPA ha ottenuto il rovesciamento del dittatore Ferdinando Marcos nel 1986 e del regime corrotto di Estrada nel 2001

Per coinvolgere nella lotta tutte le componenti democratiche della società filippina nel 1973 è stato fondato il National Democratic Front of Philipines (NDFP) che raccoglie 18 organizzazioni clandestine. Oltre al Partito Comunista ed al New People’s Army ne fanno parte organizzazioni che rappresentano vari settori della società, giovani, donne, indigeni, popolo Moro (la minoranza di religione mussulmana), sacerdoti e suore ecc..

Il NDFP ha rappresentato il fronte democratico nelle trattative di pace che si sono tentate e con vari governi filippini a partire dalla caduta di Marcos nel 1986.

Nel 1997 e nel 1999 il parlamento europeo approvò due risoluzioni a favore di negoziati di pace.

Speranze nate con l’elezione del presidente Duterte

Nuove speranze erano nate con la elezione di Rodrigo Duterte alla presidenza delle Filippine nel giugno 2016.

Duterte era il sindaco dell’importante città di Davao nell’isola di Mindanao, la seconda isola per grandezza delle Filippine. Era un avvocato populista che non apparteneva alla ristretta cerchia di famiglie che dominavano la vita politica delle Filippine. Come sindaco aveva interloquito con la sinistra per misure a sostegno dei poveri ed aveva mostrato insofferenza verso la pesante presenza americana. Durante la campagna elettorale aveva affermato di voler diventare il primo presidente di sinistra, che egli stesso era socialista, che avrebbe amnistiato e rilasciato tutti i prigionieri politici, che avrebbe nominato quattro progressisti nel suo governo e avrebbe fatto la pace con il NDFP.

Per contro si era già caratterizzato per una lotta contro la droga del tutto al di fuori della legalità, che uccideva i piccoli spacciatori ma non toccava i grandi signori della droga. Tuttavia questo atteggiamento lo rendeva bene accetto a molti, in un Paese in cui la droga travolgeva la vita di tante famiglie.

Ugualmente esecrabili erano il suo violento maschilismo e le sue macabre battute che lo resero subito inviso in occidente.

Inoltre gli USA non vedevano di buon occhio la possibilità che la sinistra, messa fuori legge, potesse avere voce in capitolo nelle Filippine. Per questo avevano inserito il Partito Comunista ed il New People’s Army nella lista delle organizzazioni terroristiche. Tutti i media occidentali si adeguarono. Anche il Parlamento Europeo, a differenza di quanto aveva fatto nel 1997 e nel 1999, non approvò nessuna risoluzione per favorire i negoziati.

Ma nelle Filippine, dove si combatteva da 50 anni, si vollero ugualmente mettere alla prova le sue promesse.

Un accordo di cessate il fuoco tra il governo Duterte e il NDFP entra in vigore il 26 agosto 2016. Vengono anche rilasciati 22 consulenti politici del NDFP, arrestati sotto false accuse, per consentir loro di partecipare alle trattative. Si incomincia a parlare del rilascio anche degli altri 500 prigionieri politici

Inoltre Duterte propone al NDFP di indicare 4 suoi rappresentanti per dirigere importanti Ministeri. Il NDFP rifiuta di indicare propri esponenti, in attesa dell’esito delle trattative, ma indica 4 personalità molto competenti e rispettate.

Molto positiva è la nomina da parte di Duterte di Gina Lopez a capo del Ministero dell’Ambiente. Nei 10 mesi passati in carica Gina Lopez si impegna per la chiusura di molte attività minerarie che inquinano l’ambiente e rendono impossibile la vita dei contadini e degli indigeni.

Fine delle speranze. Cacciare la cricca di Duterte

Nonostante queste aperture iniziali, il presidente Duterte è presto risucchiato dalla lobby che, sotto l’egida degli USA, domina le Filippine.

Gina Lopez, a causa dell’opposizione del parlamento, non è riconfermata.

I prigionieri politici non sono rilasciati ed anzi quelli che hanno partecipato alle trattative sono arrestati di nuovo o minacciati.

Le forze armate filippine continuano le loro provocazioni ai danni di contadini ed indigeni. Continua il programma di contro-insurrezione Oplan Bayanihan, voluto dagli USA, con i cosiddetti gruppi di “pace e sviluppo” dei militari, che occupano le case e le scuole. Continua l’assassinio di leaders contadini ed indigeni.

Infine il presidente Duterte dichiara di voler chiudere le trattative di pace e di voler rinnegare l’accordo JASIG, che garantisce la libertà e la sicurezza di coloro che rappresentano il NDFP alle trattative di pace.

A questo si aggiunge la crisi esplosa nel mese di maggio all’interno della zona occupata dal popolo Moro nell’isola di Mindanao.

I Moro, di religione mussulmana, sono l’11% dei Filippini. Vivono in una situazione di grande disagio sociale ed economico. Il Moro National Liberation Front ed il Moro Islamic Liberation Front da molti anni sono in lotta con il governo centrale con cui hanno poi intavolato trattative per l’autonomia di questa regione. Il popolo Moro è anche rappresentato all’interno del National Democratic Front of Philipines.

In questi ultimi mesi nella città Moro di Marawi sono intervenuti i gruppi terroristici Maute e Abu Sayaf, simpatizzanti dell’ISIS. Ciò ha offerto a Duterte l’occasione per dichiarare la legge marziale in tutta l’isola di Mindanao, la seconda isola per grandezza delle Filippine. La legge marziale non è volta solo contro i gruppi islamici ma anche contro il NDFP e il NPA che nell’isola di Mindanao ha il suo punto di forza.

Con l’appoggio USA la città di Marawi è bombardata. Ci sono 300.000 sfollati e la città è abbandonata al saccheggio.

Intanto, in 14 mesi Duterte ha promosso la esecuzione sommaria di circa 14.000 piccoli spacciatori, sulla base di semplici sospetti.

Per il NDFP ora è chiaro che la politica di Duterte è quella di perseverare nell’economia semifeudale e semicoloniale, che dipende dall’esportazione di materie prime, da manodopera a basso costo, dall’importazione di manufatti, da investimenti e prestiti esteri e da prezzi crescenti dei prodotti di base e dei servizi di pubblica utilità.

Duterte si è vantato di impegnarsi in una politica estera indipendente. Ma in realtà non ha abrogato i trattati che rendono le Filippine un vassallo degli USA.

Ciò che intende con politica estera indipendente è solo avere altri padroni stranieri. Egli si aspetta che la Cina gli dia dei prestiti molto costosi per la costruzione di infrastrutture in cambio di cessioni territoriali nel mare delle Filippine. Vuole anche acquisire armi dalla Cina e dalla Russia per rafforzare il suo piano di creazione di una dittatura fascista.

Si sta, quindi, sviluppando un ampio fronte di classi sociali unito per isolare e cacciare la cricca dominante di Duterte attraverso azioni di massa come quelle condotte con successo contro Marcos nel 1986 e contro Estrada nel 2001.

*  – Comitato Amicizia Italo Filippino

** – responsabile per l’Italia della International Coalition for Human Rights in the Philipines

***– attivista blogger filippino

 

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